Omelia nella Veglia di preghiera per la pace a Parma

Le parole del profeta Geremia e dell’apostolo Matteo sono dirette e fanno giustizia dell’ambiguità che nasconde le scelte di peccato, quelle che ingannano, difficili da riconoscere quando si ama poco ma che si vedono dai frutti perché distruggono la fragile vita di ogni persona. “Ritornate, figli traviati, io risanerò le vostre ribellioni. Ecco, noi veniamo a te, perché tu sei il Signore, nostro Dio. In realtà, menzogna sono le colline, e le grida sui monti; davvero nel Signore, nostro Dio, è la salvezza d’Israele. L’infamia ha divorato fin dalla nostra giovinezza il frutto delle fatiche dei nostri padri, le loro greggi e i loro armenti, i loro figli e le loro figlie. Corichiamoci nella nostra vergogna, la nostra confusione ci ricopra, perché abbiamo peccato contro il Signore, nostro Dio, noi e i nostri padri, dalla nostra giovinezza fino ad oggi; non abbiamo ascoltato la voce del Signore, nostro Dio” (Ger 3, 22-25). “In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18, 1-6.10). Dietrich Bonhoeffer, pastore evangelico tedesco, nel 1934 (un anno dopo l’avvento del nazismo e cinque anni prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale) con parole davvero profetiche descriveva quello che stava accadendo parlando “dell’ululato di rabbia delle potenze mondiali, di un mondo armato fino ai denti, nel quale la diffidenza brilla terribile in ogni occhio e dove alle fanfare della guerra si può dare fiato domani stesso”. Con questa consapevolezza, piena di dolore per quello che si sta combattendo ora nei tanti luoghi della Guerra Mondiale a pezzi, sentiamo rivolto anzitutto a noi l’invito a ritornare al Signore. La pace la cerca chi disarma il suo cuore e inizia a trovare dentro di sé. Solo così si è capaci di disarmare il prossimo, altrimenti si finisce per armarsi, presi dalla logica delle armi che persuadono della loro indispensabilità e condizionano le relazioni. Siamo consapevoli del peccato, come il profeta ci ricorda, se ci liberiamo dalle giustificazioni, dalle manipolazioni, dalle ideologie che lo nascondono e spingono ad unirsi alla folla che grida “crocifiggilo” perché l’altro è solo un nemico. Dove sono finiti i sogni di pace, la convinzione del dialogo per risolvere anche i conflitti più grandi? Chi ricorda la scelta indiscussa di ripudiare la guerra, cioè di abrogarla come strumento per risolvere i contenziosi? Siamo convinti cercatori di pace, non con irenismo ma con preoccupata consapevolezza, perché solo la pace permette un futuro possibile e solo la pace può sconfiggere la globalizzazione dell’indifferenza e quella, come ha aggiunto saggiamente Papa Leone XIV, dell’impotenza.  “Davanti all’ingiustizia e al dolore innocente siamo più consapevoli, ma rischiamo di stare fermi, silenziosi e tristi, vinti dalla sensazione che non ci sia niente da fare. Cosa posso fare io davanti a mali così grandi?”. Ha ragione Papa Leone XIV: “La storia è devastata dai prepotenti, ma è salvata dagli umili, dai giusti, dai martiri, nei quali il bene risplende e l’autentica umanità resiste e si rinnova”. Ecco vogliamo con umiltà – cioè essendo finalmente noi stessi, non di meno – essere artigiani di pace in un mondo così intossicato dalla violenza. Non smettiamo di credere che la pace si prepari solo con gli strumenti della pace, non con quelli della guerra. Para pacem, perché altrimenti la guerra ti distrugge. Nessuno la controlla e tutti ne finiscono vittime, anche chi la inizia! Vediamo nei cimiteri, nelle lapidi, nei solchi dei nostri territori la memoria dei conflitti mondiali, dei milioni di morti e delle distruzioni che queste hanno portato. Non vogliamo dimenticare la sofferta sapienza di chi è sopravvissuto, di quella generazione che ci ha donato 80 anni di pace. L’abbiamo data per scontata.  Facciamo nostra “la voce dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle”, “la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso”, disse sessant’anni or sono Papa Paolo VI parlando all’ONU. “Non l’uno sopra l’altro”, perché “non si può essere fratelli, se non si è umili”, aggiunse. L’orgoglio, (la hybris), è il vero peccato che rovina la persona deformando le capacità come avviene ogni volta che l’uomo si crede Dio. Dio si fa uomo proprio per ricordargli qual è la vera forza e per liberare dall’orgoglio che “provoca le tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, del colonialismo dell’egoismo; rompe cioè la fratellanza”. “Non gli uni contro gli altri!”, perché, non smettiamo di ricordarlo, dovremmo gridarlo a tutti, specialmente a chi ha il potere di decidere, “l’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità!”. Le inutili stragi impongono di fermarsi, di esercitarci nell’arte sempre possibile del comporre i conflitti con il diritto e la giustizia. Comprensibilmente si sceglie di rafforzare la difesa, necessaria e capace di sconsigliare l’uso della forza, ma deve essere pensata insieme, europea, sia per la sua stessa efficacia e sia perché sappiamo come le armi possono diventare cattive consigliere. Il riarmo deve essere accompagnato contemporaneamente dalla scelta del disarmo, anzitutto spegnendo le guerre e dotandosi degli strumenti sovranazionali capaci di raggiungerlo e garantirlo. Questo è possibile solo con uno sforzo responsabile di tutti i Paesi, senza incertezze e senza rimandi. Un patto, un’alleanza per la pace! Altrimenti accade inesorabilmente che le armi, quelle terribili che la scienza moderna e il prolifico e terribile mercato offrono, “ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli”. È un sogno o l’unica via possibile per difendere l’unica casa comune, imparare a essere gli uni per gli altri? Dove sono finiti i principi spirituali indispensabili, tanto più dei credenti nel Dio unico, figli tutti dell’unico padre Abramo ai quali è rivolto l’imperativo di non uccidere? Iniziamo da noi, ricordiamoli a tutti vivendoli ed esigendoli.

