Omelia per le Carmelitane Scalze nel 70° del monastero del Cuore Immacolato di Maria

Settant’anni. Siete di poco più grandi me! In realtà le figlie di Santa Teresa erano a Bologna da molto prima. Si spostarono qui – che all’epoca era fuori città – per le condizioni in cui vivevano, peggiorate dopo il bombardamento che durante la guerra aveva danneggiato l’edificio di Via Malcontenti. Vi ringraziamo per l’aria buona che avete garantito con la vostra presenza, la preghiera, i buoni sentimenti che trasformano quelli pieni di malanimo e malizia. Durante il Covid mi portarono un depuratore dell’aria. Non si vedeva come, ma certamente era efficace – credo! – per proteggere dal contagio, per liberare l’aria dai virus. Non ce se ne accorgeva ma tutti ne traevano vantaggio. Ecco cos’è stata la vostra presenza in questi anni: aria buona e riparazione dei tanti virus di indifferenza, mediocrità, cattiveria, odio, che viziano l’aria tanto da rendere difficile il nostro respiro.

Purtroppo, ce ne accorgiamo solo quando manca! Il monastero è una casa. Non un fortilizio. Qualcuno teorizza che è necessario chiudersi in monastero perché è l’unico modo per la Chiesa di difendere il Vangelo, la sua verità minacciata – questo è sempre sicuro! – dal principe del mondo, messa alla prova dal divisore che vuole distruggerla. Il Signore, che conosce bene la nostra fragilità e il nostro peccato, non ci toglie dal mondo, non invita a imporre una distanza tra il discepolo, la sua comunità, il prossimo e la città degli uomini. Anzi, Gesù ci manda in mezzo alla messe, ci vuole operai di questa, ci invita ad alzare lo sguardo e a vedere l’urgenza che c’è di raccogliere il grano. È stolto credere che proteggere significhi nascondere, tenere sotto terra, distante dai pericoli ma anche dal senso del seme: la terra. Il diavolo, il nemico, continua a proporre: «Salva te stesso, smetti di amare».

Questa è una casa dove tutti impariamo ad amare. In questi settant’anni non ha mai smesso di fare entrare la storia, di ascoltare le difficoltà, di intercedere per le sofferenze, di far crescere quella comunione che è spirituale e umana, legame che porta ad unire il nostro cuore tra di noi e con il prossimo. Non basta essere vicini fisicamente quando il cuore è lontano e la presenza virtuale. L’illusione di conoscere e amare perché si è vicini («eravamo sulla stessa piazza», «ti abbiamo ascoltato») mentre non si conosce e non ci si è fatti conoscere, fa illudere e rende ancora più amaro e doloroso quando si scopre la distanza, l’incapacità di capirsi e di voler bene. Senza il cuore non si conosce. È il cuore che mette in movimento la mente e le mani! Il sentimento di Gesù è la compassione, cioè pensarsi in comunione con qualcuno. Questa è una casa di comunione tra sorelle che si pensano una cosa sola e che sono unite alla Chiesa e al mondo, con quell’intimità spirituale della preghiera e dell’unione con Dio. Durante la visita della Madonna di San Luca ho potuto contemplare il legame profondo tra questa casa e la città degli uomini. Con la comunità della Parrocchia di Sant’Anna, infatti, avete un legame che potremmo definire di “latte” nel senso che, prima ancora che vi fosse la casa in pietra, quella delle pietre vive si ritrovava proprio qui, insieme a don Vincenzo e a don Guido.

«Le prigioniere di Dio», scriveva con le categorie e l’enfasi dell’epoca il Carlino nel 1953. In realtà libere dai tanti legami che imprigionano il cuore! Libere da tanta vanità e attente a quello che conta! Scendete nel profondo della storia e delle vostre persone, proprio perché cercate di salire più in alto. Il desiderio che portiamo in noi si comprende solo in una comunicazione di amore con Dio. Lo Spirito non ci porta fuori dal mondo, ma per certi versi ancora più dentro, perché liberi dalle passioni superficiali che confondono, illudono, scuotono all’infinito e disperdono la fragilissima vita delle persone. La vostra è una casa santa non perché perfetta – la zizzania entra anche nel monastero, perché non c’è muro che protegga dal male, poiché solo l’amore di Gesù ci rende più forti. Il nemico, che è sempre sveglio, approfitta proprio del sonno per gettare il seme di divisione.

