Messa nel 3° anniversario della morte del Card. Caffarra

Bologna, Cattedrale di San Pietro

Il profeta chiede di essere una sentinella. La Parola di Dio sempre ci invita a non addormentarci, per essere dentro la storia degli uomini, attenti alle domande e pronti a riconoscere la presenza di Dio ed a comunicarla.

La sentinella sa che la luce c’è e la aspetta per sé e per gli altri. Non si abitua al buio, perché cerca la luce per tutti, anche quando tanti non aspettano più.

Non si lascia prendere dalla disperazione o dal sonno. Guarda il cielo e scruta la terra. Come è noto le stelle si vedono di più proprio quando il buio è più profondo e l’alba arriva quando la notte è più scura. La sentinella vive l’angoscia e l’attesa di chi sta nel buio, spera che la notte finisca, che venga l’aurora.

A volte facciamo grande fatica a non lasciarci conquistare dalla rassegnazione, come in certe notti di dolore, quando la luce sembra ormai un ricordo lontano e si misura solo l’angoscia del buio che ci avvolge. E’ il buio drammatico dell’umanità, che cancella la pietas, quando l’uomo diventa onnipotente e regola a se stesso, quando si diventa prigionieri delle dipendenze tanto da perdere il rispetto minimo alla vita dell’altro e la vita stessa diventa consumo, tutto diventa possibile perché niente ha valore. La droga è notte che spegne la vita, perché si vive per la droga.

Tutti abbiamo vissuto la notte profonda – e il buio resta nel cuore anche dopo tempo – della paura, della chiusura provocata dalla pandemia! Per alcuni si è spenta la speranza e spesso ci si sente abbandonati in una solitudine pratica, priva di relazioni vere.

Certo, la sentinella sa che non ci sono soluzioni facili, ma parla e attende perché crede che il buio è sconfitto, che sarà sconfitto, anche quando sembra avvolgere tutto, come quei giorni di sconforto. L’apostolo ci invita ad avere solo un legame che ci unisca: il debito dell’amore reciproco.

Non siamo mai padroni e non riusciremo mai a pagare il debito enorme che abbiamo perché siamo solo amati e non premiati! Questo ad alcuni autosufficienti che pensano la vita sia tale e che valga la pena di essere vissuta per conquistare un premio, è inaccettabile.

Tutto si riassume nella carità, nel legame di amore che ci deve unire e che può permettere tutto. Per esempio correggerci. C’è una premessa: ricordati tu che sei debitore, non ti mettere a fare quello che capito tutto e quindi facilmente si mette a giudicare. Gesù ci invita non a essere giudici ma fratelli! “Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo”.

Gesù non dice di fare finta, per poi giudicare male e restituire appena possibile quanto subito. No. Ci chiede di essere fratelli! Non di condannare, ma di aiutare. Spesso non diciamo niente ma abbiamo rotto il rapporto o facciamo crescere le radici di amarezza.

L’uomo buono non ignora il male; non lo nasconde né a se stesso né agli altri. “Va’ e ammoniscilo” significa desiderare che cambi, aiutarlo, parlargli con amicizia, prendersi la responsabilità dell’amicizia, aiutarlo a rendersi conto. A volte pensiamo meglio non dire niente, perché, pensiamo, lui ci resta male.

Se noi parliamo con amicizia e fraternità è evidente che lo facciamo per aiutare, non per offendere! Lui si rende conto che lo aiutiamo a capire, ad accorgersi! Tutti abbiamo bisogno di un fratello! Togliamo il veleno dei confronti, dell’umiliazione e dell’orgoglio e saremo tutti migliori.

Ci vogliamo bene non perché nessuno ci può dire niente, ma proprio perché umili, aperti a farsi aiutare, bisognosi di questo. Certo, non fa piacere a nessuno. Ma sappiamo anche che tutti abbiamo debiti da farci perdonare. Il problema non è difendersi, accusare, condannare, ma essere amici e aiutare a cambiare, a recuperare il proprio io!

Spesso di fronte ad una colpa chiudiamo qualsiasi rapporto, non vogliamo più avere contatti, allontaniamo. Così lasciamo soli e per noi il peccatore diventa solo il suo peccato. Non si vince il male con il male, ma solo scegliendo di volere bene, di comporre ogni divisione con il dialogo e l’incontro.

L’apostolo Paolo afferma: “La pienezza della legge è la carità”. Va tu da lui. Da fratello, con attenzione, ricostruendo la fraternità. All’inizio veditela tu, direttamente. Se non va bene, parlargli con altre due o tre persone, perché sia più consapevole dello sbaglio che ha fatto; se, nonostante questo, non accoglie l’esortazione, bisogna dirlo alla comunità; e se non ascolta neppure la comunità, occorre fargli percepire la frattura e il distacco che lui stesso ha provocato, facendo venir meno la comunione con i fratelli nella fede.

