Messa per la “Tredicina di sant’Antonio”

La voce di Dio, la sua Parola, cerca sempre l’uomo. Anche Dio ha bisogno dell’uomo, non lo abbandona. “Dove sei?”. Dio ci aiuta a trovarci e cercandoci ci fa capire dove siamo. Non ci dimentica. Ci chiama, fragili e peccatori come siamo, per non lasciarci prigionieri di quel vero peccato originale che è l’orgoglio, l’amore per se stessi contrapposto all’Altro che è Dio, per cui finiamo per credere che solo senza di Lui troviamo il nostro io. Adamo passa dalla pienezza dell’amore – desiderio che è rimasto scritto nel nostro cuore con la “profonda nostalgia di Dio, tanto che solo quando ti troviamo abbiamo pace – alla paura, che lo spinge a scappare Dio che lo ama. Siamo fatti per amare e fuggiamo da lui. Il grande ingannatore continua a nascondere il senso della nostra vita e la Parola da cui veniamo, come se esistessimo per caso, come se tutto iniziasse da me e si esaurisse in me. La divisione entra e gli uomini la assecondano. Perché e da dove viene il serpente è il mistero del male. Questo semina la diffidenza verso quello che Dio ci aveva chiesto, facendoci credere che Dio non ci voglia bene così come pensiamo; rende il consiglio una legge, l’amore una proibizione, la parola una legge. Nessuno nasce cattivo, ma tutti siamo segnati dalla cattiveria. Ci cresce dentro e ci comanda, tanto che se non la combattiamo diventa abitudine, istinto, regola. Siamo fatti per il Paradiso, possiamo viverlo, eppure costruiamo inferni. Al contrario sperimentiamo pienezza di vita quando “sentiamo” l’amore di Dio per noi, la chiamata personale alla santità, a ricostruire la pienezza tra cielo e terra, tra l’amore per Dio e l’amore per il prossimo e tra l’amore per me e per colui che incontro, per tutti. La santità è anticipo del mondo futuro e ricostruzione del disegno di Dio su di noi e sul mondo. Non è affatto la perfezione ma la capiamo quando sentiamo l’amore dell’inizio e scopriamo quell’uomo delle origini che è la nostra vera vocazione, il senso della nostra vita, la missione per cui io sono a questo mondo. “Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi”.” Tutto infatti è per voi” Tutto, come all’inizio. E quando siamo pieni dell’amore di Dio e con questo sappiamo vedere il prossimo, tutto si accende di vita, diventa luminoso, ci fa cantare anche a noi la bellezza del creato e del creatore, la gioia di essere creatura e di riconoscere in tutti il nostro fratello, anche nel lupo. Tutto e tutti, non qualcuno, secondo le nostre categorie, perché il prossimo non dipende dagli altri ma da noi, dall’amore che abbiamo, per cui tutti da uomo o donna estranei, indifferenti, addirittura nemici diventano i più vicini. Prossimo non è qualcuno che corrisponde ad una categoria predefinita. Tutti possono diventarlo. Dipende solo da me, come diceva Mazzolari, se amo con l’amore che Dio mi ha messo dentro, invece di passare oltre, restare indifferente assecondando il Divisore e restando io senza il mio prossimo.
L’amore che è donato da Gesù, quello di San Francesco e di Sant’Antonio è “lo sguardo sulle cose invisibili”, quelle che “sono eterne”. Chi guarda in cielo – e “non per aria” – chi sogna di giorno e ad occhi aperti perché cerca futuro e lo crede possibile, vede le cose invisibili nascoste nella realtà, l’amore in ognuno, la scintilla di Dio anche dove ci sembrerebbe non esserci nulla. E la realtà cambia se la vedo riconoscendo in essa le cose invisibili! Questo è essere santi, cioè pieni di amore, il segreto indicato nella esortazione Gaudete et exultate, (23) che ci fa scoprire “quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita”, per non dimenticare che «non è che la vita abbia una missione, ma che è missione». Gesù ci vuole suoi familiari, cioè come lui, redenti. Diceva S.Antonio “È un grande segno di predestinazione l’ascoltare volentieri la Parola di Dio. Come l’esule, il quale cerca e sente con piacere le notizie provenienti dalla sua terra, dimostra di amare la sua patria, così si può dire che abbia già il cuore rivolto al Cielo il cristiano che ascolta con interesse chi gli parla della Patria celeste”. Ci aiuta Sant’Antonio perché siamo tutti chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali”. Santi siamo quando ascoltiamo e mettiamo in pratica la Parola, vivendola com’è di solo amore e non una legge, ma una grande proposta di amore.
L’immagine di Antonio da Padova più conosciuta lo ritrae con il bambino Gesù in braccio. Tale immagine risale ad una apparizione post-mortem, che è narrata dalla Cronica XXIV generalium. Nel gesto affettuoso di tenere in braccio il bambino Gesù si manifesta quella misericordia che ne fece un testimone efficace della sua resurrezione. Sant’Antonio sembra offrirci la presenza buona e disarmata di Gesù, ci aiuta ad avere un cuore bambino, come S. Francesco, ci affida il Verbo che continua a farsi carne con la nostra vita, che ci viene affidato da Maria, come la Parola ci è consegnata perché la facciamo crescere in noi. All’amore per la povertà e per i poveri, come gli era stato trasmesso dalla famiglia francescana, Antonio aggiunge di suo l’infuocata difesa dei poveri (che chiama “i poveri di Cristo” e “i fratelli di Cristo povero”) contro i prepotenti, gli usurai, i ricchi profittatori. Era tutt’altro che un invito generico. E’ scritto di Antonio: “Faceva restituire ciò che era stato tolto con l’usura e con la violenza. Fra Giovanni de la Rochelle attesta: “Nel nostro tempo mai abbiamo udito un consolatore così dolce dei poveri e un così aspro accusatore dei potenti. Il 17 marzo 1231, quasi al termine della famosa quaresima quotidiana che aveva galvanizzato la vita cittadina, Antonio si presentò al podestà di Padova e al suo Consiglio chiedendo una riforma del codice penale sui debitori insolventi, che venivano regolarmente cacciati a languire in carceri durissime e disumane, trattati come animali più che come persone umane gli ottenne la commutazione del carcere nel pignoramento dei beni e nell’esilio dalla città. Non dobbiamo anche noi diventare gioiosi e forti difensori dei poveri, forti perché appassionati, riscattandoli dall’abbandono cui vengono condannati da un mondo povero di amore, che scarta la vita secondo le apparenze? La carità è l’anima della fede, la rende viva; senza l’amore, la fede muore”, diceva. Raccomandava: “Se predichi Gesù, egli scioglie i cuori duri; se lo invochi, addolcisci le amare tentazioni; se lo pensi, ti illumina il cuore; se lo leggi, egli ti sazia la mente”
Era un uomo di pace che ricuciva i rapporti tra gli uomini, le relazioni compromesse tra loro. Non ci indica di fare lo stesso per non accettare tanta solitudine e individualismo, per liberare i cuori armati di tanta cattiveria e aggressività? “Riconduceva a pace fraterna i discordi; ridava libertà ai detenuti; faceva restituire ciò ch’era stato rapito con l’usura o la violenza; si giunse a tanto che, ipotecate case e terreni, se ne poneva il prezzo ai piedi del Santo, e su consiglio di lui quanto con le buone o con le cattive era stato tolto, veniva restituito ai derubati. Liberava le prostitute dal turpe mercato, e ladri famosi per misfatti tratteneva dal mettere le unghie sulle cose altrui”.

