L’apostolo ci ammonisce: “Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà”. Ci mette di fronte a noi stessi, cosa che può apparire ovvia e non lo è affatto! Abbiamo tanto bisogno della Parola di Dio che ci aiuta a rientrare in noi stessi, senza dovere precipitare in tragiche carestie, aiutando a liberarci da chi, invece, ci fa uscire da noi stessi, come l’istinto, l’onnipotenza dell’io, il nichilismo conseguente. Raccogliamo quello che seminiamo.
Spesso pensiamo che non sia così, deformati dall’idea del successo, della rapidità, dell’apparenza, della prestazione per cui vale quello che io vedo, non quello che vedono gli altri, quello che posseggo oggi non quello che regalo perché dia frutto domani. Perché siamo così? Perché facciamo tanto per noi e poco per il prossimo e quindi conta il mio risultato, la mia ricompensa e non il frutto che è dono per altri. Il seminatore vede nel seme il frutto e gode già di questo. Poi sa che c’è tutto il lavoro da fare, perché il frutto venga. Il seminatore non è fatalista, come alla fine diventa sempre l’onnipotente io.
Per questo Gesù ci ammonisce a non cercare la nostra ricompensa! L’educazione è sempre proprio una seminagione, e deve essere larga, larga, abbondante con tante parole e tante attenzioni perché il seme arrivi ovunque e non sappiamo quale sarà quello che darà frutto, ma sappiamo che quella parola detta, quell’attenzione avuta, quella spiegazione regalata, quello sguardo premuroso darà frutto. Educazione significa dare risposte e aiutare a porsi le domande, preparare (ancora di più per voi di quella che si chiama infanzia, anche questa anticipata ma sempre incredibilmente infanzia) la creazione di quel programma di base che poi aiuterà a orientarsi nella vita, che è fatto di tante parole, giudizi, tenerezze, sicurezze, che se ci sono non si vedono, come un programma, ma che se mancano il programma tutto funziona male.
L’apostolo ci suggerisce anche qualcosa che sembra strano in stagione di tanto vittimismo, accentuato dall’egocentrismo, per cui ci sentiamo in diritto di lamentarci, di prendere e non di dare, spesso preoccupato che dare sia perdere: “Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia”. Anche questo non è un invito scontato. Anzitutto perché invita ciascuno a cercare la sua misura, ma a dare con gioia. Lo facciamo quando sappiamo che il seme darà frutto, proprio quando siamo liberi dal nostro risultato e dalla considerazione soggettiva.
Dona con gioia quando sappiamo che è la misura nostra, non più di quanto possiamo, nessuno lo chiede, ma certamente nemmeno meno. Dona con gioia chi vede nell’altro l’incanto della vita e ne resta innamorato, chi ricorda che tutto è grazia e non smette di fare tutto con la gioia di poterlo fare, di essere preso a giornata. E poi non dimentichiamo che quello che non è donato è perduto.
E poi donare ci fa crescere, ci tira fuori la parte migliore, ci fa andare sempre al largo, cioè dove le acque sono profonde. Chi semina sperimenta la moltiplicazione della semente e anche dei frutti della vostra giustizia. Siamo ricchi quando siamo generosi. È molto legato al vangelo. State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Anche per questo la nostra giustizia deve superare quella retributiva degli scribi e dei farisei! Davanti agli uomini significa dare più importanza alla considerazione personale e non a quello che serve, quello che mi conviene.
L’umiltà non è poca considerazione di sé (di questi tempi è quasi una bestemmia!), mentre è la più grande forza della persona. Solo l’umile aiuta, impara, comunica, perché umile non significa mediocre, dimesso, anzi, libero di donare perché per gli altri e non per sé. Questo è possibile se siamo liberi dalla nostra considerazione. Non facciamo le nostre scelte per strappare qualche considerazione, magari qualche complimento, perché il miglior complimento, l’unico è quello della vita che cambia, del seme che cresce, del frutto che ci sarà. E in quella educazione dei più piccoli, dove tutto è incredibilmente piccolo, quasi non si vede, eppure si sa quante ferite può determinare la distrazione o l’omissione, quanta attenzione, quanta delicatezza richiede mettere al centro il bambino.
Così si cerca per davvero l’innovazione perché cerchiamo sempre il meglio, rendete possibile e gioiosa l’accoglienza e l’inclusione, specie delle fragilità tanto che nessuno è lasciato indietro e solo. Per questo è necessario tanta formazione, per aiutare le famiglie e fare conoscere a tanti l’amore di Dio, la dimensione spirituale, interiore. Guardiamo la realtà così povera di sentimenti veri con la forza di persone credibili, che hanno speranza, che guardano e aiutano a sentirsi amati e quindi a non dovere fare qualcosa di strano per avere attenzione.
Spargete il profumo di padre e madre. Si parla da anni di “emergenza educativa”. L’educazione in realtà richiede sempre tanto e per certi versi è sempre una lotta contro il tempo e contro altre “maestre”, spesso più efficaci e continue. Non pensiamo però che il problema siano loro finendo così a prendercela con tutti o con la famiglia! Ogni problema diventa opportunità se amiamo. Aiutare i figli spesso significa aiutare anche le difficoltà e le fragilità dei genitori e viceversa. I valori non sono mai ereditati e nemmeno basta solo spiegati, ma vanno vissuti, incarnati perché non si trasmettono mai automaticamente e richiedono sempre di scoprirli e riviverli ogni volta. L’anima dell’educazione, come dell’intera vita, per Papa Benedetto XVI “può essere solo una speranza affidabile”.
Alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una “crisi di fiducia nella vita”. Una vera educazione, disse, ha bisogno anzitutto “di quella vicinanza e di quella fiducia che nascono dall’amore”, perché ogni vero educatore “sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore”.
Non abbiate paura di seminare largamente amore. Il punto forse più delicato dell’opera educativa, secondo Benedetto XVI, è “trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina” perché “senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro”. In un mondo segnato dal soggettivismo etico e da un materialismo pratico fare scoprire quanto si è importanti per quello che si è e non per quello che appare, per l’essere insieme e aiutare il bene di tutti e non per il protagonismo e l’esibizione di sé, è preparare un futuro migliore per ogni singolo bambino e per tutta la nostra casa comune.
Ecco la bellezza umana e divina di quei bambini che non smettiamo di accogliere e nei quali seminiamo qualcosa che essi raccoglieranno. E noi con loro!
