Omelia per funerale don Fabio Betti

L’apostolo ci ricorda che siamo testimoni oculari della sua grandezza. Facilmente penseremmo di no, perché misuriamo la grandezza sui risultati, sulla nostra forza più che su quel vento che soffia dove vuole cui abbandonarci. Lo capiamo dolorosamente oggi, a confronto con il buio più impenetrabile e con le tante inevitabili e dolorose domande che lo accompagnano e che feriscono il nostro cuore. Il male vuole cancellare in tanti modi la bellezza di Dio che contempliamo nella vita dell’uomo. Sento la bellezza di questo Tabor che è la liturgia, presenza di Dio nel mondo, luce sempre gentile che illumina il suo abbassamento nell’umiliazione della nostra condizione. Ogni nostra umiltà, quindi, viene sollevata da Gesù.

È davvero il centro e il fulcro della nostra vita, comunione di Dio con noi, che diventa anche, misteriosamente e molto più delle nostre riduttive interpretazioni, comunione tra noi. E ho visto e sentito tanto questa comunione nell’affetto, nella protezione che ha accompagnato don Fabio in questi anni e anche in queste settimane. Anche noi “la stessa voce della gloria di Dio sull’amato”, come ci ricorda l’apostolo, “l’abbiamo udita discendere dal cielo” e siamo stati raggiunti dalla voce di tanti profeti alla quale facciamo bene a “volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno” e non sorga anche nei nostri cuori “la stella del mattino”.

È la bellezza di quell’amore da illusi che rese forte l’umile don Giovanni Fornasini, tanto da restare cristiano e umano nella pandemia di violenza che si era abbattuta sulla sua comunità e su di lui. Quanti profeti in molti modi ci hanno aiutato a vedere la bellezza della presenza di Dio riflessa nella nostra vita! Non capiamo mai abbastanza. Anzi. Non dimentichiamo da ingenui o presuntuosi i pericoli, le tempeste che rivelano impietosamente la nostra sempre poca fede. Gesù non giudica, perdona quello che noi non sappiamo capire e perdonarci, nell’abisso che sempre è il cuore dell’uomo che ama tutto, anche quello che noi stessi non sappiamo raggiungere di noi stessi.

Gesù ci libera dal cercare una forza che non abbiamo: Pietro non doveva tradirlo mai e poi, fidandosi del suo coraggio e non delle parole di Gesù, che per lui dava la vita salendo in croce proprio per non tradirlo, finisce per rinnegare l’amore nel freddo della paura e della notte. Pietro si scandalizza di Gesù. Gesù non si scandalizza di Pietro, del suo peccato e della sua fragilità, tanto che gli lascia la sua parola perché gli ricordi che è amato non per la sua forza, ma per la sua debolezza. E noi non siamo migliori di Pietro. Gesù ci dona la bellezza della sua luce perché anche noi di fronte all’evidenza di fine, quando tutto appare senza senso e sperimentiamo la vanità delle nostre aspirazioni e speranze, possiamo vedere la sua gloria, inspiegabile anticipo di quella piena nel cielo, quando la sconfitta diventa la vittoria e la stessa bellezza che vediamo diventa eterna.

Gesù continua a prenderci con sé perché non restiamo prigionieri del buio, fosse solo abbandonandoci all’inerzia di una vita fatalista e povera di amore. Come Pietro vogliamo che la bellezza non finisca, non subisca prove, fatiche, ci liberi per sempre dalla lotta alle tenebre, a volte così faticosa. Rimane Gesù solo, solo lui, solo con la sua e la nostra vita. Gesù continua a mostrare i riflessi della gloria di Dio, anticipo di quella senza fine. «Niente avviene a caso nella vicenda umana, che arcanamente ma si svolge secondo il disegno del Padre» disse Biffi all’ordinazione presbiterale di don Fabio perché «non vi promette facili successi pastorali; piuttosto ci ammonisce tutti con il paragone del seme, che in lento e silenzioso disfacimento si macera nell’ombra e nell’umidità della zolla». Dio è luce e anche nella notte più oscura Gesù è lampada che non si spegne mai. Sant’Agostino dice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore». Vivere significa morire, ma con Gesù capiamo che morire significa risorgere.