Papa Francesco ci ha chiesto “una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa o spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada”. I Fioretti descrivono S. Antonio, che “una volta predicando in consistorio dinanzi al Papa e a’ Cardinali, nel quale consistorio erano uomini di diverse nazioni, cioè greca, latina, francesca, tedesca, ischiavi e inghilesi e d’ altre diverse lingue del mondo, infiammato dallo Spirito Santo, sì efficacemente, sì divotamente, sì sottilemente, sì dolcemente, sì chiaramente e sì intendevolemente propuose la parola di Dio, che tutti quelli che erano in consistorio, quantunque fossino di diversi linguaggi, chiaramente intendeano tutte le sue parole distintamente, siccome egli avesse parlato in linguaggio di ciascuno di loro; e tutti stavano istupefatti, e parea che fusse rinnovato quello antico miracolo degli Apostoli al tempo della Pentecoste, li quali parlavano per la virtù dello Spirito Santo in ogni lingua.” Ogni discepolo può parlare con dolcezza e devozione la parola dell’Evangelii gaudium, perché tutti come a Pentecoste capiscono il nostro linguaggio, non perché abbiamo studiato tutte le lingue e poi siamo usciti, ma perchè pieni di Spirito Santo. Come S. Antonio. Ci aiuti Sant’Antonio ad essere uomini della Pentecoste, non per la nostre qualità, ma perché pieni del suo spirito di amore per tutti, tutti gli uomini, perché il Vangelo raggiunga e accenda la speranza nei cuori.
“Se cerchi i miracoli, ecco messi in fuga la morte, l’errore, le calamità e il demonio; ecco gli ammalati divenir sani. Il mare si calma, le catene si spezzano; i giovani e i vecchi chiedono e ritrovano la sanità e le cose perdute. S’allontanano i pericoli, scompaiono le necessità: lo attesti chi ha sperimentato la protezione del Santo di Padova. Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Come era nel principio e ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen (Preghiera di Fra Giuliano da Spira).

10/06/2018
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