Sento molta gioia nel ritrovarci assieme. Questa casa, con il suo significato antico e recente, con la sua bellezza austera e le sue dimensioni grandiose, come a voler contenere tutta la città e aiutarci, singolarmente e assieme, a contemplare il mistero di Dio, ci aiuta a sentirci comunità cittadina. È casa di Dio e casa degli uomini, casa dove lo spirituale e l’umano si intrecciano, si uniscono perché casa di un Dio che fa sua la nostra “effigie” e ci aiuta a scoprire la sua in ogni persona. Non dobbiamo tutti crescere nella dimensione spirituale, quella fondamentale per capire la vita e dare anima a quello che facciamo? Cosa diventiamo quando comanda il materialismo pratico che detta le nostre scelte, immiserisce le nostre relazioni e la comprensione di quello che siamo?
Qualcuno parla di “egolatria”, di idolo al quale si sacrificano anche gli affetti più importanti! Ecco, oggi sentiamo la presenza spirituale di quel Gesù al centro della navata che ci accoglie con le sue braccia aperte sul mondo per sollevarci e, allo stesso tempo, per chiedere a noi di aiutarlo con le nostre braccia a sollevare i tanti che sprofondano nell’abisso del dolore, della povertà, della malattia. La dimensione spirituale non è affatto distante e complicata: è molto umana e personale, anzi ci aiuta a trovare quello che siamo. Quanta sete di spiritualità e di relazioni non funzionalistiche e possessive, di parole autentiche! È lo Spirito, cioè l’amore di Dio in noi e il nostro in Lui, che ci dona la forza per affrontare la tristezza, la fatica, le difficoltà pratiche, per non arrenderci mai al male, per comprendere come la vita è benedetta, sempre.
Oggi guardiamo assieme la città, tutta. Farlo con Gesù ci fa aprire gli occhi e raggiungere quello che resta nascosto. Lo sguardo di Gesù è quello dell’amore per il quale l’altro non sarà mai un dato, un numero, una pratica insignificante ma sempre una persona, unica, irripetibile, interessante. Scopriamo in ognuno qualcosa di bello, umano, unico, altrimenti finiamo per non accorgerci di niente! San Petronio continua a farci vedere la città che protegge ma ci mostra pure perché la amiamo e la proteggiamo anche noi, riconoscendo i tanti luoghi di sofferenza, di povertà, di solitudine, nascosti nelle case e nei cuori delle persone. Niente di quello che è umano ci è estraneo se è amato e se capiamo la domanda di amore che contiene.
La capiamo e la facciamo nostra, cercandola nelle sue pieghe più nascoste, quelle che richiedono tempo, tenerezza, attenzione, cura, vicinanza ad un mondo affrettato che si tiene invece a distanza, che si ferma solo per quello che conviene, che ha sempre fretta. Il male, disse una volta Papa Benedetto XVI, viene raccontato, ripetuto, amplificato, tanto che finiamo per abituarci ad esso, alle cose più orribili, intossicandoci, perché il negativo non viene pienamente smaltito e giorno per giorno si accumula.
“Il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono”. Senz’amore la città ci abitua al male, mette paura perché rivela come è attraversata da tanta violenza, terribile, inquietante, crudele, come sempre è la violenza, frutto essa stessa di paura. C’è tanta paura della vita, tanto che sappiamo solo difendere il nostro e finiamo così per averne tantissima e per non gustarla più nemmeno noi, perché la vita richiede sempre il plurale, come l’amore, e se ne facciamo invece un fatto singolare non basta mai, la consuma tutta e finisce, diventa sterile. La paura fa chiudere le porte, riduce la solidarietà, fa credere in diritto di pensare a sé e che sia possibile, anzi necessario, salvarsi da soli.
Paura e violenza, come quella che arriva – in realtà cresce silenziosa facilitata dall’indifferenza, dall’insicurezza, dalla competizione, dal vuoto – a recidere la fragilità di un giovane fiore all’inizio della sua vita o a colpire le persone vicine, come avviene con le tante violenze domestiche. C’è tanta violenza nello sfruttamento delle persone, del loro corpo, ridotte a braccia. È anche la violenza delle porte chiuse in faccia, che umiliano e riempiono di sconforto e rabbia. È anche la violenza legata così tanto alle dipendenze, che richiedono un rinnovato sforzo di cura e di liberazione.
