Omelia per le Figlie di Maria Missionarie a Roma al termine del 22° Capitolo

La Parola di Dio ci aiuta a confrontarci con la vita vera e anche con le nostre difficoltà. Senza moralismi, ipocrisie, vergogne, ci parla della paura. È importante: la paura paralizza il cuore, fa cercare una forza che non abbiamo e ci illude di darci sicurezza. Abbiamo paura di scoprire che tutto è vano, che non vale la pena, che non resta nulla delle nostre illusioni. Come si vince la paura? Ieri un uomo malato, che deve affrontare la morte avendo un tumore disgraziato, che non guarda facendo finta che non ci sia, ma consapevolmente, mi ha chiesto come si fa a non avere paura. Solo con l’amore! La paura fa guardare indietro, ispira i pensieri di sventura, quelli che sanno vedere solo il negativo, che sono contenti quando scoprono la pagliuzza perché pensano di aver risolto il problema, che cercano il male anche dove non c’è e ne finiscono prigionieri. Così è come essere rimasti in Egitto! Gli ebrei ebbero paura e gridarono al Signore. Qualcuno avrebbe detto la paura della libertà, l’abitudine a lamentarsi, a non sapere aspettare. Dissero a Mosè: «È forse perché non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto?”. Il problema sembra essere sempre di Dio e non nostro. «Che cosa ci hai fatto, portandoci fuori dall’Egitto?».

Mosè rispose: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore, il quale oggi agirà per voi». La paura indebolisce: esserne liberi ci rende forti. «Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli». Ma occorre mettersi in cammino anche se non si hanno tutte le risposte. Non si vince la paura perché abbiamo tutte le risposte o abbiamo raggiunto una sicurezza sufficiente e garantita. Qualche volta vogliamo programmi che definiscano tutto, ci offrano le risposte per evitare tutti gli imprevisti, e che spieghino tutto. Non si vince la paura così, come non si conosce il nostro io per le infinite interpretazioni di questo.

La saggezza rabbinica ricorda che le acque del Mar Rosso si aprono per far passare il popolo di Israele solo dopo che questi aveva messo il piede nell’acqua! I farisei vogliono essere sicuri, vincere la paura di affidarsi, di amare, chiedendo dei segni inequivocabili. Gesù sembra addirittura esser ingiusto, poco umano, nei confronti di questa richiesta, non spiega, si sottrae alla tentazione di credere perché si è sicuri, si è visto abbastanza. Non saremo mai convinti. Gesù ci dice: ti amo, non si mette a convincerci. E noi non apriamo perché siamo sicuri, ma solo se sentiamo il suo amore. Il seme ha bisogno della terra per dare frutto. Il seme deve morire a stesso per trovare se stesso. Altrimenti l’io, che è anche il seme che Gesù ci ha dato, il talento che ognuno di noi ha, si perde. Può dare frutto solo se raggiunge la terra. Il seme della vostra vocazione chiede di essere gettato con larghezza nel mondo. La missione non è proselitismo, che ci allontana dall’incontro perché significa cercare l’altro per noi, non per lui. Non siamo nemmeno accompagnatori o animatori ma seme di vita, generatori di speranza, di vita vera. Seminare significa tessere tanti legami, una casa. Costruire una casa, essere casa per chi non ha posto, essere madri per i tanti che sono soli. Noi non vogliamo essere sicuri della visione dell’amore. L’amore come programma. Che fiducia è quella per cui faccio solo se sono sicuro? La pace va cercata quando c’è la guerra, il prossimo quando c’è solo un uomo mezzo morto abbandonato in mezzo alla strada.

Non ci sarà altro segno se non quello di Giona. È molto importante. Vedere la croce per vedere la salvezza. La croce, il segno di Giona, la croce e la discesa agli inferi della morte, nel grande mistero del male, non è per eroismo ma per amore. Per questo la croce mi fa sentire sostenuto nelle angosce. E i segni veri, quelli che spesso disprezziamo, sono quelli della vita che cambia, del male sconfitto, della vita che rifiorisce, della persona amata che ritrova se stessa. Solo l’amore resiste all’odio, alla paura, alla vendetta, al persuasivo mettersi in salvo. Ecco la missione, specie con i tanti fratelli più piccoli di Gesù, sotto le loro croci, accanto alla loro sofferenza, scendendo negli inferi di condizioni di vita insopportabili, ingiuste, senza vita. Ecco la vostra missione, che è anche quella di aiutare tanti a restare, ad amare perché la vita risorga.

Mi ha colpito la sensibilità del vostro fondatore, don Giacinto, credente inquieto che mai si era sognato di fondare una congregazione. Le ha volute allegre, perché «le anime sfiduciate assomigliano ai salici piangenti, buoni a fare ombra solo sulle tombe»; le invita ad essere «miracoli di allegrezza cristiana in mezzo alle molte miserie della vita» e insegna loro che «la virtù eccezionale, la più alta è una sola: la dolcezza». Le educa con consigli spiccioli: «Non fate difficile la via della virtù», «non sovraccaricatevi di esercizi spirituali», «non parlate di digiuno, perché avete appena da vivere» e le invita a «non chiedere a Dio tribolazioni, ma a sopportare quelle che Dio vi manda e a non esagerare con le vostre». Ogni circostanza, favorevole o avversa, diveniva per lui provvidenziale occasione di testimoniare una fiduciosa speranza in Dio. La sua spiritualità si caratterizzava per un tenero amore a Maria, che fin dalla fanciullezza aveva orientato tutta la sua vita.

È proprio vero: siamo cristiani non per una decisione etica o una grande idea, bensì per l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva, come scriveva Papa Benedetto XVI nella Deus Charitas Est. Il Signore ci rafforza sempre e ci aiuta a comunicare il Vangelo in maniera affettiva e personale. È davvero una gioia essere missionari oggi, in un mondo assetato di amore vero, e diventare una sorgente di acqua buona, quella che spegne ogni sete perché è di vita che non finisce. Dio vi benedica e vi liberi dalla paura per comunicare il Vangelo con gioia e semplicità di cuore.

Roma
24/07/2023
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