Omelia Messa candidatura diaconi

Non smettiamo di capire la Chiesa (il Cardinale Biffi voleva che si scrivesse sempre con la maiuscola perché fosse chiaro il rispetto dovutole e perché contiene tanti!), questa comunità di fratelli e sorelle che il Signore ci ha affidato, come ha affidato sua madre a Giovanni. È una madre e quindi la sua è una casa piena di amore, dove ci ritroviamo sempre figli; non una sede, una stazione di servizio, un deposito. Cosa succede a lei e a noi se invece di una madre la vediamo e la trattiamo come un’estranea? È chiesto a tutti di averne cura: non possiamo pensarci come ospiti, con la vita da un’altra parte. È una madre, la nostra madre, perché è la stessa di Gesù e come Giovanni la prendiamo a casa nostra, cioè nel nostro cuore, nei nostri sentimenti a volte così confusi tanto che noi stessi non li capiamo e non sappiamo descriverli. Eppure lei entra nella nostra casa!

Questa madre la amiamo perché di Dio e intorno a lei costruiamo una casa di amore in un mondo di paure e rabbia, quando facilmente ci si tratta da estranei o peggio da nemici tanto da non riconoscere più il proprio fratello. La sua presenza e il legame con lei non toglie nulla ai nostri legami anzi, li riempie tutti di amore, perché è una madre non esclusiva ed evita che ci chiudiamo, perché noi e le nostre famiglie troviamo noi stessi aprendoci. Lei non smetterà di riempire la sua casa con i suoi tanti figli, specie i più fragili, perché non si dimentica di nessuno e tutti, sempre, sono importanti per lei. Tutti. E noi siamo figli, non funzionari, utenti, condomini, filantropi come se l’amore fosse solo un hobby! Il suo amore ci aiuta a riconoscere in noi e nell’altro il dono che è, anche se è nascosto: c’è perché ognuno è un dono. Con lei è proprio vero che “il vuoto di una perdita può trasformarsi in un pieno di passione, valori e amore, perché l’amore non si divide, si moltiplica” e anche che “niente è impossibile a chi crede”.

L’io, che giustamente cerchiamo, lo troviamo solo nella relazione di amore con il prossimo e con quel primo prossimo che è Dio attraverso questa madre nei suoi figli. Non contatto virtuale ma relazione reciproca, cioè mai a senso unico, possesso o alienazione, spossesso di sé. Una madre che è contenta di avere figli diversi ma uniti in un solo corpo, non in un’entità virtuale come forse preferiscono la nostra paura e pigrizia. Non si ama un’idea ma una persona, Gesù Cristo, padre di sua madre e fratello nostro. Senza un corpo a cosa servono i singoli doni? Il divisore fa credere che siamo veramente noi stessi quando lo teniamo per noi e insinua che bisogna avere paura di legami forti perché altrimenti non si è se stessi. Il dono che siamo non serve per esercitarci negli infiniti confronti, per cercare misure, ma per amare Dio amando questa madre. Non nascondiamolo sciupandolo, pensando che non abbiamo niente da dare oppure non usandolo perché ci prendiamo troppo sul serio e aspettiamo sempre l’occasione giusta: è oggi l’occasione. È dello Spirito e ci viene dato per questo.

Lo capiamo in questa pandemia e sentiamo l’ansia di questa nostra madre per i tanti che restano indietro, precari, che soffrono la solitudine e che vuole raggiungere con il suo amore. Questa madre ci aiuta a fermarci e a guardare con amore la sofferenza e a non tacere, cioè a non nasconderla o fare finta di niente perché questa Madre non è “Abbandonata” e la città degli uomini “Devastata”. Quando capiamo o sentiamo la gioia di essere parte di questa famiglia e come siamo un dono, quando questo succede vuol dire che abbiamo trovato la nostra vocazione. Non è indifferente se il dono che sei lo tieni per te o pensi di non averlo perché non inizi a spenderlo o non lo usi per aiutare. Il tuo dono è frutto dello Spirito, a ciascuno il suo particolare: è tuo ed è di tutti ed è tuo se lo spendi per tutti, non se lo amministri con calcolo o avarizia, tenendolo per la tua considerazione, perché così non lo capirai più nemmeno tu! È tuo se è per il bene comune.

Oggi alcuni nostri fratelli dicono: “Eccomi, manda me”. Oggi rendono noto il desiderio di volersi dedicare al servizio di Dio e del suo popolo nel ministero del diaconato. C’è bisogno di servi che amano questa casa, che la prendono sul serio, con tutto il cuore, la mente e la difendono dal dilagante individualismo. Persone che non impongano se stesse, che non vivano per il loro ruolo e considerazione. Questo è possibile se ascolteremo l’invito di Maria che non si stancherà di ricordarci: “Qualunque cosa vi dirà, fatela”, cioè non lasciatela cadere per noncuranza, sufficienza, presunzione, non fatene un riferimento lontano, impersonale, tiepido, uno dei tanti tranquillanti. Gesù vuole cambiare il mondo, rispondere alla domanda di futuro!

È una madre e ci aiuta a capire chi siamo: il suo giudizio non è l’interpretazione di un estraneo o di un tecnico, ma di una madre che mi conosce e mi aiuta. E non è detto che tutto debba essere definito e interpretato, tanto che viviamo meno per aspettare di essere sicuri e alla fine ci ritroviamo più fragili o più presuntuosi. Alcune cose ci vuole tempo per capirle e forse non le capiremo mai appieno, l’importante è che siano amate e che amino! Sentite questa casa la vostra e rendetela casa perché tanti si sentano a casa, servendola con cura, ad iniziare dai fratelli più piccoli. Maria, la madre del Signore, coinvolge Gesù e tutti noi, perché siamo figli. Non vediamo subito i frutti: occorre prima iniziare a mettere in pratica il Vangelo di amore perché questo, poco alla volta, trasformi l’acqua in vino. Bisogna andare a prendere l’acqua, non il vino! Gesù non cerca un elemento che non ha niente a che vedere con noi, con la vita ordinaria, impossibile a trovarsi. Usa l’acqua, utile, umile, preziosa e casta, come cantava San Francesco. Formatevi all’ascolto della Parola e mettetela in pratica, specialmente perché il vino buono della gioia, il migliore, raggiunga chi è nella tristezza, nel pianto, nella solitudine. Parola e servizio, Corpo di Cristo nel servizio dell’altare e dell’annuncio e Corpus Pauperum nel servizio ai poveri.

Quanti uomini sono soli e quanti hanno bisogno del vino buono dell’amore! Il vostro “eccomi” ci aiuta a rinnovare e a capire di nuovo il nostro, per spendere il dono che siamo. Se vediamo una solitudine sconfitta: è la gloria di Dio! I fratelli stanno insieme: è la gloria di Dio! In una visita che affranca dalla solitudine, dal senso ineluttabile che la festa finisce, è gloria di Dio, la stessa che vedremo pienamente nella casa del cielo. “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Facciamola, perché la parola diventa carne, come possiamo, perché la gioia è mia e di tutti, come a Cana. Dio è gioia.

Bologna, Cattedrale
16/01/2022
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