Omelia V domenica di Quaresima

“E liberaci dal male!” è il titolo della riflessione di questi giorni. In realtà è il desiderio di ogni persona ed è la lotta della Quaresima: vincere il male che è dentro di noi pe risorgere ad una vita nuova. La Pasqua la vivremo pienamente in cielo, ma la sua gloria, la sua luce, la sperimentiamo fin d’ora. Liberaci dal male non significa affatto che ci deve pensare Lui, che tutto dipenda da Dio. Anzi. Non garantisce ai suoi di non soffrire, ma il suo amore. Non ci libera dal combattere il male, ma ci insegna a vincerlo con l’amore. Il suo e il nostro. Il prodigioso duello tra la morte e la vita è vinto e noi dobbiamo essere dalla parte della vita e non sciocchi complici del male che ci distrugge.

“Liberaci dal male!” È una richiesta che qualcuno liquidava come medioevale, non volendo misurarsi con il mistero del male, riducendolo ad un’idea che bastava controllare e conoscere per esserne protetti. Confidando che tanto “andrà tutto bene” o ingannati dalla convinzione di essere noi a decidere. Poi il mistero del male rivela tutta la sua forza, inquietante, rivelando le nostre presunzioni e ci scopriamo fragili e impotenti. “Liberaci dal male” è il desiderio della Pasqua, di vivere, di amore non caduco, di eternità che è scritta in ogni persona. La nostra generazione vive come un’ubriacatura – questa sì ripiena del vino nuovo delle dipendenze e della droga peggiore di tutte che è l’individualismo – tanto che riesce con difficoltà a distinguere il bene e il male. Avviene così quando si ama poco o, quando, invece di amore cerchiamo surrogati facili e non esigenti, come i mercenari di cui parla Gesù che quando vedono arrivare il lupo ci lasciano soli.

“Liberaci dal male” perché abbiamo creduto a tante false felicità, che ci hanno indurito tanto da non commuoverci più pur davanti agli evidenti frutti del male, che guardiamo come spettatori, con la presunzione che a noi non capiterà, o con la rassegnazione fatalista che tanto non si può fare nulla. Le pandemie hanno rivelato la forza terribile del male e quanto la vita è sempre vulnerabile e fragile, esposta ad una forza tanto più grande. Forse, proprio per questo, abbiamo capito di più la scelta di Dio: liberarci dal male. Il male è entrato per invidia e con la complicità degli uomini, che pensano che per essere se stessi devono uccidere Dio e il prossimo.

I primi fratelli sperimentarono la forza del male che fa dominare l’istinto, acceca con l’amore possessivo, tanto che uccidendo il fratello uccide la fraternità. Dio non può accettare che le sue creature, quelle in cui ha nascosto la sua immagine e che ha dotato della sua stessa capacità, la più vera, quella di amare e di essere amati, siano perdute, vittime e artefici del male perché follemente complici del male che uccide la vita, oscurandola o rendendola insignificante. Solo per liberarci dal male Dio manda suo Figlio, l’amato, l’unico. Solo per insegnarci che la felicità è amare se stessi amando Dio e il prossimo, per insegnarci la misura dell’amore, per liberarci dall’inimicizia, tanto da amare anche il nemico e non dire nemmeno “pazzo” perché non giudichiamo. La volontà di Dio è che nulla sia perduto, cioè inghiottito dal non senso del male.

Egli manda suo Figlio, cioè se stesso, anzi tutto se stesso, rivestendosi della nostra fragilità costitutiva dell’umano, per rivestirlo dell’amore originario senza fine. Diventa uomo lui che è Dio solo per liberarci dal male, per farci passare dalla morte alla vita. Non ci rende invulnerabili, ma amati. Non si mostra onnipotente, ma solo amore, fino alla fine. Questa scelta, che solo l’amore può spiegare e vivere, ci scandalizza. “Non ti capiterà mai”, ripetiamo anche noi con Pietro. “Se sei Dio salva te stesso e pure noi!”. Gesù non salva se stesso e decide di andare in Galilea. Perde la sua vita per andare da un amico che sapeva essere morto. Nel Vangelo di Giovanni la condanna a morte di Gesù è decisa proprio per questa sua amicizia con Lazzaro e per averlo richiamato alla vita. Per amicizia, insomma. Dio muore per amicizia, per dare vita a chi l’ha perduta. Noi sciupiamo l’amicizia, la tradiamo, la riduciamo ad un contatto che possiamo cancellare se diventa troppo impegnativo. Siamo vicini eppure sappiamo così poco amarci per davvero, legarci, pensarci insieme, lavarci i piedi. L’amore non è certo una facile dichiarazione astratta di intenti! Se ci sono problemi, purtroppo spesso gli amici scompaiono e ci stupiamo quando questo non avviene.

Ci accompagnano fino alle soglie della Pasqua Marta e Maria, che ci hanno aiutato a scegliere la parte migliore. Con tanta sapienza umana il Cardinale Tolentino ha sottolineato che Gesù non definisce una volta per tutte qual è la parte migliore. Certamente è quella che scopriamo solo stando con Lui e che possiamo capire non da fermi, ma camminando, crescendo. La parte migliore la troveremo camminando e ascoltando Lui che è la via e che, come ogni via, si capisce solo percorrendola. Marta e Maria amano il loro fratello. Sanno che Gesù lo ama. Hanno proprio il dubbio dei credenti, le domande di chi ha fede.

