Veglia di preghiera nel corso della Sessione autunnale del Consiglio permanente Cei

Sento tanta emozione a ritrovarci proprio qui. Sento la grazia di essere cristiani, di appartenere a questa famiglia senza confini, chiamata ad andare sempre fino ai confini della terra, quindi a superarli tutti. Contempliamo una fraternità che è anticipo di futuro perché in cielo, lo sappiamo, non ci sono e non ci saranno confini. Saremo una cosa sola. Non uguali: insieme, come quando ci si ama. Ogni persona porta con sé un pezzo unico dell’unico Dio e l’altro lo completa e fa capire l’utilità di quel pezzo che sono io. La verità di ognuno non è un possesso individuale, ma sempre una relazione viva.Non dobbiamo mai dare per acquisita l’amicizia ma cercarla e rinnovarla sempre, perché il divisore è proprio nel sonno che semina la zizzania. È il sonno della ragione e dell’amore, il sonno della fede, quello del benessere che stordisce. Restiamo svegli e svegliamoci dal sonno. Un cuore acceso di speranza dona tanta luce e speranza. Vediamo le cicatrici orribili degli ultimi conflitti bellici e civili, conseguenze delle ideologie totalitarie, di nazionalismi che hanno reso l’altro solo un nemico, un oggetto di cui disporre o da distruggere.

Gesù abbatte i muri che gli uomini costruiscono, perché di due continua a fare una cosa sola, abbatte il muro di separazione che divideva, cioè l’inimicizia.All’inizio può sembrare un rischio buttar giù i muri, fa sentire indifesi, perdere identità.  L’amicizia non ha difese, anzi, disarma i cuori, gli occhi, le mani, le menti. Buttiamo giù i muri invisibili e ugualmente pericolosi dei torti e delle ragioni, non per dimenticare ma per purificare la memoria, perché solo il perdono da dare e da chiedere permette che giustizia e pace si trovino. Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono, perché solo questo sana il passato, non perché lo ignora ma perché lo rende consapevolezza e scelta. Sentiamo questa sera la voce dei morti caduti “nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo” e sentiamo le vittime il cui sangue oggi viene sparso dalla follia delle inutili stragi, l’invocazione di chi è colpito dalla violenza fratricida della guerra, il grido delle sofferenze terribili che questa provoca e che durano per sempre nei cuori e nel corpo delle persone colpite. Chiediamo pace per la Striscia di Gaza, pace per l’Ucraina, pace per tutti i conflitti, pezzi tutti di quell’unica Guerra Mondiale, pace per coloro di cui non conosciamo neanche i nomi perché la loro sofferenza si consuma e si perde in un villaggio isolato del Kivu o della Nigeria. Dio cerca sempre Abele, ci chiede conto di lui, se lo custodiamo, e lì è il nostro stesso futuro. “La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!”. Lui la ascolta. Gli uomini no.

Ecco dove sta Dio. È l’uomo che non si trova. La pace è indivisibile e solo imparando a convivere la troviamo, credendo nel diritto e dotandosi di strumenti adeguati. Vivere è convivere. Convivere non è vivere di meno o essere minacciati o rinunciare a se stessi, anzi, al contrario, è l’unica dimensione possibile della vita perché l’uomo non è un’isola. È infantile, adolescenziale, in fondo ignorante, credere di essere se stessi senza o contro gli altri! Lo vediamo bene cosa comporta! I muri indeboliscono e in realtà ci rendono fragili e pieni di paure, mentre noi stiamo bene quando amiamo il prossimo e lo sappiamo riconoscere, quando, contro la logica della forza, come il Patriarca Athenagoras, combattiamo la guerra più dura, l’unica che dobbiamo compiere e l’unica che porta la pace. La guerra è, infatti, contro se stessi, per essere se stessi e liberarci dall’idolatria dell’egoismo che ci rovina e non ci difende. “Bisogna arrivare a disarmarsi. Ho perseguito questa guerra per anni, ed è stata terribile. Ma sono stato disarmato. Non ho più paura di niente, perché l’amore caccia il timore. Sono disarmato della volontà di aver ragione, di giustificarmi squalificando gli altri. Non sono più sulle difensive, gelosamente abbarbicato alle mie ricchezze. Accolgo e condivido. Ho rinunciato al comparativo. Ciò che è buono, vero e reale è sempre per me migliore. Ecco perché non ho più paura. Quando non si ha più nulla, non si ha più paura”. Ecco, così ci si disarma per disarmare il mondo! Non si può essere fratelli se non si è umili, perché è l’orgoglio che provoca tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, di quello che Paolo VI chiamava “il colonialismo dell’egoismo”. Altrimenti si arriva a disprezzare il dialogo tanto che si uccidono coloro con i quali si tratta, e così si uccidono anche la fiducia e l’incontro! Disarmarsi significa semplicemente amare e non possedere, liberarsi dal seme dell’odio e della vendetta, che rende arido il cuore e finisce per giustificare la violenza, fosse pure solo nelle parole, nella freddezza, nell’imbarazzo, nel pregiudizio. Disarmarsi significa gentilezza, esercizio di tanta pazienza e della capacità di dare fiducia, non essere indifferenti o aggressivi, immedesimarsi nel dolore dell’altro, capirne le domande e le paure, non fare mancare il nostro aiuto.  Se non ci si disarma si finisce inevitabilmente per armarsi, per portarsi i confini nel cuore, con le repulsioni e le paure. Un solo uomo di pace la spande intorno a sé, fa trovare la pace a tanti! Ecco le beatitudini, che vivremo pienamente nel futuro ma sono nostre già oggi.

