Omelia nella Solennità di San Domenico

Siamo ammoniti dall’Apostolo a non ascoltare i maestri scelti “secondo i propri capricci”, cioè funzionali all’individualismo, rassicuranti perché tolgono ogni coinvolgimento a uscire dal proprio egoismo, tranquillizzanti, fornitori di benessere tanto si finisce per perdersi dietro alle favole, come con le tante dipendenze che stordiscono la nostra generazione e bruciano possibilità ed energie.  Il maestro, però, non resta lontano dalla vita. C’è chi pensa, con ossessione, senza Dio, che conservare il sale significhi tenerlo lontano dalla vita, dalle contraddizioni, dall’umanità concreta amata da Gesù. Sono i catari di ogni tempo, presi dalla preoccupazione per una purezza impossibile e non richiesta, sempre ipocrita o pericolosa. Quanto, al contrario, c’è bisogno del sale dell’amore di Cristo in un mondo che rivela di non avere paura della morte con il nichilismo individuale, la guerra, le armi, i muri, la logica della forza e del più forte che si impone e non sa convivere! Mentre è pieno di paure della vita, tanto da ridurla a egoismo perché siamo preoccupati di avere e non di essere, di consumare possedendo e non di amare donando. Ecco perché la memoria di San Domenico, co-patrono della nostra città e presenza così importante che allarga i confini della nostra comunità, ci aiuta a ritrovare la gioia, l’intelligenza, il cuore del cristiano! È uomo di speranza, tanto da parlare con tutti, libero perché studiava nel libro della carità, quello che insegna ogni cosa, che rende saggio il semplice e che rivela anche la vanità dei sapienti e degli intelligenti se viene a mancare. Era pieno della speranza di raggiungere tutti e di seminare ovunque il Vangelo, predicandolo opportune et inopportune, sapendo che i frutti ci sarebbero stati. Mi ha colpito leggere di nuovo la descrizione che facevano di lui. Imitare Cristo non ci rende tutti uguali, ci fa rassomigliare finalmente a noi stessi e ci aiuta a mostrare l’originale bellezza umana, spirituale e molto fisica, affidata a ciascuno e che troviamo in relazione con Dio e con il prossimo. Domenico si pensava per il Signore e quindi per gli altri, per la sua comunità, per i fratelli e, per questo, per tutti. Lo Spirito ci trasforma, ci rende luminosi, attraenti. Possiamo pensare che questa descrizione sia frutto dell’affetto evidente che deforma con questa intensità. No: l’amore vero (quindi non la compiacenza, non le apparenze) non deforma ma rivela, vede nel profondo, si rende conto. Il ritratto lo raffigura luminoso, attraente. Quello che abbiamo nel cuore si vede in realtà e ci trasforma molto più di qualsiasi cura esteriore, a volte così penose e che ci rendono brutti perché non più noi stessi!  “Dalla sua fronte e fra le ciglia irraggiava un certo splendore, che attirava tutti a venerarlo e amarlo. Sempre ilare e giocondo rimaneva, a meno che non fosse mosso a compassione da una qualsiasi afflizione del prossimo”.  Egli “sattirava facilmente l’amore di tutti”, rendeva amabile il Vangelo, attraente, luminoso, ben diverso dai maestri di cui parla Paolo, che riducono il Vangelo a una lezione, a giudizio. “Senza difficoltà appena lo conoscevano, tutti cominciavano a voler­gli bene. Dovunque si trovasse, sia in viaggio coi compagni, sia in casa con l’ospite e la sua famiglia, oppure tra i grandi, i principi e i prelati, con tutti usava parole di edificazione, dava a tutti abbondanza di esempi capaci di piegare l’anima degli uditori all’amore di Cristo e al disprezzo del mondo. Durante il giorno, nessuno più di lui, si mostrava socievole coi frati o con i compagni di viag­gio, nessuno era con loro più gioviale di lui. Viceversa, di notte, nessuno era più di lui assiduo nel ve­gliare in preghiera. Alla sera prorompeva in pianto, ma al mattino raggiava di gioia”. Era socievole perché sapeva stare solo con il Signore. San Domenico si pensava unito alla comunità dei suoi fratelli e per questo viveva in comunione con tutti, cercando di arrivare a tutti. C’era nel suo cuore, ci dice Giordano, “un’ambizione sorprendente e quasi incredibile per la salvezza di tutti gli uomini” (Libellus 34). È proprio vivere l’amore reciproco, sperimentarlo non in astratto ma nel corpo della comunità, che trasforma il cuore e spinge ad andare incontro a tutti.  Comunità che richiede sempre la partecipazione di ciascuno, in quell’equilibrio tra autorità collettive e personali, collegiale (oggi per le comunità diremmo sinodale), motivo per cambiare e per cercare di dare ciascuno il massimo d’iniziativa e di impegno verso l’opera comune. Non a caso volle essere “sepolto sotto i loro piedi”, perché solo gli umili si pensano in relazione ai fratelli e al prossimo, mentre i grandi fanno esattamente il contrario, pensano tutto in funzione del proprio io. La qualità di ciascuno vissuta e cercata non per sé ma per la comunità. Ce lo insegni oggi, nel pensarci insieme per vivere quell’amore fraterno e la paternità, senza i quali la comunità diventa prestazione d’opera, mansionario aziendale, mentre è amore che ci fa conoscere Dio e noi a Lui.

Scrisse Bonhoeffer: “La qualità è il nemico più potente di ogni massificazione. Dal punto di vista sociale ciò significa rinunciare alla ricerca delle posizioni preminenti, rompere col divismo, guardare liberamente in alto e in basso – specialmente per la scelta della cerchia intima degli amici – sapere gioire di una vita nascosta e avere il coraggio di una vita pubblica. Sul piano culturale l’esperienza della qualità significa tornare dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all’arte, dallo snobismo alla modestia, dall’esagerazione alla misura. Le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda”.

Preghiamo con Giordano: “Imitiamo perciò, o fratelli, come possiamo, le orme del padre e nello stesso tempo ringraziamo il Redentore per aver dato a noi suoi servi, sulla via che percorriamo, un tale con­dottiero, per mezzo del quale egli ci ha rigenerati alla luce di questa nostra forma di vita religiosa. E preghiamo il Pa­dre delle misericordie affinché, governati da quello Spirito che fa agire i figli di Dio, percorrendo la strada che percor­sero i nostri padri, senza deflettere possiamo giungere anche noi a quella stessa meta di perpetua felicità ed eterna beati­tudine, nella quale felicemente e per sempre egli è entrato. Amen”.

Basilica di San Domenico - Bologna
04/08/2025
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