“Se tu fossi stato qui”, che vuol dire anche: perché non c’eri? Esse stesse diranno sempre: io credo che la vita non finisce. Credo. Ma mio fratello è morto. Per Gesù, come nell’incontro con il cieco nato, la sofferenza non è per la disperazione e nemmeno per mettere alla prova. Gesù prende la prova e ci libera con la sua morte dalla morte! Gesù rende la sofferenza non benedetta, ma occasione per dare gloria a Dio perché la trasforma in occasione di amore più forte del male. E questa è la sua gloria. Gesù non si arrende davanti al male, non lo certifica, non si abitua ad esso.

E per amicizia con Gesù, Tommaso e gli altri vanno a morire. Avviene questo anche pe noi se siamo amici di Gesù. Marta, come a Betania, si muove per prima. Va incontro a Gesù. Maria lo aspetta a casa. Marta riscatta i suoi affanni: “Anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà”. Non smette di avere fede, di testimoniarla a Gesù: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno”. Trova finalmente anche lei la parte migliore, che non le sarà più tolta: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”.

Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. Lei è la prima che professa la sua fede, come Pietro. Questa volta è lei che chiama Maria. Finalmente è sorella e parla di Gesù e non di se stessa. “Il Maestro è qui e ti chiama”. È lei che la fa alzare e la riporta a Gesù. Di nuovo Maria si getta ai piedi di Gesù. Gesù la vede piangere. Le lacrime parlano, rivelano la vera sete, quella di amore. Vede piangere e piange. Chi vede piangere Gesù e piange con Lui? Anche Gesù piange, perché vede piangere una povera vedova, una sorella.

Ma piange commuovendosi per la folla stanca e sfinita perché senza pastore. Piange per Gerusalemme che non accoglie la salvezza. Piange. Piange e ci insegna a piangere, a non credere che possiamo essere dei funzionari del sacro, che spiegano tutto ma hanno il cuore altrove, consulenti che forniscono spiegazioni ma non amore, che non piangono con chi è nel pianto, ma spiegano e interpretano il pianto. Gesù piange, come un bambino, come un amico vero, come un padre per suo figlio che non c’è più. Piange come un uomo vero che non accetta il male. Anche i giudei lo notano, quasi con sorpresa: “Guarda come lo amava!”. Sorprendiamo tutti amandoci! I giudei pongono la nostra stessa domanda di fronte al male: “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?”.

Perché non ci libera dal male una volta per tutte e ci lascia a combatterlo, a subirlo, a doverci fare i contri e a cercare la fiducia in lui? Proprio perché altrimenti non ci sarebbe più fiducia! Gesù, commosso profondamente, si recò al sepolcro. Lui, dopo poco, sarà messo nel sepolcro. Affronta quello che sarà il suo stesso sepolcro, davanti al quale verrà posta la pietra pesante della morte e della parola fine. Gesù con forza esclama: “Togliete la pietra!”. Lui è la vita e ci libera dall’intimidazione del male, che stordisce e fa credere tutto inutile.

Non è più definitivo. Il Padre lo dirà a Lui dopo tre giorni nel suo sepolcro: togliete la pietra. Questo amore irragionevole, incomprensibile, ridona la vita. È la nostra vita, sarà la vita di Gesù. La morte non è più l’ultima parola. In un mondo che costruisce sepolcri, che incredibilmente si fa complice del male, Gesù continua a chiamare alla vita, ci aiuta a scegliere la vita, a perderla per amicizia con i tanti Lazzaro e anche con Marta e Maria. Gesù è vita e sa che siamo fatti per vivere, non per morire. Gesù non resta lontano, non salva se stesso, ma si fa condannare perché ama fino alla fine.

Ecco la forza dei martiri che è quella dei credenti. Non è l’eroismo, ma l’amicizia. Sono amici che danno la vita per i loro amici, perché piangono per loro. Dio grida: Vieni fuori! Lo grida all’Ucraina e a tutti Paesi imprigionati dal male. Anche a noi chiede di venire fuori dalla rassegnazione per asciugare le lacrime ed essere da oggi artigiani di pace.

Credi nella forza dell’amore, del mio amore? Io sono la risurrezione. “Non ti ho detto che se credi vedrai la gloria di Dio?”. Lo dobbiamo credere quando la tomba è chiusa e quando tutto sembra senza senso e senza futuro. Crediamo alla luce quando c’è solo il buio. Sì. “Togliete la pietra”. Marta pensa sia un gesto sconsiderato. Aveva detto che credeva in Lui, ma ha paura. L’amore affronta il male, supera il limite. Gesù chiama dalla morte alla vita: vince la solitudine dell’abbandono e restituisce l’uomo sepolto sotto la rassegnazione e la paura; scioglie dai legami invisibili e fortissimi del peccato. La Pasqua sarà piena in cielo, ma inizia oggi. Seguiamo Gesù per essere liberati dal male.

Signore, io credo! Aiuta la mia incredulità.

Chiesa di Castel dell'Alpi
26/03/2023
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