Omelia per la festa di sant’Agapito a Palestrina

Celebriamo Agapito che accompagnerà la nostra Chiesa prenestina – e lo posso ben dire, essendovi nato come presbitero ordinato per le mani del caro Mons. Spallanzani, e avendo celebrato per tanti anni proprio nella Cattedrale – all’inizio di un anno di ringraziamento, di cambiamento, di testimonianza. Siamo chiamati e mandati oggi da Gesù a camminare, a farlo insieme e ad accostarci a tanti compagni di strada. Se li guardiamo come Gesù scopriremo che molti sono tristi, come i due di Emmaus, e in fondo aspettano proprio un pellegrino che si interessi della loro discussione, che accetti di camminare con loro, che gli parli di Gesù, accetti la loro richiesta, resti con loro e spezzi il pane di Cristo perché gli occhi finalmente si aprano e così lo sappiamo riconoscere presente. Ci sosterrà sempre la Madre alla quale Gesù ci ha affidato e che, come l’apostolo Giovanni, possiamo prendere nella casa del nostro cuore. Maria lo riempie di maternità, ci fa sentire quello che siamo: figli! È una grazia un anno così. La scelta del vostro Vescovo non è di guardare indietro, di vivere di ricordi, ma di riscoprire le radici per dare frutti oggi. Agapito aveva conosciuto Gesù, aveva sentito il suo amore perché Porfirio ne aveva parlato. L’amore, che è il bene, è diffusivo di suo ma passa (o non passa!) attraverso le persone, l’umanità, la relazione, l’incontro, la fedeltà, la comunione di ognuno di noi. Ecco la nostra responsabilità! Il cristiano è soprattutto un “amato”.

Agapito significa proprio amato e amabile. Dovrebbe essere il secondo nome di ognuno di noi: siamo amati da Dio e lo siamo per come siamo. Amati e per questo possiamo e dobbiamo essere amabili verso tutti, perché l’amore è nostro se si dona, non se si possiede. Siamo amati per diventare amabili ed esserlo verso tutti e sempre. Dio non resta lontano, imperscrutabile. Ci coinvolge perché noi lo aiutiamo ad arrivare a chi ha bisogno. Certo, a volte noi stessi, come i discepoli quando erano nella tempesta del mare, pensiamo che Dio sia indifferente alle nostre vicende concrete, che non ci ama e non ci aiuta come ci serve. Quante volte ci chiediamo “dove sta Dio?”, mentre dovremmo chiederci – soprattutto quando si rivela brutale, violento, insulso, corrotto – “dove è finito l’uomo?”, dove sta il custode di suo fratello, dove ha nascosto l’umanità? Dove sta, Dio ce lo ha fatto vedere una volta per sempre con Gesù, che ci ama fino alla fine e non finché gli conviene. Ci ama peccatori e traditori come siamo e ci ama fino alla fine sua e nostra, perché la nostra vita non finisca. Perché? Perché ci ama.

Questo aveva cambiato Agapito. E non voleva perdere un amore così grande, per nessuna ragione, perché solo l’amore non ha prezzo, mai, soprattutto quello di Dio. E voleva fare tutto per il Signore. Fare le cose per Dio significa farle non per interesse personale o di qualcuno, ma gratuitamente, solo per amore e per il prossimo. L’amore fa vedere il bello che abbiamo dentro e che in realtà ha dentro l’altro. Quando guardiamo il prossimo senz’amore non troviamo nulla di bello e attraente. Quando amiamo, invece, tutto canta e splende. Un uomo amato e amabile trasmette amore, è benevolo, cioè sa trovare il bene in ognuno. E nel buio grande che c’è nel nostro mondo, dalle trincee della guerra a quelle della nostra quotidianità, dagli abissi della solitudine ai muri dell’ignoranza, c’è proprio bisogno di uomini che brillano di amore e non scendono a patti con il nemico che vuole spegnere la vita.

Anche una piccola luce rallegra, orienta, trasmette fiducia e speranza. Diceva Annalena Tonelli, di cui quest’anno ricordiamo i vent’anni della sua uccisione in Somalia, una dei tantissimi martiri del nostro tempo, che «L’uomo non buono, l’uomo incapace di perdono, l’uomo che ama ferire, l’uomo che vuole la vendetta, l’uomo falso, non sono uomini cattivi, incapaci di perdono, falsi necessariamente. Lo sono perché non hanno incontrato sul loro cammino una creatura capace di comprenderli, di amarli, di farsi carico delle loro colpe». Dio ci ama perché amiamo e amiamo un mondo così. Non amiamo perché gli altri ci amano, ma perché Dio ci ama. E questo mette in movimento tanto amore, perché amati non abbiamo paura di donare.