Quanta violenza verso le persone fragili, che inizia con la mancanza di delicatezza e di attenzione, con le parole e il pregiudizio! Per ferire un anziano, come un bambino, ci vuole molto poco! Violenza che nella guerra vediamo diventare macchina di morte e perdita di ogni umanità. La violenza si combatte solo affrontando il male con l’amore, la solidarietà, il dialogo, la cura, come il Signore vive e chiede. La violenza si vince con la richiesta di perdono, anche a distanza di anni, per liberare dal seme dell’odio e della vendetta, come con nobiltà e coraggio ha fatto il Presidente tedesco a Marzabotto. È da quell’orrore che nasce la scelta dell’Europa. Occorre ridare anima, e anima cristiana e umanistica della fratellanza umana all’Europa, perché altrimenti tradiremmo il lascito di quelle vittime e penseremmo di crescere di nuovo gli uni senza gli altri. Guai! Solo insieme c’è futuro.
Ecco, insieme a San Petronio, discepolo di Gesù e nostro padre, capiamo come si combattono la paura e la violenza, che richiedono sempre uno sforzo di tutti, scelte lungimiranti, capacità rinnovata della politica di esercitare l’amore politico, collaborando insieme sui temi sociali che esigono un dialogo vero che coinvolga tutti nelle diverse parti e responsabilità. A ciascuno di noi è chiesto di non vedere la città da estraneo, da spettatore, ma sempre come la propria casa.
La paura e la violenza si combattono con l’intelligenza della mente e del cuore, con l’amore che disarma come San Francesco il lupo e lo restituisce alla comunità, perché in ogni uomo c’è il desiderio di essere accolto come persona e considerato una realtà sacra, perché ogni storia umana è una storia sacra e richiede il più grande rispetto. Come hanno scelto i genitori di Fallou, perché non avvenga più per nessuno e per svuotare le tasche, le mani, le menti dai tanti coltelli che feriscono e uccidono. La Chiesa è madre, madre di tutta la comunità che vuole amare e servire. Aiutiamo questa madre che non può accettare tanta disumanità. Tutti possiamo farlo, perché non c’è nessuno che sia talmente povero da non avere qualcosa da donare e da non scoprire che c’è qualcuno che è più povero di lui.
La Chiesa, cioè noi, è una madre che riveste di dignità infinita la vita, dal suo inizio, in realtà misterioso e affascinante, sino alla sua fine, sempre da curare e da proteggere. La Chiesa non umilierà mai i suoi figli rinfacciandogli i problemi, ma neanche li lascerà soli e a tutti chiederà di amare, non di vivere per se stessi. Essa non giudica ma salva, non condanna ma ama. Nella città a volte ci sembra tutto anonimo e finiamo anche noi per diventarlo. Altre volte pensiamo che non cambi nulla e che tutto è vano tranne il pensare a noi stessi. La città cambia se io inizio a cambiare, se sento l’amore che mi protegge, se guardiamo con interesse l’altro, se cerchiamo di capirlo invece di essere distratti o pieni di giudizi malevoli.
Altrimenti, come dice Papa Francesco, “l’individualismo consumista rende gli altri meri ostacoli alla propria piacevole tranquillità e si finisce per trattarli come fastidi e l’aggressività aumenta” (FT 222). Vorrei chiedere a tutti, nell’anno in cui ci prepariamo al Giubileo, di essere lieti nella speranza, per essere stelle in mezzo all’oscurità, per cercare assieme il futuro donandolo agli altri. San Petronio, padre della città e di tutti, che custodisce e difende, ci aiuti ad essere pieni di speranza e a non aver paura della vita, donandola e difendendola, accogliendola, facendola crescere. Non c’è futuro senza speranza. Dio benedica la nostra città, le nostre famiglie e ci insegni ad essere comunità di Fratelli tutti.