Messa per il XX anniversario della morte di Mons. Giussani

Lasciamoci guidare sempre dalla Parola di Dio. Diffidiamo di chi parla di Gesù senza partire dalla Sua Parola, di chi descrive la cristianità ma non conosce Cristo. La Parola non è funzionale ai nostri criteri. Non ci rispetta chi ci parla non dicendo nulla, non ci capisce chi asseconda la nostra aspettativa, non ci ama chi ci fa fare quello che vogliamo. Noi trasformiamo le pietre in pane proprio perché della Parola del Signore si nutre la nostra anima! Noi non crediamo che la nostra ferita si rimarginerà presto, e che la nostra luce sorgerà come l’aurora di un nuovo giorno invece di una minacciosa e lugubre notte, se dividiamo il pane con l’affamato e introduciamo in casa, la nostra, i miseri senza tetto! La Parola di Dio è annuncio di amore nella solitudine, di gioia nella tristezza, di sazietà nella fame. Quando la riduciamo ad una morale senza vita, ad una lezione che finiamo per interpretare a piacimento, il seme della Parola, pur messo nel nostro giardino, non può dare frutti, resta solo, fuori dal tempo e dalla terra buona, e non può colmare l’abisso del nostro cuore facendolo sentire tutto amato.

Questa sera ringraziamo Dio per il fatto, diremmo l’avventura – che vuol dire anche una storia non prevedibile, non scontata, dentro la storia e non fuori – del Servo di Dio Luigi Giussani e della comunità a cui ha legato tutta la sua vita. In questa l’amore è diventato personale e comunitario, spirituale e concreto, intimo e sociale. Nella fraternità impariamo a gioire con chi è nella gioia e a piangere con chi è nel pianto. Nella fraternità vediamo il riverbero dell’amore di Dio che ci ha fatto conoscere la Sua presenza. Dante descrive questo con la vera relazione di amore che desidera, desiderando se mi intuassi come tu ti inmii. Il Signore si immedesima con noi e ci insegna a pensarci individualmente ma non isolati, insieme, liberi dal demone dell’orgoglio che rende voraci, banalmente invidiosi, competitivi, incapaci di aiutarsi. L’individualismo può sempre entrare nella fraternità ed è veleno pericoloso che la paralizza, la condiziona, la riempie di confronti per cui quello che è suo non è mio, con conseguente esaltazione o depressione. Invece chi confida nel Signore “è come un albero piantato lungo un corso d’acqua”, saldo e che sempre dà frutti. Contempliamo questo nella vita della comunità, nella nostra debole e sempre contraddittoria vita che, però, sperimenta la gioia sempre nuova dell’amicizia che ci unisce, di forza e legami che ci fanno affrontare le difficoltà della vita, a volte così dolorose, e anticipo della gioia vera.

Il nostro, invece, è un mondo che contrappone l’io al noi, atomizza, ci fa pensare slegati tanto che crediamo di trovare noi stessi proprio in quanto senza legami. Si esalta l’io e si svuota di importanza e di significato la vita comune, la capacità di lavorare insieme per un bene comune, l’ascoltarci, la comprensione delle ragioni dell’altro. Sembra allora che individuare un “nemico” contro cui scagliarsi verbalmente sia indispensabile per affermare se stessi. Come ci ha insegnato don Tonino Bello, tutti i conflitti “trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti”. L’esperienza della comunità è esattamente il contrario, è riconoscere il volto dell’altro, della sua storia, che fa così scoprire anche il nostro nome. Perché se si dissolvono i volti scompare anche il mio e non so riconoscere quello più umano, il volto di Cristo. Per questo Papa Francesco ci ricorda che se dimentichiamo e se non ci preoccupiamo della comunità “la nostra amicizia con Gesù si raffredderà. Non va mai dimenticato questo segreto. L’amore per i fratelli della propria comunità è come un carburante che alimenta la nostra amicizia con Gesù. Gli atti d’amore verso i fratelli di comunità possono essere il modo migliore, o talvolta l’unico possibile, di esprimere agli altri l’amore di Gesù Cristo”. Anche per questo esprimo gratitudine a Davide Prosperi per il suo servizio come Presidente alla comunione della vostra Fraternità, comunione che tutto e tutti comprende perché ha Gesù al centro ed è tesa solo a seguire Cristo. È un servizio che richiede la comunione di tutti, perché sappiamo come questa sia circolare, ed è forte e ricca proprio quando la sentiamo nostra, e così regaliamo l’originale e unico che è ognuno di noi con la sua santità. Quanto c’è bisogno di questa presenza in un mondo che cerca il volto a tentoni, sempre con tanta sofferenza! “I cristiani non sono anzitutto quelli che parlano di Dio, ma quelli che riverberano la bellezza del Suo amore, un modo nuovo di vivere ogni cosa. È l’amore vissuto a suscitare la domanda e ad esigere la risposta: Perché vivete così? Perché siete così? Possiamo accendere in tutti la speranza in un tempo così travagliato, parlando al cuore, suscitando atteggiamenti di apertura e amicizia; rivelando la bellezza e la speranza anche nelle situazioni apparentemente più disperate; generando impegno, empatia, interesse per gli altri. La speranza è sempre un progetto comunitario”.