Questa consapevolezza può rappresentare la partenza per cambiare, per rientrare in sé, per scegliere di tornare. Parliamo per non fare vincere l’odio, il rancore sordo che cresce proprio per la non chiarezza, come le chiacchere e per la mancanza di comunione. Non è rinfaccio, umiliazione, ma misericordia.

“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Siamo contenti quando possiamo ritrovarci fisicamente insieme nel suo nome dopo un periodo più o meno lungo di lontananza. Non riprendiamo un’abitudine, ma riscopriamo un dono! Non possiamo restare lontani!

La Chiesa è comunione di due o tre riuniti intorno a Lui e questa è eucaristica, perché nell’amore dei fratelli spezziamo e viviamo lo stesso pane di Cristo. In un mondo in cui sembra impossibile accordarsi anche tra vicini e simili, che cede alla logica della divisione e ne accetta passivamente le conseguenze, il Vangelo non cessa di credere possibile la concordia tra uomini, non si stanca di invitarci a compiere la dolce e gioiosa fatica di accordarci tra noi, perché c’è una forza capace di rinnovare il mondo.

Abbiamo un motivo in più per farlo: pregare! La concordia si crea intorno al suo nome: proprio perché non siamo noi al centro ma c’è Lui possiamo avere un “cuore solo”. Non siamo mai la somma di tanti individui. E’ in mezzo a noi. “Dov’è carità e amore lì c’è Dio”. Non siamo mai soli. Finché ci sarà una amicizia così, intorno a Gesù, per solo amore, ci sarà la preghiera, cioè la speranza di cambiare il mondo

Questa sera ricordiamo il Cardinale Caffarra. Era un uomo innamorato e preoccupato per la Chiesa e per l’umanità e certamente avrebbe desiderato venisse capito di più questo suo coinvolgimento personale e fortemente affettivo, mai trasformatosi in qualche opportunismo. Uno dei suoi ultimi discorsi, scritto pochi mesi prima dell’improvvisa scomparsa, era sul tema: “Chi ricostruisce l’umano?”.

E’ anche la nostra condizione dopo la pandemia. Utilizzò una metafora. “Due persone stanno camminando sull’argine di un fiume in piena. Uno sa nuotare, l’altro no. Questi scivola e cade nel fiume, che sta travolgendolo. Tre sono le possibilità che l’amico ha a disposizione: insegnare a nuotare; lanciare una corda raccomandargli di tenerla ben stretta; buttarsi in acqua, abbracciare il naufrago, e portarlo a riva.

Quale di queste vie ha percorso il Verbo Incarnato, vedendo l’uomo trascinato all’auto-distruzione? La prima, risposero i Pelagiani, e rispondono tutti coloro che riducono l’evento cristiano ad esortazione morale. La seconda, risposero i Semi-pelagiani, e rispondono coloro che vedono grazia e libertà come due forze inversamente proporzionali.

La terza, insegna la Chiesa. Il Verbo, non considerando la sua condizione divina un tesoro da custodire gelosamente, si gettò dentro la corrente del male, per abbracciare l’uomo e portarlo a riva. Questo è l’evento cristiano. Chi ricostruisce l’umano? La grazia di Cristo”.

Ecco, ringraziamo il Signore perché la sua passione per la Chiesa e per il mondo ha sempre qui la sua partenza e il suo arrivo e anche nelle forti difficoltà ha sempre manifestato, e lo cito, “la assoluta dedizioneed il nostro amore incondizionato alla Cattedra di Pietro il “dolce Cristo in terra”, come amava dire S. Caterina da Siena”.

Il discorso con lui si è improvvisamente interrotto ma continua nell’amore pieno alla Chiesa e al mondo. Egli chiuse il processo diocesano per la beatificazione di padre Marella e oggi, che è anniversario della morte di entrambi, vorrei ricordare le parole che egli pronunciò a riguardo: “P. Marella richiama la coscienza della nostra città, è una salutare spina piantata nella sua carne”.

“Egli ha conosciuto la miseria umana, con tutte le forze egli li ha avvicinati. In un solo sguardo, nello stesso sguardo egli ha visto nel povero, Cristo e ha visto in Cristo, il povero”. E, aggiungo, ha insegnato con ferma dolcezza, con il suo esempio umile e gentile, a farlo a tanti.

“La sua testimonianza resti sempre piantata nella coscienza della nostra città, perché nessuna sorta di collasso o atonia spirituale spenga mai nei suoi abitanti il desiderio del vero amore”. Questa è la preghiera di Caffarra che ci accompagna in questi giorni e ci spinge a buttarci ancora in acqua perché tanti hanno bisogno di salvarsi nel naufragio della vita.

06/09/2020
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