Messa in suffragio delle vittime della Strage della Stazione

Bologna, chiesa di San Benedetto (via Indipendenza)

Con il cuore affollato da tante parole e sentimenti siamo posti avanti la Parola, quella che si impone di meno, spesso disprezzata in maniera pratica o ridotta a regola quando è solo amore. La Parola di Dio dona senso e sapore alle parole della nostra povera voce. Dio si rivolge a noi, parla al cuore e alla mente, conosce come siamo, le nostre ferite e vuole rispondere ai nostri interrogativi più veri. Quanti! A volte ci travolgono e ci sgomentano, come avviene quando ci confrontiamo con la nostra fragilità o misuriamo l’abisso che è il cuore dell’uomo.

L’uomo è terribilmente libero di dare la vita o spegnerla, di sciuparla o farla fruttificare, di colpire o di amare, di strappare il fragilissimo fiore dell’esistenza oppure di coltivarlo, di abbandonare la vita oppure di generarla e difenderla, di costruire ordigni di morte sempre più potenti tanto da arrivare all’autodistruzione oppure di realizzare strumenti capaci di difendere la vita. Il male è una forza che nel benessere facciamo fatica a valutare ma, quando si rivela, vuole incattivirci e renderci prigionieri catturandoci nella sua tela di pensieri. In effetti quando stiamo bene o siamo deformati dalla nostra forza il male ci sembra impensabile.

Camus scriveva che quando scoppia una guerra la gente dice: «Non durerà, è cosa troppo stupida. (Aggiungerei che spesso pensiamo sia impossibile arrivare a tanto oppure la accettiamo purché non ci coinvolga, credendo che non ci riguarda!) E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida. Ma questo non le impedisce di durare». Il male, anzi, cresce oltre che con il vorace egoismo proprio nella pavidità e nell’insipienza degli uomini. Il male rivela anche quanto poco facciamo tesoro di quello che ci succede. Cambiamo davvero poco, pensiamo debbano farlo gli altri e sciupiamo tante opportunità di consapevolezza e responsabilità.

In effetti non abbiamo trovato la risposta a quella domanda di «quante orecchie deve avere un uomo prima che possa sentire le persone piangere? E quante morti ci vorranno prima che lui lo sappia che troppe persone sono morte?». Ecco, la Parola di Dio, che non ci umilia ma ci esalta se la facciamo nostra, ci aiuta a trovare la risposta nascosta nel vento del suo Spirito. Una strage colpisce tutti, nessuno ne è preservato. E’ quello che abbiamo sperimentato con la pandemia, improvvisa, impietosa, che può colpire tutti e semina ovunque terribili frutti di morte. La differenza tra la strage e la pandemia che di quest’ultima non sappiamo chi è il responsabile, i mandanti, mentre nella strage sappiamo che ci sono ma dobbiamo trovarli.

Gesù davanti al male, lo abbiamo ascoltato, si ritira a pregare. Anche Lui era stato raggiunto da una notizia terribile come l’uccisione di Giovanni Battista. Il comandamento di non uccidere per i cristiani non è solo non colpire ma disarmare il cuore e la lingua; è l’obbligo di amare financo i nostri nemici, di non usare le parole come spade con la cattiveria dei giudizi lanciati per colpire e distruggere l’altro.

Abbiamo bisogno di pregare, di interiorità che è restare con Dio, l’io che trova se stesso perché con il più grande amico il Padre, il Fratello, l’Amante, perché abbiamo bisogno di lui per capire chi siamo. La sua presenza ci libera dai semi di odio, ci ricorda che sono beati chi ha fame e sete della giustizia e non lo sono chi salva se stesso e cerca solo il suo benessere. Abbiamo bisogno di pregare perché il suo amore risponde al desiderio che abbiamo di quello che non finisce e solo il suo amore illumina le tenebre, a volte così impenetrabili, della nostra vita.

Chi ci potrà separare dall’amore? Sentiamo come il Signore è più forte, non ci abbandona alla disperazione, non ci lascia abbrutire dal male e nutre la nostra anima perché dia forza a tutto il nostro corpo. Come Gesù restiamo soli con Dio per ritrovare noi stessi e il senso di tutto. La preghiera ci dona pace perché ci fa comprendere quello che non finisce e provare la consolazione che nessuno ci separerà dall’amore di Cristo. E’ questo il senso intimo, interiore ma anche fisico della preghiera. Nella preghiera presentiamo le nostre intercessioni e ascoltiamo il suo amore che insegna come essere amici del mondo e di ognuno ed a considerare una, una sola tutta la famiglia umana, quella che unisce coloro che come noi sono pellegrini in questo mondo e quanti hanno varcato la soglia per entrare nell’eternità.

Preghiera e solidarietà sono unite. Gesù è raggiunto dalla folla. La preghiera nasce dalla storia. Non ci porta in un mondo fuori dal mondo, ma ci fa scendere nelle domande vere che lo agitano e ce lo fa vedere con compassione. Nella preghiera facciamo nostri i suoi sentimenti. Gesù guarda la piccola folla delle vittime, le loro foto e storie, piange con gli occhi del cuore, gli unici che fanno vedere l’altro e che ci fanno accorgere del prossimo.

La compassione che Gesù prova e ci insegna a provare è il contrario dell’indifferenza e dell’amore per sé. Invece di riprendere il prossimo con il telefonino, fissiamo l’immagine ma nell’anima, come sa realizzare la compassione. Avremo il cuore pieno di persone care e sentiremo tante – come le vittime – come nostri familiari, perché chi ha compassione ha tanti amici che porta con sé e popolano il suo cuore.

Oggi questa folla ha fame di giustizia, fame che morde l’anima dei familiari delle vittime della strage a distanza di anni e che sentiamo nostra. La paura ci consiglia di lasciare perdere, di rassegnarci. Gesù continua a insegnarci l’unica via per sconfiggere il male: l’amore, che diventa solidarietà, gratuità, attenzione a chi non ce la fa. La compassione diventa vita, scelta, azione. «Voi stessi date loro da mangiare». Non possiamo dire «affari loro», perché Gesù ci coinvolge tutti. La loro fame è la nostra fame. Insomma: ci salviamo assieme, non da soli e siamo sazi non perché ci siamo tenuti stretti i cinque pani, che poi non bastano mai, ma perché abbiamo donato il poco a tutti. Gesù ci insegna a usare quello che siamo e abbiamo per gli altri e quindi, donandolo, lo troviamo. E’ l’inizio del bene comune, il contrario della pandemia e di ogni strage che distrugge la vita e la convivenza. Se doniamo, se vinciamo la paura di farlo, non manca a nessuno e il deserto può diventare un giardino. Questa è la forza di Gesù, la forza che ci fa scoprire e che ci fa resistere al male.

Lo vedemmo già allora. Un medico disse: »C’erano medici e infermieri che si distribuivano i compiti in modo spontaneo. Io non mi accorgevo delle ore che passavano e non se ne accorgevano i colleghi che erano vicino a me». Lo abbiamo visto anche nella pandemia, scoprendo di essere sulla stessa barca e che solo insieme potremo salvarci. Gesù è salito sulla nostra barca perché sappiamo da che parte sta Dio e perché lo seguiamo nella sua scelta di amore. Ricordiamoci che chi qui prega ama Dio e da qui esce per amare il prossimo e solo nell’amore c’è la vittoria.

02/08/2020
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