Giussani scriveva: “questa compagnia è fatta di gente che sta insieme solo perché c’è Cristo, per dedizione a Cristo e pietà per il mondo, affinché il mondo conosca Cristo. Sei nella tempesta, irrompono le onde, ma vicino hai una voce che ti ricorda la ragione, che ti richiama a non lasciarti portar via dalle ondate, a non cedere. La compagnia ti dice: Guarda che dopo splende il sole; sei dentro l’onda, ma poi sbuchi fuori e c’è il sole. Soprattutto ti dice: Guarda. Perché in ogni compagnia vocazionale ci sono sempre persone, momenti di persone, da guardare. Nella compagnia, la cosa più importante è guardare le persone. La compagnia è perciò una grande sorgente di amicizia. L’amicizia è aiutare l’altro a camminare verso il suo destino”. Ecco, questa è la beatitudine che sperimentiamo oggi nella nostra vita, quando forse saremmo scettici di trovare felicità o finiremmo per cercarla nelle false gioie che tanto deludono.

Gesù mette in guardia. Guai a voi non è una minaccia, ma un appassionato avvertimento perché tutti possano trovare gioia vera. Non vogliamo “un cristianesimo che ha dimenticato la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona, l’esser conquistati dalla bellezza di Cristo, l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale”. Lasciamoci oggi aiutare a trovare e a ritrovare la gioia che tutti cercano, perché non possiamo accontentarci di “sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali. Ciò rinchiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti”. Abbiamo bisogno di una felicità che oggi si compie nell’amore, così da poter dire già ora: “Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi”. Gesù ci promette che già oggi la povertà rende nostro il Regno di Dio. Se piangiamo, rideremo. Se abbiamo fame, saremo saziati, se condividiamo il pane, invece di consumarlo tutto per noi pensando di essere beati perché sazi, troveremo la nostra ricompensa. Ecco la nostra speranza. C’è bisogno di angeli di speranza in un mondo fatalista, scettico, e che non vuole pagare il prezzo della speranza.

Diceva Giussani: “Solo Cristo è la nostra speranza, altrimenti saremmo obbligati a cadere o in un ottimismo fasullo, presuntuoso e cinico anche quando fosse fatto da grandi filosofi, oppure nell’utopismo banale o grandioso, pieno comunque di violenza”. Aveva un desiderio: “Gli uomini, giovani e non più giovani, hanno bisogno ultimamente di una cosa: la certezza della positività del loro tempo, della loro vita, la certezza del loro destino. Che attraverso noi conoscano il nome e la presenza di questo destino: il Signore è con noi, Cristo è con noi, Emmanuel, il Dio-con-noi. Che grande cosa siamo chiamati insieme (uno non può ritirarsi dagli altri) a vivere e a realizzare! Aiutiamoci dunque a dilatare nel mondo quella speranza che non può togliere il dolore – perfino Dio, diventato figlio di una donna lo ha vissuto – ma che toglie, dalla radice, ogni paura. Insieme, rendiamo conto della speranza a chiunque vi domandi”.

Ringraziamo di questa casa, di questo cammino che con gioia percorriamo. Volevo concludere con le parole di un canto caro a Giussani e a tutti voi, con la forza e l’unità che i canti fanno vivere e generano. Mi hanno detto – e non nascondo che mi ha personalmente colpito – che tra i tanti, tutti importanti e significativi, per lui e per voi “Povera voce” era per come l’inno del Movimento. Nell’intervento conclusivo agli Esercizi spirituali della Fraternità del 2000 lui disse: “Provate a pensare all’inno del nostro movimento, a quelle parole che ha dettato la Maretta Campi, con la musica creata dalla Adriana Mascagni: «Povera voce di un uomo che non c’è, la nostra voce se non ha più un perché. Ma deve gridare, deve implorare che il respiro della vita non abbia fine. L’urto grande del desiderio della vita, con l’emozione, con l’impegno, con l’emozione del sentimento, con l’impegno della libertà, potrebbe anche essere subito come necessità da realizzare. Povera voce di un uomo che non c’è: se questa voce non avesse un perché, sarebbe fallace e vuota. Per questo, se deve gridare e deve implorare che il respiro della vita non abbia fine, deve anche cantare perché la vita c’è. Questa è la ragione immensa, senza paragone con nessun’altra parola. Tutta la vita chiede l’eternità. Alzandoci al mattino per una giornata frenetica, per una giornata faticosa, per una giornata libera da accordi particolari, deve cantare perché la vita c’è; tutta la vita chiede l’eternità. Tutta la vita chiede l’eternità. Provate a pensare a quarant’anni in cui tutta la vita ha chiesto l’eternità! Non può morire, non può finire la nostra voce che la vita chiede all’amore. Per questo non è povera voce di un uomo che non c’è: la nostra voce canta con un perché”. “Quando ripensavo, in questi giorni, a chi ha composto questo canto, con le parole e con la musica – e sono state due amiche di quindici-sedici anni –, mi chiedevo: ma chi è capace adesso di trovare un’espressione così sintetica e vivace, capace di richiesta, riconoscibile da tutti come seria e sincera? La nostra voce canta con un perché”. Grazie al Signore, a don Giussani, se questo continua ad accadere.

Bologna, basilica di San Petronio
16/02/2025
condividi su