Omelia nella Messa in suffragio delle vittime della strage del 2 agosto

L’Apostolo ci ricorda che non siamo schiavi. Essi sono oggetti e non soggetti, non capiscono e pensano che possono contare solo su di sé, non hanno nessuno che spieghi e protegga specialmente quando le forze svaniscono, quando si è costretti ad affacciarsi al limite della vita, presi dalla vertigine di fronte al cielo immenso e irraggiungibile com’è. Gli schiavi si arrendono quando sono raggiunti dall’ombra della morte, che è parte della vita sempre, anche se pensiamo di star bene ignorandola invece di illuminarla. Non siamo schiavi ma il contrario non è diventare padroni che pensano di poter decidere tutto loro, perché è vero che la vita è un dono e, come tale, diventa nostro ma la capiamo solo da figli e da fratelli, affidandoci, volendo bene, pensandoci insieme agli altri e all’Altro che è Dio. Siamo padroni della nostra vita perché figli, figli adottivi, cioè doppiamente figli, voluti ciascuno com’è. In ognuno di noi c’è quel frammento di Dio unico, specifico, irripetibile, straordinario. Anche per questo la sapienza ebraica e quella islamica ricordano che chi salva un uomo salva il mondo intero. E ricordiamoci sempre, quindi, che chi uccide un uomo (e per noi uccidere non è solo la bestemmia della violenza, ma anche dire pazzo a nostro fratello, umiliarlo, condannarlo, farne a meno, dividersi da lui!) uccide il mondo intero. Siamo figli ed eredi, eredi di Dio, “se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze”, cioè se sentiamo quanto siamo amati e anche noi vogliamo bene perché le sofferenze di Gesù sono per coloro che ama, nella compassione fa sue le nostre, come chi ama e soffre con l’amato. Gesù non ama la sofferenza ma ama noi e non vuole che davanti alla forza terribile del male restiamo turbati, cioè confusi e inerti. La creazione geme e soffre le doglie del parto e attende la speranza nella caducità cui è sottoposta. Dio è il contrario della caducità, della vanità della vita, perché ama, ama senza fine e rende nuovo ciò che è vecchio, tanto che si trasforma, non diventa mai caduco e nessuno ci può separare dal suo amore.

La croce è la strage di Gesù ed è la strage dei tanti suoi fratelli più piccoli, spogliati, affamati, assetati, prigionieri, torturati dalla forza del male, stranieri per un mondo indifferente che non li riconosce più. Quelli che diventano un numero, un oggetto. Sul Calvario quando fu mezzogiorno si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. È il buio delle 10.25, quando tutto crollò e si fece buio nella stazione piena di vita e di luce. Il tempo si è fermato alle 10.25 del 2 agosto 1980 per tante persone, non soltanto le 85 uccise e i sopravvissuti che portano le cicatrici, per chi ha perduto la persona amata. Il tempo ci permette di allargare la vista, di capire la vita nella vita più grande, di avere attenzione per chi vive oggi lo stesso orrore, ma non ci fa sentire meno male perché la guarigione non è il tempo ma la speranza e l’amore che restituiscono la vita. Gesù è la vittima innocente del male. Se capissimo che in realtà siamo tutti sopravvissuti, perché ci domandiamo giustamente “potevo esserci anche io”. Siamo tutti noi familiari delle vittime e la città intera si fa parte civile, allora e oggi, per rifiutare quella forza di male, per riparare quelle ferite, per comprenderne le cause, per combattere il male e non abituarsi mai alla violenza. Le croci, come quella di Gesù, le costruiscono gli uomini. Per la strage di Bologna ora conosciamo alcuni responsabili, i loro nomi, l’ideologia, anche se manca sempre una parte di chiarezza e di giustizia, importante per riparare quello che la violenza ha distrutto. Per non restare solo assassini, come sono, è possibile – direi un dovere – chiedere perdono, aiutare a fare verità e aiutare a chiudere facendo verità sulla violenza. La ricerca della verità consente a chi ha perso i familiari, ai sopravvissuti e a tutto il Paese di ricostruire i fatti e le responsabilità.

Il 2 agosto 1980 tutti abbiamo gridato come Gesù dalla croce, nel buio della solitudine, quando non c’è più umanità e si vede dove può arrivare la cattiveria: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Non è Dio che abbandona, perché Dio è Padre e resta, prende su di sé le braccia della croce, piange sul suo unico Figlio come è raffigurato in tante crocifissioni. Non è Dio che abbandona: è l’uomo che abbandona l’uomo, è chi ha immaginato, pagato, preparato una strage che profana la vita e Dio. Quelle croci Dio le fa sue. Gesù non esprime l’angoscia che diventa richiesta di capire, di trovare risposta al perché, ma di chiedere di vedere il Padre e sentirlo. Gesù non resta distante ma è proprio uno di loro, uno che finisce là sotto, è la vittima come quelle vittime e ci aiuta, anche per questo, a fermarci sotto tutte le croci delle persone e delle stragi consumate oggi dalla crudele follia degli uomini. Nessuno per Gesù è un problema collaterale, come pensano sempre gli autori di ogni strage, decidendo – bestemmiatori di Dio – loro della vita di altri. Oggi siamo tutti come i familiari, cerchiamo a tentoni, nel buio luce, nella rassegnazione speranza. Siamo come Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome. Non si rassegnano, non smettono di voler bene, nel buio cercano luce. Lo abbiamo visto nell’amore, nella solidarietà della città intera per cercare di salvare la vita, per strappare dal buio, per non accettare la trama del male e combatterla. Quella solidarietà che è diventata ostinata e lungimirante ricerca della verità non ideologica, ma reale. Nel giro di due ore, salvo sette persone rimaste incastrate sotto le macerie che dovettero essere liberate, furono tutti inviati nei diversi ospedali cittadini. Roberta per oltre vent’anni non ha raccontato nulla di come, proprio quel giorno in cui stava per partire per la prima volta da sola a sedici anni, venne sbalzata dallo scoppio contro l’edicola. Rimase sotto le macerie, poi venne raggiunta e portata in ospedale, dove ha passato mesi a farsi togliere le schegge di vetro da sotto la pelle. Quanto dura la strage?

Oggi, come quelle donne del Vangelo di fronte al buio della morte che ci strappa alla vita, vediamo la luce della vita che non finisce. È l’amore di Gesù che possiamo vedere nei suoi segni e nel riflesso del nostro amore. Come Gesù, combattiamo contro ogni violenza con la forza dell’amore, della verità, della giustizia, l’unica che può portare e costruire la pace. È quella di Dio e la sua è quella che non finisce, la nostra speranza. Pronunceremo i nomi tutti e di ciascuno, perché la strage non è un numero, ma tanti mondi e l’amore restituisce il nome unico, irripetibile, che Dio conserva e ci insegna ad amare e difendere.

Chiesa di San Benedetto - Bologna
02/08/2025
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