Novena in tempo di epidemia, quarto giorno

Bologna, Cattedrale

Continuiamo la nostra novena, questo rito che ci unisce per pregare insieme, che ci aiuta anche ad unire le nostre mani per imparare a pregare perché sappiamo tutti fare molto poco.

La preghiera è non arrendersi davanti al male e presentare al Signore, con l’intercessione di Maria, madre sua e madre nostra, la richiesta, la supplica che sale da tutti, specialmente da chi ne è colpito, da chi è doppiamente isolato e vive con angoscia questi giorni, dei tanti che nel mondo ne sono colpiti e in particolare di quelli non hanno cure, perché finisca l’epidemia. 

Questi giorni ci fanno confrontare tutti con la nostra debolezza, con la nostra realtà. E’ una grande lezione di umiltà, perché ci ricorda chi siamo per davvero, senza deformazioni e che proprio per questo diventa grande e può compiere, come Maria, le cose grandi di Dio.

Umile è il fratello piccolo della parabola, che rientra in se stesso e trova quello di cui aveva bisogno, la sua casa e il padre senza il quale non può vivere. La lotta contro il male richiede umiltà, cioè concretezza e servizio (i “padrieterni” pensano solo a salvare se stessi, scappano oppure non sanno aiutare perché vogliono solo essere aiutati e tutti è dovuto o un diritto) tempo, determinazione, fortezza, prudenza perché il male approfitta della nostra stanchezza, della confusione o della presunzione di credersi immuni. 

Il Vangelo di oggi ci parlava di Gesù che sale a Gerusalemme, affronta il male per vincerlo e per questo dona la sua vita. Perde per vincere, muore per risorgere il terzo giorno, per donarci il sacrificio e l’alleanza nuova ed eterna che abbatte il muro tra il cielo e la terra. Mentre lui parla di questo, i discepoli si mettono a discutere tra di loro, presi dal loro egocentrismo, che rende litigiosi, pieni di confronti e giudizi, nemici degli altri. I discepoli pesano a salvarsi da soli. Gesù pensa a salvare gli altri.

Gesù ci ricorda che grande e primo non è chi fa da solo, ma chi libera dalla solitudine. Grande è chi serve, non chi si fa servire; chi non si preoccupa del suo futuro individuale dimenticandosi degli altri ma chi prepara un futuro per tutti, chi aiuta. Non ci si salva da soli, ma assieme.

Questo non era e non è affatto scontato, anche perché pensiamo esattamente il contrario, cioè che ce la caviamo se pensiamo a noi stessi, se facciamo gli interessi nostri, se troviamo il nostro mio posto non se le preparo per tutti e accompagno altri per trovare il mio! Invece è solo con la preoccupazione del bene comune che vinciamo.

Servire significa avere attenzione, certo, ma anche sconfiggere l’isolamento avendo attenzione per chi è più debole. Usiamo i mezzi che possiamo per non fare mancare a chi non sa doppiamente come fare i segni della nostra solidarietà. Fare la spesa a chi non può uscire, preparare pacchi per i senza fissa dimora, mandare tanti messaggi agli anziani in istituto che non possono ricevere visite. Che tutti abbiano una persona su cui potere contare! Che tutti sappiamo che c’è qualcuno che pensa a lui.

Oggi recitiamo i misteri gloriosi. Anche nelle tenebre più profonde, vediamo la sua luce, la gloria che ci fa mostra quello che non finisce, che nessun virus può spegnere, l’amore più forte del male. E’ una gloria che illumina il nostro cuore, facendoci sentire amati da un Dio che non ci abbandona nella sofferenza ma la prende su di se. Ma è una luce che possiamo donare amandoci da servi gli uni degli altri e regalando un po’ di amore a chi è nella sofferenza, fosse una chiamata, un segno di attenzione, un sorriso. 

Non possiamo, purtroppo, spezzare il pane del cielo ma spezziamo con rinnovato e convinto amore quello della terra. 

11/03/2020
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