Messa per il Giubileo delle Famiglie al Villaggio senza Barriere di Tolè

Pietro e gli altri apostoli – la Chiesa è comunità, a chi li accusava e li intimidiva cercando di imporgli di nascondere la propria fede e di tradire un’altra volta il Signore – rispondono in maniera molto ferma: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. È questa la nostra libertà, perché obbedire a Dio ci fa trovare quello che davvero fa bene e risponde alla speranza che ci è stata affidata e che ogni persona porta nel cuore. Noi siamo chiamati a testimoniare la nostra fede, non perché abbiamo capito tutto, perché siamo perfetti, perché ci sentiamo superiori agli altri, ma perché è amore che non possiamo tenere nel cuore, è luce che illumina la nostra vita. È l’amore che ci fa sentire forti della forza che protegge e non distrugge la vita. “Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono”. Bonhoeffer scrisse: “Cristo non ci aiuta in forza della sua onnipotenza, ma della sua debolezza e sofferenza! Qui sta la differenza rispetto a qualsiasi religione!”. La religione del mondo ci fa cercare una forza che è in realtà disumana, che fa nascondere la fragilità e disprezzare la debolezza, che ci fa credere di stare bene imponendosi o possedendo, cercando un modello di realizzazione esoso, che porta a sacrificare quello che invece conta per davvero.

Nei giorni prossimi i Cardinali – che erano i parroci di Roma che eleggevano il loro Vescovo tanto che ogni Cardinale è titolare di una “parrocchia” a Roma proprio per questo legame – sceglieranno il successore di Pietro. Dobbiamo ringraziare Dio per il dono di Papa Francesco che ha cercato di pascere le sue pecore obbedendo a Gesù e non agli uomini e insegnando a loro a mettere sempre al centro la Parola di Dio. Fino alla fine ha amato con gioia, ha cercato disperatamente la pace perché ha fatto suo il dolore immenso provocato dalla guerra, di un solo Abele ucciso da suo fratello Caino.

Ha amato e ha insegnato ad amare per diventare fratelli tutti, vincendo le paure di farlo, i calcoli, le convenienze, le ingiustizie che fanno invece crescere l’odio, la chiusura, l’indifferenza. Ha ricordato che essere cristiani significa seguire Gesù, prendere sul serio la Sua parola, amare i poveri e i fratelli e che il Vangelo non è la benedizione dell’individualismo o del benessere individuale perché chi ama Dio ama il prossimo.

Ha dato tanto cuore e ci aiutato a trovare cuore in un mondo dove comandano i soldi, gli interessi, le dipendenze, la forza, tanto che avere cuore per il prossimo sembra una perdita per l’io. Papa Francesco ci ha dato tante parole per capire i segni dei tempi e ci ha mostrato un amore possibile, umano, libero, comunitario, amore che rende tutto più bello e fa scoprire il valore dell’altro. Ci ha fatto sentire amati in maniera concreta, semplice ed esigente, senza giudicare, anzi liberando da tanti giudizi chiedendo a tutti di non restare a guardare, di amare servendo e pensarsi insieme al prossimo, non come quel personaggio dei Promessi Sposi che apparecchiò per gli ospiti ma non per sedersi con loro perché di umiltà “n’aveva quanta ne bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari”.

Il Papa è il servo dei servi e ci ricorda che grande è colui che serve. Papa Francesco ci ha aiutato ad essere umili per davvero, mostrandoci la bellezza di stare a tavola insieme, a visitare personalmente i prigionieri, come ha voluto fare fino, possiamo dirlo, all’ultimo respiro. Il successore di Pietro è chiamato a presiedere nella carità. Aiutiamo con la preghiera e l’invocazione allo Spirito Santo, Spirito di amore, di consiglio, di intelletto, di timore di Dio, di comunione e ricordiamoci che questo ci chiede di crescere nell’amore, cioè pensarci in relazione a Dio e al prossimo e non viceversa.

La Sua Parola rende la nostra vita bella. Quante notti senza prendere nulla! Quanta disillusione, che ci indurisce, perché senza speranza finiamo per diventare fatalisti e prigionieri del presente. Il Signore ci invita di nuovo a gettare le reti. Ha speranza e vuole che le nostre speranze non vadano deluse. Gesù prepara una mensa. «Venite a mangiare», condivide la gioia. La speranza non è individuale, ma è solo pensandosi assieme.

