Omelia convegno per il 10° anniversario della visita di papa Francesco a Lampedusa

La storia di Eliseo che abbiamo ascoltato ci aiuta a comprendere qualcosa che la paura, lo stordimento, l’inedia ci nascondono o ci fanno capire ma senza scegliere: solo l’accoglienza apre al futuro. Scegliamone i modi, dando e chiedendo sicurezza. Scegliamo in maniera chiara, non dettata dalla paura, ma dalla speranza. Altrimenti ci avvelenerà l’idea di invasione o di un’occupazione indebita, da subire, per cui soltanto dopo anni capiamo che è la vita, che è il futuro, che è normale, che è sempre stato così, che è la vita, la vita che si fa largo tra le nostre diffidenze e ignoranze. Le nazioni non restano mai le stesse. Cambiano! Quello che non dobbiamo perdere è il nostro umanesimo e l’opportunità di testimoniare la nostra fede. Le difficoltà sono sempre un modo per testimoniare il Vangelo. Solo l’accoglienza apre al futuro. Senza, restiamo irrimediabilmente legati al passato. Giustamente Papa Francesco ha messo in relazione la crisi demografica e la non accoglienza. Sono due facce della stessa medaglia, come, al contrario, la natalità e l’accoglienza sono i modi per affrontare con serenità il futuro. Se non ci sono bambini c’è solo molto spazio per l’io. Se non c’è il prossimo si gonfia l’ego, che così non sta bene.

L’accoglienza non è un salto nel vuoto, ma un salto nel futuro! Quante stanze vuote, inutili! E la prima accoglienza è come questa donna: guarda con benevolenza, ha gioia di preparare qualcosa per qualcuno, non cerca la ricompensa, ma la trova proprio per questo, perché lo fa solo per amore, per il gusto di incontrare. Di donare. L’Europa, vecchia e ricca, può essere come questa donna di Sunem. Trova vita, futuro, il senso della propria esistenza donando vita. È lei che invita. Si rende conto che può farlo, che sta meglio. L’accoglienza produce sempre riconoscenza. «Che cosa si può fare per questa donna?», si domanda il profeta. Non lo avrebbe chiesto se non avesse ricevuto qualcosa. Anzi, spesso l’indifferenza produce rabbia, depressione, odio. L’amore è sempre generativo di amore. L’accolto dona futuro a chi accoglie! “Tu terrai in braccio un figlio», gli dice. Ecco il senso dell’accoglienza: preparare il futuro che arriva in maniera inaspettata. Avviene così quando si adotta un figlio, si educa qualcuno, si donano i mezzi per realizzare i sogni, la fiducia per mettersi alla prova, la pazienza per imparare. E non dimentichiamo anche che i cristiani sono chiamati ad essere uomini nuovi, morti con il Signore alla vita vecchia e rinati con Lui ad un amore più forte del male. E la vita eterna non è solo quella che ci aspetta!

Quanto poco ci confrontiamo con la nostra vera casa e siamo così costretti a cercare di rendere eterna questa, scontrandoci poi inesorabilmente con il nostro limite, riempiendoci di cose e non di persone, immergendoci in tante situazioni e possibilità che non servono, perché ciò che serve è il senso, quello che davvero non finisce e che non ci sarà tolto. La casa si misura con le piogge, i venti e le acque che straripano dai fiumi. Non possono abbatterla perché fondata sulla roccia. Crediamo che vivremo con Lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più. La morte non ha più potere su di Lui e su di noi. E dobbiamo temere, lo sappiamo, chi uccide l’anima, chi la intontisce, la rende sterile, come un amore per noi stessi che si oppone a quello per Dio e per il prossimo. L’amore di Gesù è amore vero. Gesù non ci possiede, anzi ci libera dal crederci padroni di noi stessi o dal pensare di stare bene diventandolo. Non c’è via di mezzo, compromesso, perché solo perdendo si trova, solo regalando, senza interesse, si fa crescere qualcosa che dura. Gesù chiede un amore vero, come è il suo per noi. Un amore pieno, senza misure mediocri.

