Messa Festival Francescano

Bologna, Piazza Maggiore

Dio il Signore non obbliga nessuno. Il nostro è un padre che ci lascia liberi e ci vuole consapevoli. Certo, questo non significa che tutto vada bene e che per lui è uguale se noi ci siamo o non ci siamo, se invece di ascoltarlo lo prendiamo in giro dicendogli di sì e poi non andando a lavorare nella vigna oppure se gli rispondiamo a brutto muso – quasi con il gusto adolescenziale di dire no – “non ne ho voglia”. Sono proprio i nostri modi di reagire: epidermici come una risposta nei social, che afferma la propria volontà riducendola però all’istinto, in fondo egocentrica.

“Non ne ho voglia” perché affermo i miei tempi e la mia libertà, non voglio occuparmi di una vigna che richiede tanto sforzo e preferisco qualcosa che mi dia subito risultati. Non ne ho voglia perché mi sono abituato a dire di “no” sempre, a chiunque chiede; perché voglio banalmente perdere tempo per me. Forse dice di no solo per affermare se stesso. E poi non gli interessa della vigna: è sua! Dimentica che parla ad un padre e che quella vigna è anche la sua, che sono sulla stessa barca!

Questo figlio ricorda tanto il fratello più giovane della parabola: inquieto, insoddisfatto, alla ricerca di qualcosa che non sapeva, in fondo con una grande voglia di vivere ma pensando che per trovare una risposta doveva prendere il suo e andarsene lontano. Certo, è trasparente, non ha inganni, gli dà fastidio l’ipocrisia, il formalismo vuoto dell’altro fratello e dice in faccia al padre quello che pensa. Risponde male ma pensa sia giusto, che è vero, perché altrimenti sarebbe solo un inganno in più per sé e per il padre. In fondo il padre si rivela padre, non padrone: aspettare che il figlio capisca, non lo costringe, perché nessuno lavora nella vigna dell’amore per obbligo, ma tutti, tutti, solo per grazia e volentieri.

E l’altro è proprio come il fratello maggiore: l’importante è l’apparenza, fare ma senza capire, osservare ma coltivando nel cuore i sentimenti di rivalsa, di sentirsi giusti senz’amare, lontano anche lui dal cuore del padre.Il padre ha due passioni: i figli e la vigna. Li manda a lavorare nella vigna perché li ama e ama la vigna, perché vuole dare senso alla loro vita e questo si trova solo nello spenderla per gli altri. Senza lavoro, cura, attenzione la vigna si perde, non dona frutti. E’ il problema dell’economia gentile, alla quale chiama a lavorare i suoi figli.

Sappiamo anche che il Signore ha un’idea molto poco speculativa del lavoro e della ricompensa. Sembra quasi che la vigna gli serva per non lasciarci disoccupati, che ognuno non resti ad oziare, cioè a sciupare la sua vita. Vuole chiamare tutti, anche quando non servono a niente. Offre a tutti un’opportunità: questa è l’eguaglianza e la giustizia di Dio. Vuol dire anche che tutti serviamo a qualcosa! Non può accettare che nessuno resti sfaccendato: l’economia deve servire a questo! Il padrone sa bene che ha un prezzo non fare nulla: indurisce il cuore, rassegna, spegne la vita, fa sentire falliti, riempie di quei tanti vizi che si chiamano dipendenze che, e questa è la morale, rovina la vita delle persone, rende schiavi di quello che fa loro male e che nutre interessi enormi, pericolosi, come quelli delle mafie, che incentivano i vizi perché ne hanno guadagno.

Penso alla droga, economia nelle economie, per niente gentile, che arriva a condizionare interi stati del pianeta. La droga rovina la vita di tanti e non smette di distruggere le menti dei giovani, ancora più pericolosamente perché in maniera meno visibile. Anche in questo caso c’è una banalizzazione del male: una pasticca impatta di meno delle siringhe, ma gli effetti sono micidiali. Quante violenze sono legate al consumo di droghe e quanti disturbi psichiatrici spesso definitivi ne sono la conseguenza! Ecco perché lavorare nella vigna. E lavoro è lavoro, non è passatempo, bricolage umanitario, narcisistico mostrare qualche buona intenzione o, come il secondo figlio, compiacimento di avere detto sì e pensare che basta questo per essere a posto.

La vigna se non è curata si rovina, si inselvatichisce, diventa inutile per l’uomo, non dona frutti. Occorre lavorare perché la vigna sia per l‘uomo. Ecco il senso di questi giorni, delle parole che abbiamo ascoltato, credo anche degli impegni presi. Dipende da noi, come dipende da noi cosa fare di questo tempo nel quale scegliere cosa essere. E soprattutto farlo, umilmente, da lavoratori, senza altro interesse che rispondere alla volontà del padre e capire che in realtà interpreta la nostra vera volontà, che è non perdere la vita ma investirla in quello che rimane.

Noi incredibilmente ci difendiamo da Dio, che è sempre un padre e non un padrone! Egli ci ricorda che è casa nostra e che lui la vuole piena di frutti, per tutti, umana, non un luogo dove vince il più forte, violento, dove c’è chi sta bene e chi no, dove si dimentica la giustizia e l’uguaglianza. Sì, una vigna per dei fratelli che insieme lavorano perché capiscono finalmente che è loro, che è affidata a loro e non prendono solo quello che serve oggi. Il lavoro significa preparare il domani. Ecco la sfida di queste tempo: scegliere di lavorare perché vi siano frutti e per non perdere l’univa vigna che abbiamo. Il sogno di Dio sugli uomini è che possano vivere insieme. Il diavolo, invece, divide. L’amore unisce. Lavorare nella vigna è cercare, come dice l’apostolo Paolo, “l’unione degli spiriti”. Come? Non facendo nulla per spirito di rivalità (e quanto è facile ed insinuante!) o per vanagloria. L’apostolo offre un consiglio molto concreto, così simile al fare agli quello che vogliamo sia fatto a noi. Paolo dice: considera gli altri superiori a te! Vivendo così si lavora nella sua vigna, si rende migliore il mondo, si diventa capaci di aiutare per davvero.

Avere un cuore libero dalla rivalità verso gli altri (che poi finisce verso tutti!) ci aiuta a cercare sempre quello che unisce; affrancarci dalla vanità (che tante, troppe energie assorbe, consuma) ci rende umili, e quindi disponibili, generosi, attenti alle richieste di chi abbiamo vicino. La vigna di questo mondo la lavorano uomini che non cercano ciascuno il proprio interesse, ma piuttosto quello comune. E’ il bene comune! E quanto c’è bisogno di uomini così in questo mondo inselvatichito, incapace di dare frutti, aggressivo, pieno di ossessioni perché ognuno è alla ricerca del proprio!

“Ma poi si pentì e vi andò”. Sì, davanti al mondo malato e tanta sofferenza, quella che il padre ci ricorda e che non vogliamo dimenticare, dalla quale non scappare chiudendoci nelle case dell’individualismo, capiamo che possiamo lavorare per la speranza, che la vigna può dare frutti, che l’economia può essere gentile perché attenta all’uomo. La terra è di Dio ma è degli uomini. E’ degli uomini se ricordiamo che è un dono di Dio e se la lavoriamo mettendo al centro la persona, immagine di Dio.

 

27/09/2020
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