Vuol dire anche: state con me, desidero stare con voi, mi preoccupo di voi. Lui non smette di amarci, si pensa in relazione a noi e ci insegna ad amare il prossimo. Per questo, dopo averci amato “sino alla fine” ci fa una domanda, diretta, personale: “Mi ami più di costoro?”. Pietro gli risponde: “Ti voglio bene”. Lo chiede per tre volte non perché non si fida, ma per aiutarci ad amare per davvero, ad andare in profondità, a non restare in superficie, a sentire la profondità dell’amore, ad averne consapevolezza, a saperlo comunicare, a fare i conti con noi stessi e, sempre nella parzialità del nostro cuore, saper dire con libertà e consapevolezza: “Sì, ti voglio bene”.

Ce lo chiede perché impariamo a dire ti amo anche quando non conviene, perché vuole sia un amore vero, nostro, personale, non perfetto, amore più forte della paura che fa conservare e non perdere. È l’amore più grande delle convenienze, dei calcoli, di ciò che appare, delle resistenze, che chiede al successore di Pietro e, in realtà, a tutti noi. Gesù che lo chiede significa anche che cerca proprio il nostro amore, che ne ha bisogno. Si espone Lui! Dio mendicante d’amore, che ha fame di amore e lo cerca nei nostri cuori distratti e dispersi. In greco il verbo “filéo” esprime l’amore di amicizia mentre il verbo “agapáo” significa l’amore senza riserve, totale ed incondizionato. Potremmo dire che l’amore è volere bene e viceversa, che per Gesù volere bene non è una frase che non significa nulla, perché per Lui è un legame personale che non deve essere deluso.

Quanto c’è bisogno di persone che amino per davvero, che vogliano bene a Gesù e per questo al prossimo! Impariamo a guardare la Chiesa come un madre da amare, come una famiglia a cui legare la nostra vita, i nostri affetti, dove servire è amare e amare è servire. Il Signore per mille volte chiederà quello che cerca più di tutto e che è quello che resta e che ci dirà fino alla fine: “Io ti amo!” E aggiungerà: “Seguimi”. Sì, perché volere bene, amare, essere amico, non è una definizione astratta, statica, ma ci mette in movimento ed è solo stare dietro a Lui, non alle nostre sicurezze, che ci porta ad amare. Seguire, perché amare Gesù non è una legge ma una vita, un incontro, un cammino e Lui ci sarà sempre davanti e noi non smetteremo mai di imparare e di scoprirne la bellezza.

 Disse Papa Francesco: “Sia il progressismo che si accoda al mondo, sia il tradizionalismo – o l’indietrismo – che rimpiange un mondo passato, non sono prove d’amore, ma di infedeltà. Sono egoismi pelagiani che antepongono i propri gusti e i propri piani all’amore che piace a Dio, quello semplice, umile e fedele che Gesù ha domandato a Pietro mi ami tu? Ridiamo il primato a Dio e all’essenziale: a una Chiesa che sia pazza di amore per il Suo Signore e per tutti gli uomini, da Lui amati; a una Chiesa che sia ricca di Gesù e povera di mezzi; a una Chiesa che sia libera e liberante.

“Dio ci liberi dall’essere critici e insofferenti, aspri e arrabbiati”. Tutti. Non cediamo alla tentazione della polarizzazione. Quante volte, dopo il Concilio, i cristiani si sono dati da fare per scegliere una parte nella Chiesa, senza accorgersi di lacerare il cuore della loro Madre! Quante volte si è preferito essere “tifosi del proprio gruppo” anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, “di destra” o “di sinistra” più che di Gesù; ergersi a “custodi della verità” o a “solisti della novità” anziché riconoscersi figli umili e grati della Santa Madre Chiesa.

Il Signore non ci vuole così. Tutti, tutti siamo figli di Dio, tutti fratelli nella Chiesa, tutti Chiesa, tutti. Noi siamo le sue pecore, il suo gregge, e lo siamo solo insieme, uniti. Superiamo le polarizzazioni e custodiamo la comunione, diventiamo sempre più “una cosa sola”, come Gesù ha implorato prima di dare la vita per noi (cfr Gv 17,21). Lasciamo da parte gli “ismi”: al popolo di Dio non piace questa polarizzazione. Il popolo di Dio è il santo popolo fedele di Dio: questa è la Chiesa”. Ecco, è la raccomandazione per noi tutti e per i Cardinali che, guidati dallo Spirito Santo, docili a Lui e puri di cuore, dovranno scegliere il successore di Pietro che deve amare di più per aiutare tutti a seguire Gesù e a farlo vedere con il nostro amore.

Tolè, Villaggio senza barriere
04/05/2025
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