Omelia della Messa in preparazione alla Pasqua per la Curia

Cattedrale di Bologna

Ho pensato importante per me e per noi incontrarci assieme per rendere grazie al Signore e lasciarci trasformare in comunione da Lui e con Lui. Ne abbiamo bisogno, fisicamente bisogno: sentirci comunione, contemplarla perché questa serviamo. Il distanziamento rende insopportabile la distanza del cuore! È occasione per vederci e salutarci. Mi dispiace farlo poco e vorrei non passasse giorno senza che questo avvenisse! Scambiarci gli auguri di una Buona Pasqua, al di là delle convenienze e delle abitudini, è quanto di più caro e decisivo può esserci tra cristiani. “Cristo è risorto!”. “Veramente è risorto!”, dovremmo gridare con tutto noi stessi ogni volta che incontriamo qualcuno! Cristo è il centro della nostra vita e il senso del nostro servizio, la linfa che riempie di significato la nostra relazione senza la quale diventa sterile. E la sterilità, cioè non comunicare vita, è la condanna peggiore, perché è vivere per sé stessi. Si possono fare come Marta molte cose, ma solo stare con Gesù ci rende fertili, capaci di essere pieni di vita e trasmetterla. Abbiamo bisogno di ri-centrarci su Gesù perché facilmente al centro finiamo per metterci noi. Ci aiuta l’accordarci con noi stessi e tra di noi. Il male ci porta a condannare la nostra fragilità. L’amore di Dio ci aiuta a riconciliarci con la debolezza del nostro stesso cuore, quella che Pietro nega e che Gesù conosce, non giudica e ci aiuta a comprendere tanto che diventa motivo di conversione. Abbiamo bisogno di ascoltare la nota dell’inizio di Gesù, come un coro dove altrimenti si finisce facilmente per imporre la propria voce e cantare sopra gli altri perdendo così l’unità. L’accordo tra noi è sempre da cercare, con pazienza, insistenza, verso sé e verso gli altri. Ma trovato esce una melodia bellissima: perché “dalla musica del vangelo viene la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati” (FT277).

Oggi siamo davanti e intorno a Lui. Sono le due direzioni, verticale e orizzontale, che uniscono i due amori dell’unico comandamento di amore a cui siamo chiamati, in realtà un amore unico, che se perde una delle due direzioni indebolisce inevitabilmente anche l’altra. Se preghiamo poco le nostre relazioni ne risentono; se condividiamo poco, il Signore diventa un lontano simulacro. In quella verticale ricordo anche coloro la cui presenza (per alcuni davvero familiare tanto da non accettare che non ci siano più!) è diventata memoria, dolorosamente, e che ci precedono nel cammino verso la Pasqua eterna. Sono coloro che passando alla luce piena ci hanno affidato il testamento della loro vita. In questo senso ognuno di noi ha un grande archivio che usa poco se vive all’impronta, se ringrazia poco del tanto che ha ricevuto, se legge tutto riducendo l’umanità a tratto esteriore e non spirituale, pensando che la vita inizia con lui dimenticando che così finisce anche con lui e interpretando tutto in maniera politica, piena di calcoli, confronti, giudizi, alla fine misera perché non sa riconoscere il dono che è il prossimo. E gli altri fanno fatica a riconoscere il suo! Invece quanta santità di persone ci è stata regalata! La santità non schiaccia ma incoraggia, non umilia ma ispira. Ad esempio ho avuto tanta edificazione nel contemplare la vita di Dora, il suo servizio anche all’Ufficio catechistico, la sua intelligenza appassionata, esigente e attraente allo stesso tempo, forte e tenerissima, che l’hanno resa un punto di riferimento importante per generazioni di ragazzi. Davvero ha seminato tanto, tutta la sua vita, fino alla fine. È stata un dono di sé anche con la sua stessa sofferenza. Non ha seguito un programma spirituale, di quelli che piacciono alla pastorale da laboratorio, ma si è fatta esperienza, una santa della porta accanto. La Chiesa è madre quando regala il suo amore. “L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici” scrive Papa Francesco.

Cosa significa per noi nel nostro servizio in curia regalare e non possedere le cose che facciamo? Non è proprio questo il senso di tutto il nostro servizio ai nostri fratelli, gratuito, amabile, pieno di sale evangelico, libero di sperimentare cose nuove? Se sappiamo lavorare poco con gli altri, ci accontentiamo di comunicare ma non di condividere, dobbiamo fermarci, avere attenzione, perché indica il rischio di possedere, di fidarsi più di sé che dello spirito, perché significa che il mio è diventato più importante del nostro e che ci siamo dimenticati che nell’amore tutto è dono. L’amore desidera che sia di altri e solo donandolo diventa mio. Questo è possibile solo se ascoltiamo il Padre e mettiamo al centro lui e la sua casa – casa che non è quella che pensiamo noi – amandola così com’è perché diventi migliore. La Pasqua è proprio questo, dono pieno di sé, fino alla fine. La felicità, non dimentichiamolo, non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Saremo capaci di fare ogni cosa con tutto noi stessi, quindi anche con la nostra capacità, senza che non diventi nostra secondo la logica del possesso? Non ci è chiesto di sacrificarci di più, ma di donare quello che siamo per l’edificazione comune. “Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione” ammonisce Papa Francesco nella Patris Corde. Aiutiamoci ad amarci, cambiando, migliorando, mettendo da parte atteggiamenti e parole che feriscono, chiedendoci scusa, incoraggiandoci, insomma donando la nostra santità e riconoscendo quella del fratello accanto. Non dimentichiamo che come viviamo non è mai un problema individuale, ma acquista dei significati molto più larghi in una circolarità di doni che è sorprendente e nutre la comunione. E la circolarità dei doni inizia con la gentilezza, con la professionalità che non diventa supponenza o incapacità di confronto. Solo la circolarità dei nostri doni con la disponibilità del servizio, con la semplice disponibilità ci permette di essere forti in un momento così decisivo anche per noi. Le difficoltà ci aiutano a tirare fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere. Non pensiamo mai che siano poca cosa! Se le viviamo individualmente e le teniamo per noi finiamo per pensare la Chiesa quella che non è, tanto da trattarla in maniera istituzionale e in modo ideologico, invece di difenderla e non farle mai mancare venerazione e onore, come dobbiamo per nostra madre, e perché in realtà fragile. Trasformiamo i problemi in opportunità, fiduciosi nella Provvidenza.“Se certe volte Dio sembra non aiutarci, ciò non significa che ci abbia abbandonati, ma che si fida di noi, di quello che possiamo progettare, inventare, trovare”, invita Papa Francesco incoraggiandoci ad un coraggio creativo. La gloria del Signore, quella che vedremo in questi giorni pieni della sua passione, è mistero di amore che illumina la nostra umanità e ci fa vedere in questa quella di Dio. Ed è amore fino alla fine.

+ Matteo Zuppi

 

30/03/2021
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