Torniamo questa sera dal Signore per farci aiutare dalla sua luce, perché la sua Parola penetri come spada a doppio taglio e riveli i pensieri del cuore, ci aiuti a comprendere cosa è opportuno fare di fronte a tanto orrore, ci aiuti a provare orrore, a piangere per consolare, a condividere e aiutare. In questo mondo che confonde il male e il bene, dove si uccidono coloro con i quali si sta mediando, che cerca l’arroganza della forza, che manipola la verità, nascondendola e con impudica ipocrisia pensa di non chiamare i fatti con il proprio nome, Dio chiarisce. Dio non è indifferente. È sempre un Dio geloso e ci riempie di passione per difendere non una parte, ma l’unica parte che gli interessa e che chiede ai suoi figli. La parte di Dio è la persona, qualunque persona, perché essa contiene un pezzo unico di Lui e in ognuna capiamo l’intero. Chi uccide l’uomo uccide Dio. Tu non uccidere, tanto che il nostro Dio impone di amare il nemico e di non dire pazzo al fratello perché la vita umana è preziosa, sacra e inviolabile sempre. Non amare è il primo passo per uccidere; e non uccidere è il primo passo per amare. E a questo sono tenuti tutti i credenti. “Chiunque odia il proprio fratello è omicida” (Gv 1, 3-15). Ma la guerra inizia con la violenza, con il pregiudizio, con la memoria che non viene riconciliata e purificata, con coltivare l’odio, anzi in maniera irresponsabile lo si semina quando si crea il nemico inquinando con notizie ed estremizzazioni che servono solo per esasperare i toni, per far credere che l’altro sia solo un nemico da colpire, non più una persona ma, appunto, un nemico. Ecco l’odio, che si nutre di semplificazione, privando il prossimo di dignità, riducendo la sua uccisione a effetto collaterale. Fermiamoci in tempo! Tutti. Chi si dice cristiano sceglie da che parte stare: sceglie la pace. Chi decreta di uccidere? Chi autorizza che l’altro sia un bersaglio da sopprimere? È la fine della giustizia. La vittoria non può venire dalla forza, costretta a crescere sempre di più, illudendo di neutralizzare il nemico, seminando morte e sofferenze terribili che produrranno altra rabbia e violenza. La forza si ritorce sempre contro chi la usa. Sentiamo rivolte a noi le parole pronunciate da Gesù. I piccoli hanno i loro angeli e questa sera siamo stati anche noi i loro angeli, liberandoli dal disprezzo e dallo scandalo di cui sono state vittime. Il Papa l’altro giorno ha ricordato quanto scritto da un bambino pakistano, Abish Masih, ucciso in un attentato contro la Chiesa cattolica, e che aveva scritto sul proprio quaderno: «Making the world a better place», «rendere il mondo un posto migliore». Quando inizia un mondo migliore? Può esserci? Inizia da noi, diventando noi angeli di tutte le piccole vittime della violenza, chiedendo per questo, per loro, per gli anni rubati dall’insensatezza della violenza e della guerra, la fine della violenza, la ripresa della via del dialogo, unica vittoria possibile se si vuole un futuro di pace e non di sopraffazione. Papa Leone XIV ha chiesto che ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. Che si ascolti la voce degli innocenti e si fermi la mano del violento, che perde sempre ogni sua ragione quando uccide il fratello! Diventiamo come dei bambini che non possono fare a meno del prossimo, che si pensano insieme, che ascoltano il Padre. Martin Buber diceva: “Dialogare è ascoltare l’altro come si ascolta un testo sacro: con rispetto, con meraviglia, con pazienza. Nell’incontro autentico tra due esseri umani, Dio abita. Non come dottrina, ma come presenza. La verità non è un possesso individuale, ma una relazione viva. Quando io e tu ci incontriamo davvero, nasce uno spazio sacro. Il libro è il luogo dove l’io cerca il tu. Dove la parola si fa ponte, non barriera. Ogni frammento di verità ha senso solo se condiviso. Solo se riconosciuto nell’altro”. Che la Parola di Dio insegni ai credenti a cercarla, perché la casa comune, l’unica stanza del mondo, sia preservata e “diventi un posto migliore”, cominciando ad esserlo proprio per i bambini.

Cattedrale dell'Assunzione di Maria Vergine - Parma
17/09/2025
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