L’amore umile rende grandi ed è sempre grande. Per questo voler bene a Gesù, fare le cose nel suo nome, perché ce lo chiede Lui, ci aiuta a trovare amore umano, personale, fisico, affettivo. Per questo, a noi che vogliamo sempre avere tante possibilità perché amiamo poco, Gesù chiede amore pieno, non quello che avanza, non confuso tra tanti, non emozione che passa. Per questo chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me. In realtà chi ama Gesù amerà di più anche il padre e la madre! Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Ecco la proposta: ama, regala amore, perdi quello che hai affidandolo ad altri, senza ricompensa, che vuol dire senza calcolo, interesse, onori. Solo per amore. Non è così l’amore vero? Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato. Chi accoglie un forestiero accoglie Gesù, e con Lui il Padre. Ma pure chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, è mio discepolo. “Non perderà la sua ricompensa”, cioè l’amore. E lo trova già oggi perché siamo contenti per davvero solo del bene donato per donarlo, non di quello che mettiamo in tasca! La gioia dei piccoli di sentirsi amati è la gioia che resta per noi.

Ma ricordando Lampedusa ci domandiamo: quante morti dobbiamo aspettare? Il ricordo di dieci anni ci umilia perché quel gesto, unico, non è stato però isolato, dimostrativo, ma una scelta che ha illuminato il buio della dimenticanza, dell’indifferenza, dell’emozione digitale per cui restiamo colpiti – e non è detto! – ma poi passiamo ad un’altra immagine. Alla fine il fermo immagine è sempre il nostro volto! Facciamo il fermo immagine su quei nomi, quei volti perduti nell’immensità del mare, drammatici e umanissimi. Sono i suoi piccoli. Dio, però, ricorda anche il nostro bicchiere d’acqua fresca donato, cioè un po’ di sollievo possibile a tutti, così necessario, concreto, tenero, gentile. Non eroi, non grandi scelte: un bicchiere di acqua fresca offerta. Papa Francesco non ha smesso di andare a Lampedusa. Primo viaggio fuori dal Vaticano. Primo perché il più importante, per portarci tutti lì, per farci restare.

Quanti morti servono per farci cambiare, per non accontentarci di dichiarazioni addolorate che sono solo opportunistiche se non significano un cambio di prospettiva e una vera assunzione di responsabilità? La presenza di tanti ambasciatori oggi significa anche il coinvolgimento dell’Africa per questi suoi figli da non dimenticare e che chiedono un impegno a combattere la povertà, la corruzione, l’ingiustizia. La domanda è sempre la stessa: «Adamo, dove sei?». Dove è finito l’uomo? Non Dio! “Dov’è tuo fratello?». Dio ci ricorda la fraternità di cui siamo custodi, perché non siamo isole e perché l’altro è sempre mio fratello. Cosa cercavano? Disse: “Un posto migliore per sé e per le loro famiglie”.  “Prima di arrivare qui sono passati per le mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare”. Papa Francesco identificava un responsabile, che è fuori di noi ma in realtà dentro: la cultura del benessere. Questa “ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi, porta alla globalizzazione dell’indifferenza”.  Che fossero bolle di sapone lo abbiamo capito con le pandemie. Eppure incredibilmente le cerchiamo di nuovo, perché pensiamo ci diano una sicurezza. Ma son sempre bolle di sapone!

L’invito è il contrario: piangere, “patire con”, così come dobbiamo continuare a fare per chi muore in mezzo al mare, o nel deserto, o nei camion che diventano la loro bara. Ciò richiede scelte coraggiose e lungimiranti, all’altezza della nostra storia e cultura, liberandoci da quella subcultura ignorante e presuntuosa della paura, dei luoghi comuni. Dimenticare la sofferenza vuol dire condannarsi a riviverla e condannare così anche la propria, che non sarà aiutata. Piangere davanti a quei fratelli, che sono nostri e sono veri, ci libera dal nostro vittimismo, ci rende veri, capaci di aiutare le loro madri disperate. “Dove sono i miei figli? Dove sono i miei bambini?”, gridava disperatamente una madre che sopravvisse alla perdita di un figlio. Non è una strage degli innocenti? E chi è Erode? Davanti ad un fenomeno così enorme, mentre ringraziamo quanti si prodigano ad accogliere – scelta che è affidata a ciascuno e di cui questo luogo ne è testimonianza – ricordiamo che non bisogna rispondere con parole vuote e muri da erigere. La risposta è favorire flussi regolari e legali. È evidente la necessità di cambiamento delle regole europee a causa dell’aumento e della direzione dei flussi migratori. Sarebbe una scelta onesta, di solidarietà indispensabile perché solo così “si può aiutare a partire e a restare”.

Papa Francesco pregò così dieci anni or sono: “Signore, in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo, Padre, perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono, Signore! Signore, fa’ che sentiamo anche oggi le tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?”.

Vogliamo poter aggiungere: “Signore, l’ho trovato, ti ho trovato! È qui con me! È mio fratello”. Amen

Palestra di Villa Pallavicini, Bologna
02/07/2023
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