Certamente Fabio non avrebbe desiderato che oggi si parlasse di lui ma lo faccio solo per ricordarmi e ricordare la gloria di Dio e la sua bellezza che Fabio ci ha trasmesso e che resta nei nostri cuori. La bellezza era nei suoi occhi buoni, nella sua evidente fragilità, della quale a volte ironizzava, come a mostrare che solo il Signore è capace di rendere luminosa la vita sempre, anche in una condizione difficile. Non faceva nulla per nasconderlo. “E del resto… cosa vuoi nascondere?”, avrebbe detto con un sorriso, guardandosi. Amava la bellezza della Parola e la sapeva comunicare, ma quella vera, concreta, espressa se necessario in dialetto, senza sfoggi inutili e ragionamenti tortuosi e proprio per questo straordinariamente efficace, divina e umana.

È la bellezza della liturgia, dei segni, della profondità nelle omelie che preparava con cura, delle catechesi, della misericordia di Dio che amministrava con paternità, misericordia che restaura la dignità di ogni persona. È la bellezza dello stare con il Signore alla sua mensa e alla mensa della fraternità, come a Montovolo, con delicato affetto, acuto e arguto. La bellezza la sapeva cogliere negli incontri personali, conoscitore sensibile dell’animo umano che illuminava con la luce penetrante e intelligente dell’amore, facendo sentire importante l’interlocutore del quale era lui a portare volentieri i pesi. Era, insomma, la bellezza della santità umanissima, esigente, ironica, decisa, severa, accogliente, mai banale seppure scherzosa.

Diceva: «L’amore astratto cerca gesti eclatanti come i fuochi artificiali, perché tutti lo notino, mentre l’amore vero è qualcosa di diverso, qualcosa che ha a che vedere con la fatica e la perseveranza, ma brucia e illumina sempre, anche nell’ora più buia». Qualcuno lo ricorda sincero e profondo, testardo, ma sempre sorridente anche nella fatica e nel dolore. Un uomo alla ricerca, in cammino con la croce al collo e nel cuore, segno del punto di partenza e di arrivo della sua vita. Una bellezza tutt’altro che disincarnata ma intransigente, perché voleva che le parole corrispondessero sempre alla vita.

In questa ultima sua Pasqua pronunciò alcune parole che desidero ricordare oggi che celebriamo noi la sua Pasqua al cielo: «Non si può vivere nell’orizzonte della morte e che abbiamo la tristezza che ogni cosa bella tanto finirà. Questo mistero per noi resterà incomprensibile. Il fatto che non abbiamo capito e che ci lascia sgomenti è il primo annuncio della Pasqua, come qualcosa di sovrumano. Se era qualcosa di umano, scusate, ce la facevamo da soli la Pasqua. La Pasqua sarà per noi un orizzonte nuovo. La Pasqua non è una specie di consolazione, indorare la pillola. Non dobbiamo aver come orizzonte la morte. Se parliamo di quello che può fare l’uomo la resurrezione non esiste. Dio mi prende in mano, prende in mano la situazione e la rende per tutti Pasqua».

Caro Fabio, Dio ti prende per mano e oggi è per te Pasqua, la bellezza tutta umana che non finisce. Grazie per il dono della tua vita, della tua intelligenza e profondità, per l’amore sofferto per la Chiesa e per le sue miserie, per la bellezza dell’amore di Gesù che hai saputo riflettere per tanti. Perdona le nostre mancanze. Il Signore, che è sempre più intimo a noi di noi stessi e non si scandalizza della nostra fragilità, che sa leggere nel profondo e ci perdona più di quanto noi facciamo con noi stessi, sciolga tutti i nodi del cuore tuo e nostro in quel canto di lode, senza diaframmi e paure, perché sì, è proprio bello per noi stare con Lui e la sua luce, solo la sua luce rende bella tutta, tutta, la miseria della nostra vita perché amata da Lui.

Bellezza che non finisce a cui siamo chiamati, nella quale si ricompone in pienezza tutta la nostra vita, la tua mamma, il babbo che hai accompagnato con tanta cura, i tanti a cui hai voluto bene e che ti amano, come sapevi suscitare. Lo ripetiamo con te, ringraziandoti di avercelo sempre ricordato: “Il Signore è uno, noi tutti fratelli”. “Servire è regnare”. Grazie don Fabio. Prega per la Chiesa che tanto hai amato. In pace.

 

Bologna, Cattedrale
13/01/2022
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