Certo, il mondo sembra accettare la guerra. È troppo poco spaventato da questa! Si globalizzano l’indifferenza e l’impotenza. Cosa posso fare io davanti a mali così grandi?  Ha detto Papa Leone XIV: “La globalizzazione dell’impotenza è figlia di una menzogna: che la storia sia sempre andata così, che la storia sia scritta dai vincitori. Allora sembra che noi non possiamo fare nulla. Invece no: la storia è devastata dai prepotenti ma è salvata dagli umili, dai giusti, dai martiri, nei quali il bene risplende e l’autentica umanità resiste e si rinnova”. La preghiera è la prima sconfitta dell’impotenza. Alla globalizzazione dell’indifferenza Papa Francesco oppose la cultura dell’incontro, a quella dell’impotenza Papa Leone XIV ha chiesto la cultura della riconciliazione, il contrario di quella del sospetto, dell’odio, delle ideologie che fanno scavare trincee e tracciare di nuovo i confini. E non a caso si parla di cultura.  “Oggi dobbiamo incontrarci curando le nostre ferite, perdonandoci il male che abbiamo fatto e anche quello che non abbiamo fatto, ma di cui portiamo gli effetti. Tanta paura, tanti pregiudizi, grandi muri anche invisibili ci sono tra noi e tra i nostri popoli come conseguenze di una storia ferita. Il male si trasmette da una generazione all’altra, da una comunità all’altra. Ma anche il bene si trasmette e sa essere più forte!” Tutti possiamo diventare esperti di riconciliazione, perdonando e chiedendo perdono. “Bisogna riparare ciò che è infranto, trattare con delicatezza le memorie che sanguinano, avvicinarci gli uni agli altri con pazienza, immedesimarci nella storia e nel dolore altrui, riconoscere che abbiamo gli stessi sogni, le stesse speranze. Non esistono nemici: esistono solo fratelli e sorelle”. Ecco la pace che vogliamo.

Da Gorizia, con le sue ferite ma anche con la sua storia e con l’esperienza che ha reso le frontiere delle cerniere, i muri dei ponti, invochiamo la pace. Vogliamo dire a chi è nella disperazione e nell’angoscia: la pace è possibile. Alla violenza che si profila come uno spettro apocalittico armato da inauditi strumenti di micidiali distruzioni, agli “egoismi collettivi, familiari, sociali, tribali, nazionali, razziali” che rinascono, vogliamo dire che la pace è possibile e necessaria, perché non vi è vita senza pace. Noi non vogliamo che la pace diventi di nuovo una tregua, quasi sia ineluttabile la guerra.  Allora diciamo: la pace è possibile! “È il messaggio che sale dai campi delle due Guerre Mondiali e dagli altri recenti conflitti armati da cui è stata insanguinata la terra; è la voce misteriosa e formidabile dei Caduti e delle vittime dei conflitti passati, è il gemito pietoso delle tombe innumerevoli dei cimiteri militari e dei monumenti sacri ai Militi Ignoti: la pace, la pace, non la guerra. La pace è la condizione e la sintesi dell’umana convivenza”. La pace è possibile e inizia da me. La giustizia, il diritto, siano la regola dei rapporti tra le Nazioni. Bisogna avere il coraggio della pace. “Un coraggio di altissima qualità: quello non della forza bruta, ma quello dell’amore: ogni uomo è mio fratello”. “Rendiamola possibile la pace, predicando l’amicizia e praticando l’amore del prossimo, la giustizia ed il perdono cristiano. Apriamole le porte, ove fosse estromessa, con trattative leali e rivolte a sincere conclusioni positive; non rifiutiamo qualche sacrificio che, senza offendere la dignità di chi si fa generoso, renda la pace più rapida, cordiale e duratura”.

Dragi prijatelji, mir je Božji dar. Danes zvečer prosimo Gospoda zan z vero in upanjem. Cjars amîs, la pâs e je un regâl di Diu. Cheste serade o lu domandìn al Signôr cun fede e sperance. La pace è possibile.

Gorizia
23/09/2025
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