Omelia della V domenica di quaresima anno B 2021 a San Giuseppe Sposo

Chiesa di San Giuseppe Sposo, Bologna

San Giuseppe è l’uomo che permette l’alleanza di Dio con gli uomini. Dice di sì mettendo in pratica la Parola che ascolta. Infatti non contano le parole, ma quello che si vive. Nel grande inganno della vita virtuale ci si può credere leoni e si è solo vigliacchi nascosti dietro un video, e colpendo con giudizi impietosi e ignoranti solo per sentirsi forti. Non servono le parole se contraddette dalla vita. Serve vivere semplicemente secondo quello che Dio ci chiede, amando gratuitamente e facendo vedere Gesù a tanti, davvero tanti che in tanti modi vogliono “vedere Gesù”. Noi siamo cristiani perché attraverso di noi le persone possano riconoscere l’amore di Dio che vuole raggiungere ogni uomo affinché la vita di ognuno dia frutto perché amata. Questa è la grandezza di San Giuseppe: l’umiltà. Essere umili significa cambiare i progetti sconvolti dal sogno e dall’angelo; non seguire sé stessi, ma quello che serve.  Giuseppe non si mette a discutere, anche solo per difendere le sue ragioni, per fare pesare le sue scelte o per mettere condizioni: ascolta e mette in pratica la Parola di Dio. È grande perché fa sua la parola e perché l’amore non è possesso. Diventa davvero padre perché non lo si diventa perché si mette al mondo un figlio ma “perché ci si prende responsabilmente cura di lui”. “Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti”. E non dobbiamo essere noi custodi gli uni degli altri, prenderci cura perché la vita dell’altro dipende da me, per vincere il grande virus della morte, per risorgere con Cristo sconfiggendo il pungiglione del male e il suo veleno paralizzante il cuore? Giuseppe è “castissimo” non solo come indicazione meramente affettiva, ma come “sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù”, scrive Papa Francesco. Quanto ne abbiamo bisogno in una generazione possessiva, banale perché narcisistica, autocentrata, incapace di responsabilità perché presa da sé e alla fine fragile e senza futuro, perché il seme se resta solo muore con sé. Ci esercitiamo tanto a restare soli, così poco nell’arte dell’incontro, nel regalare quello che siamo e così essere quello che siamo. Prendiamo invece di dare. Mostriamo le nostre capacità invece di fare crescere quelle del prossimo. Realizziamo il nostro io invece di realizzarlo aiutando l’altro. Il seme trova il suo senso solo perdendosi per dare vita, dando frutto per gli altri. Anche per questo nella sua bellissima lettera su San Giuseppe Papa Francesco sottolinea che “la felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé”. E si dona per amore, non per sacrificio. E poi, se si ama, ci sacrifichiamo volentieri. Il seme, cioè la nostra vita, è felice quando vede i frutti, non quando si studia, si contempla, si interpreta, cerca benessere ma resta solo. “Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione”. San Giuseppe non si tiene aperte tutte le possibilità e non difende i suoi progetti: è davvero libero perché libero da sé e perché libero è chi sceglie di amare il prossimo che Dio gli ha donato. Vuol dire che è libero da tanti limiti. La sua giustizia supera quella dell’equilibrio e diventa quella di Dio, cioè quella dell’amore. Non si accontenta di non fare il male a Maria che era rimasta incinta. La prende con sé. Questa è l’umiltà di Giuseppe: essere grandi servendo.

La pandemia ci ha umiliato. Tanto. Pensavamo di essere sani e ci troviamo tutti potenzialmente malati. Eravamo convinti di potere decidere noi i tempi, compulsivamente lo verificavamo e dolorosamente capiamo che il tempo non dipende da noi. Siamo condizionati da circostanze che sfuggono al nostro controllo e per questo facciamo fatica a capirlo, tanto che ci sembra impossibile avvenga. Se diventiamo umili vinciamo la pandemia e questa non passa invano. Solo gli umili come San Giuseppe si fanno illuminare dalla luce di Dio, diventano luminosi perché sanno di non essere loro la luce e compiono le cose davvero grandi: combattere Erode, il male e proteggere la vita, sognare la salvezza dell’intero popolo perché docili allo Spirito Santo, difendere il seme della vita di Dio nella terra degli uomini. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” se amano hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. Significa anche che noi tutti possiamo essere come Lui: ascoltare, mettere in pratica, essere un riflesso della presenza di Dio, offrire luce per illuminare con l’amore chi incontriamo in questa notte scura della pandemia. I santi illuminano e rendono bella la vita del prossimo, come le stelle che penetrano il buio del cielo, senza le quali è solo uno spazio senza riferimento, angosciante, terribile. Le stelle luminose indicano il cammino a chi è sulla terra.

Ecco così aiutiamo la risposta alla domanda di tanti: “Signore, vogliamo vedere Gesù!”. Vogliamo “vedere” speranza, vogliamo risposta alle domande che agitano la vita in un momento nel quale la vita mostra tutta la sua durezza, le sue prove. Dio ha bisogno di Giuseppe, si fida di quest’uomo, così come fa Maria, che in Giuseppe trova colui che custodisce lei e il suo bambino. Dio ha anche bisogno di ognuno di noi per custodire questa madre che è Maria e quei fratelli più piccoli di Gesù e quindi essi stessi suoi figli prediletti. “Così ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni moribondo, ogni forestiero, ogni carcerato, ogni malato sono ‘il Bambino’ che Giuseppe continua a custodire. Ecco perché San Giuseppe è invocato come protettore dei miseri, dei bisognosi, degli esuli, degli afflitti, dei poveri, dei moribondi”.

Custodiamo il Figlio e la madre. Da chi? Dai nemici, dal pregiudizio che fa male, dalle chiacchiere che feriscono, dalla violenza di Erode che è anche quella di uccidere l’amore, da un amore senza sapore e senza legami, dalla paura che isola, dall’indifferenza che uccide, da un amore senza forza e sapore.

San Giuseppe aiuta tutti, con il suo esempio, a essere custodi amabili e attenti gli uni degli altri, figli di Dio che ama e protegge ogni persona fragile com’è.

+ Matteo Maria Zuppi

21 marzo 2021, chiesa di San Giuseppe Sposo.

21/03/2021
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