Dio ci ama, allora, non per farci stare un po’ contenti, offrici qualche assaggio di felicità, ma per donarci gioia vera e piena, più forte del male. In giro, enfatizzati dalla potenza digitale, abbiamo parecchi fornitori di felicità di tutti i tipi, spesso a poco prezzo, rapide, senza sforzo, tutte rigorosamente individuali o solo tra soci scelti, felicità che poi diventano dipendenze e vere e proprie schiavitù. Altro che individualità: diventi quello che vogliono loro! Dio, invece, vuole una gioia che nessuno può portarci via e il suo amore è tanto forte che il male stesso diventa occasione per dare testimonianza, cioè per amare. I santi della porta accanto e i martiri della porta accanto sono quelli che affrontano le avversità e non scappano. Il male è dentro la vita e non c’è vita senza scontrarsi con la morte. Ma la vita non è destinata alla morte. L’amore è più forte, se combattiamo il male seguendo Gesù, che lo ha vinto con l’onnipotenza dell’amore. Gesù non ci offre una spiegazione, non impartisce l’ennesima lezione teorica, come tanti sapientoni che sanno e spiegano tutto ma non alzano un dito e ci lasciano soli con noi stessi.

La risposta è Gesù stesso, il suo amore: ci ama e ci chiama, ci serve e manda a servire, ci prende con sé perché anche noi prendiamo tanti suoi fratelli più piccoli, diventa nutrimento perché nutriamo di amore. I martiri non sono eroi: sono uomini che sono rimasti uomini e sono quelli che hanno amato fino alla fine. Per questo un cristiano si sacrifica: non scende a compromessi, non cerca di amare insieme Dio e mammona, la ricchezza. Non si può. Il sacrificio mette allergia a chi vuole un amore senza problemi, che ci rilassi e basta, perché deve servire solo al proprio io e il vero problema è stare bene lui. Gesù non ama la sofferenza, ma non scappa. Il sacrificio è solo amore più forte della paura, è quello di un padre o di una madre per difendere il proprio figlio, di un amico che fa di tutto per salvarti. Non è questione di punti premio o di qualche distorsione psichica, ma di amore!

San Paolo ce lo ricorda! Se non avessi la carità, cioè l’amore, possiamo compiere anche cose oggettivamente grandiose, ma non sarebbero nulla. I martiri lo fanno per Gesù Cristo che chiede che noi diamo la vita per i nostri amici. È un amore così che vince le tenebre, sempre: un giorno il bene risplenderà! Era questa la certezza di Agapito, così di tutti i martiri contemporanei che sono più dei primi secoli! Quanti cristiani danno testimonianza. Basti pensare alle Chiese bruciate ieri in Pakistan! Allora non restiamo a guardare le nostre e le altrui miserie, ma amiamo come possiamo. Non importa se possiamo poco e il nostro amore è come una goccia d’acqua nell’oceano: è sempre un riflesso di un amore più grande e in questo riflesso si vede tutto l’amore di Dio. Non dobbiamo brillare noi ma riflettere un amore più grande che abbiamo nel cuore.

Agapito non accettò di scendere a patti con gli interessi di Aureliano che, come ha sottolineato con saggezza il Vescovo Mauro, nascondeva motivi economici. La vera religione era il consumo. Aureliano è per noi quell’algoritmo mercantile della competizione e dell’esclusione, che giustifica i privilegi e impone gli scarti, che fa scegliere se fare una cosa o non farla, quello per cui vali se hai soldi, se convieni o non vali niente se smetti di consumare. Non possiamo scendere a patti. E il martirio, la testimonianza, inizia uscendo noi dall’algoritmo mercantile, cioè dall’interesse personale, per vivere quello dell’amore, gratuito, attento alla persona, che ama la vita dal suo inizio alla sua fine, per chiunque.

Agapito difese la sua fede vivendola. Tutti siamo chiamati ad essere luminosi, amabili, amanti, come ci ha suggerito Papa Francesco indicando un martirio possibile a tutti, forte perché pieno di amore (23.06.2013): «Quanti papà e mamme ogni giorno mettono in pratica la loro fede offrendo concretamente la propria vita per il bene della famiglia! Quanti sacerdoti, frati, suore svolgono con generosità il loro servizio per il regno di Dio! Quanti giovani rinunciano ai propri interessi per dedi­carsi ai bambini, ai disabili, agli anziani …! Anche questi sono martiri! Quanti uomini retti preferiscono andare controcor­rente, pur di non rinnegare la voce della coscienza, la voce della verità! Persone rette, che non hanno paura di andare controcorrente! E noi non dobbiamo avere paura!».

Che il Signore, con l’intercessione di sant’Agapito, ci doni di essere suoi testimoni e le nostre comunità cambino, siano sempre più case di amore gratuito, per tutti, forte, fino alla fine, perché crediamo in Gesù, nostra salvezza, amore che non finisce.

Palestrina (Roma)
17/08/2023
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