Approfitta dell’incoscienza o della sicurezza che porta a non essere vigilanti verso se stessi e verso il mondo. Questa è una casa santa non per l’eccellenza delle nostre qualità ma per l’umiltà di servire Gesù, di sentirlo vicino, e di farci ispirare da lui le nostre azioni e i nostri pensieri. Qui non si evitano i “tempi duri” (Libro della Vita, 33, 5). La vera santità è gioia, perché «un santo triste è un triste santo». L’ascesi è uscire dalla mediocrità che ci involgarisce e ci imbruttisce, e ci aiuta a trovare quello che c’è di più bello in noi. Ascesi è scendere nel profondo di noi stessi. Non è perdere il vino, ma farci gustare quello buono, facendo quello che Lui ci dirà. L’uomo è così grande che solo Dio può riempirlo! Il grano è il seme buono del pane che Dio semina sempre, senza scandalizzarsi della nostra fragilità e del nostro peccato. Certi scandali ipocriti pensano di distinguere i buoni e i cattivi.

Non si raggiunge la gioia con le scorciatoie per evitare l’affronto delle difficoltà. In fondo, nell’idea di sradicare la zizzania c’è un’idea di purezza, di santità pigra, che non vuole fare i conti con il peccato e vincerlo con l’unica forza della fedeltà a Gesù, quella di vincere il male con il bene e di seminare sempre il buon seme. Vi ha detto Papa Francesco, e sono parole che ripeto perché sintesi efficace e attraente, che «in una cultura del provvisorio, vivete la fedeltà del “sempre, sempre, sempre” (Vita 1, 4); in un mondo senza speranza, mostrate la fecondità di un “cuore innamorato” (Poesia 5). E in una società con tanti idoli siate testimoni che “solo Dio basta” (Poesia 9).

Oggi Teresa ci dice: prega di più per capire bene che cosa succede attorno a te e così agire meglio. La preghiera vince il pessimismo e genera buone iniziative (cfr. Settime Mansioni 4, 6). È questo il realismo teresiano, che esige opere invece di emozioni e amore invece di sogni; il realismo dell’amore umile di fronte a un ascetismo affannoso!». Insomma, è dalla preghiera che nasce l’azione, dal silenzio le parole che esprimono il cuore e comunicano al cuore. Santa Teresa sapeva che né la preghiera né la missione si possono sostenere senza un’autentica vita comunitaria. Perciò il fondamento che pose nei suoi monasteri fu la fraternità: «Qui tutte devono amarsi, volersi bene e aiutarsi reciprocamente» (ibid. 4, 7). E fu molto attenta ad ammonire le sue religiose circa il pericolo dell’autoreferenzialità nella vita fraterna. Incontro con Dio paziente, che ci aiuta a vincere le nostre contraddizioni perché fedeli al suo amore.

Santa Teresa si interrogava: «Che vuoi da me, Signore? Sono Tua perché mi hai creata, Tua perché mi hai riscattata, Tua perché mi hai sopportata, Tua perché mi hai chiamata, Tua perché mi hai aspettata, Tua perché non sono andata perduta. Che vuoi da me, Signore?». Ecco la domanda dei cristiani, domanda di amore che chiede amore perché il mondo ha bisogno di amore e noi troviamo il nostro solo donandolo e aprendoci, personalmente, a quello con cui Dio non smette di raggiungerci.

Ecco perché per voi e per gli anni che abbiamo di fronte, chiedo al Signore la benedizione e di accrescere la nostra poca fede per cantare anche noi la sua sapienza:

«Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta! Il tuo desiderio sia vedere Dio, il tuo timore, perderlo, il tuo dolore, non possederlo, la tua gioia sia ciò che può portarti verso di Lui e vivrai in una grande pace». Sia così per voi e per noi.

Carmelo del Cuore Immacolato di Maria - Bologna
23/07/2023
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