Omelia nella Solennità dei Ss. Pietro e Paolo

Oggi ricordiamo i due santi apostoli, uniti, come recita il Prefazio, “in gioiosa fraternità: Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo, Paolo, che illuminò le profondità del mistero; il pescatore di Galilea, che costituì la prima comunità con i giusti di Israele, il maestro e dottore, che annunziò la salvezza a tutte le genti. Così, con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa, e associati nella venerazione del popolo cristiano condividono la stessa corona di gloria”.

Quanta gioia questa loro e nostra fraternità, in un mondo segnato da tante divisioni, da solitudine ancora più amara perché ci rende perduti nel grande oceano della globalizzazione! Pietro e Paolo sono diversi. La fede di Pietro umile e salda come una roccia e il cuore largo e missionario di Paolo. La Chiesa non rende uguali, ma uniti, diversi ma insieme. Dio ci ha fatto unici, irripetibili, con una capacità originale in ciascuno, l’anima, che trova quello che cerca quando raggiunge la comunione con Dio e con il prossimo. Siamo unici perché siamo fatti per amarci e abbiamo sempre tutti bisogno di essere slegati dal male e legati nell’amore. I due apostoli sono uniti tanto da essere ricordati insieme. Il cristiano non è mai un isolato, non si pensa da solo, non resta mai solo.

L’unità è frutto del Vangelo che insegna a pensarci insieme. L’unità non è data dal potere ma dal servizio vicendevole; non dal legame di sangue ma da quello generato da Dio che ci rende suoi, figli, parte della sua famiglia. L’unità richiede la comunione e questa coinvolge sempre tutti e tutto di tutti. Non dobbiamo mai smettere di cercarla, perché la divisione cresce nell’indifferenza, si insinua nel poco amore. La divisione a volte nutre le ragioni dell’uno contro quelle dell’altro, tanto che diventano un nodo così intrecciato che sembra impossibile scioglierlo. La divisione è sempre scandalo per Gesù, che prega perché i suoi siano una cosa, cioè si pensino gli uni per gli altri.  Gesù insegna a tutti ad essere il prossimo per l’altro perché impariamo che siamo Fratelli tutti! La comunione è il legame di amore che ci unisce. È circolare e ci aiuta a essere migliori perché ci fa pensare per gli altri.

Pietro presiede nella comunione e la sua autorità è sempre e solo quella di essere servo dei servi. Non facciamo mai mancare la vicinanza e il sostegno al successore di Pietro, il Vescovo di Roma, perché la comunione richiede sempre questo delicato e difficile ministero. Nessuno è lasciato solo. Chi segue Gesù viene condotto sempre ad una nuova fraternità. Abbiamo sempre un fratello. Il primo è proprio Gesù, che ci cerca, ci chiama, non ci lascia soli, resta con noi tutti i giorni, conta perfino i capelli del nostro capo, si fa nutrimento del nostro corpo. Ma chi incontra Gesù incontra la sua Chiesa, madre lieta di tanti figli, dove la fraternità non resta virtuale, simbolica, ma assume le forme concrete della nostra esperienza umana. Gesù dalla croce ha affidato noi a sua madre e lei a noi! È sua madre che diventa la nostra perché siamo generati, come Gesù, figli di Dio. La Chiesa non è santa da se stessa. Consiste di peccatori che hanno sempre tutti bisogno della misericordia di Dio. Amarla significa servirla e non servirsene; renderla luogo di amore senza contraccambio, veramente fraterno, senza finzioni, ipocrisie e vani interessi, libero dai giudizi del mondo. Amare la Chiesa richiede la nostra personale santità, cioè l’amore che Dio ci dona e che non dobbiamo tenere per noi stessi, altrimenti lo perdiamo e lo facciamo mancare agli altri.

La Chiesa è unita ma non vive per se stessa. È chiamata ma mandata. Non diventa un club, un gruppo di auto-aiuto, ma è molto di più: è famiglia e aiuta il prossimo. “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni popolo”, aveva chiesto loro. E Pietro e Paolo arrivarono a Roma. Pietro ci ricorda l’unità. Paolo l’annuncio del Vangelo a tutti. Pietro la chiamata e la sequela. Paolo di uscire e seguire Gesù per le vie del mondo. Comunichiamo il Vangelo anzitutto con la nostra vita perché saremo riconosciuti da come ci amiamo e da come amiamo il prossimo. Così il Vangelo di Gesù risponde alle tante domande di futuro che agitano la nostra generazione e la passione per cercare il futuro. Tutti siamo chiamati ad essere apostoli, operai della messe, persone con un cuore largo, universale, cioè capaci di parlare a tutti e di aiutare la Chiesa di Dio, madre di tutti gli uomini.

Come una madre, la Chiesa non può mai accettare la divisione tra i figli. È madre e cerca sempre la pace con pazienza e fermezza per ricomporre quello che il male ha diviso. Come una madre la Chiesa invoca in maniera incessante il dono della pace, cercandola instancabilmente perché il dolore di ogni persona è il suo dolore. Non è ingenua: ricorda e non confonde le responsabilità, rende le avversità opportunità di amore, semina il bene per combattere il male e ristabilire la giustizia, tiene accesa la speranza nel buio delle tenebre, tesse la trama della pace e della fraternità lacerata dalla violenza, dall’odio e dalla diffidenza. È madre. Ecco, è l’unico motivo della missione che viviamo in questi giorni, voluta dal successore di Pietro che non si rassegna e cerca fare di tutto perché l’attesa di pace che sale dalla terra trovi presto compimento. Ieri ho affidato questa missione alla Madre di Vladimir, perché la sua tenerezza per l’umanità ferita e sofferente ci aiuti a cercare con intelligenza e coraggio la via della pace, con creatività e fiducia. La tenerezza inizia dai bambini, dai piccoli, dai vulnerabili, dalle vittime innocenti di una violenza ingiusta, tanto più grande di loro, inaccettabile sempre, ancora di più perché coinvolge chi non può difendersi. Il loro dolore, spesso nascosto nelle ferite profonde del cuore, chiede l’impegno di tutti perché trovino consolazione e protezione. Non è un sogno ingenuo, ma un impegno e un dovere umano e cristiano, indispensabile perché ci sia il futuro. Pace e giustizia si nutrono l’una dell’altra e hanno bisogno l’una dell’altra. Insegnaci, Signore, a professare come Pietro la fede in te, ad amare l’unità e ad annunciare il Vangelo a tutti, a riconoscerti nostra salvezza da cui nessuno ci potrà mai separare, per essere pietre vive della Chiesa che scioglie gli uomini dall’amore per sé e li lega nel vincolo eterno dell’amore.  Perché “Tu sei veramente il Figlio di Dio”, nostra pace e nostra speranza.
Cattedrale della Madre di Dio - Mosca (Russia)
29/06/2023
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