Il profeta Isaia descrive gli angeli che proclamavano l’uno all’altro la santità di Dio facendo vibrare gli stipiti delle porte. I padri della Chiesa vedevano in questa immagine la comunione, forza che trasmette forza, amore dell’uno che arricchisce l’altro. Lo viviamo oggi, con le diverse storie delle vostre persone e comunità. Non è mai indifferente come viviamo. Nella comunione “tutto ciò che è mio è tuo” e viceversa, non perché lo possiedo, ma perché lo amo. Il divisore, invece, persuade che siamo noi stessi solo nell’affermazione di sé, se mettiamo prima noi e non ci curiamo di chi è intorno. La comunione ci libera, perché è legame che ci unisce con Dio, che unisce la nostra anima e il nostro corpo a se stesso e alla Sua famiglia.
Il divisore suggerisce che l’altro è in funzione dell’io. L’idolatria dell’io ha bisogno ossessivamente dei confronti, di giudicare male, di cercare la pagliuzza per credersi nel giusto, di cercare e occupare i primi posti nelle sinagoghe, di calcolare i saluti nelle piazze, di curare a ogni prezzo l’affermazione e il riconoscimento del proprio ruolo, sempre costretti ad una verifica continua della propria considerazione. L’esaltazione di sé è inseguita sempre dal suo contrario, la depressione e la vanità. La santità, invece, è il già e il non ancora dell’amore di Dio, la perla preziosa che anticipa la bellezza piena di Dio, è sempre servizio, dono senza calcolo e senza prezzo, solo per amore. La santità non si accontenta e lo fa non per obbligo o per paura ma perché solo amare ci rende migliori, luminosi e resistenti. La santità supera le gelosie e i confronti perché ci fa provare la gioia dell’amore, il segreto della comunione nella Chiesa, da cui nascono i nostri ministeri.
Isaia affronta le sue contraddizioni, misura la debolezza e prova come Pietro, davanti all’abbondanza della grazia, il senso del proprio peccato. “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono”. Sono un peccatore. Il carbone ardente che tocca le nostre labbra è la stessa Parola di Dio, che è misericordia, il Suo amore che rende nuovo ciò che è vecchio, senza merito che non sia il Suo solo amore. L’amore chiede amore. Chi andrà? Chi mi aiuterà?
Dio ha bisogno di noi perché ama e vuole che il Suo amore raggiunga il cuore delle persone, ci manda a lavorare nella messe di questo mondo. Chi andrà a mostrare il riverbero della sua luce in un mondo avvolto da tenebre drammatiche, da ignoranza arrogante e violenta? Chi si metterà a parlare di Dio e non a ridurlo a puritanesimo, chi si metterà in gioco per mostrare la tenerezza della Sua misericordia e del Suo perdono? Chi andrà a portare compagnia e vicinanza nella solitudine? Chi adotterà gli orfani visti e lasciati come stranieri? Chi mi aiuterà a parlare al cuore con il Suo cuore perché tutti vedano la salvezza e conoscano il Suo nome? Chi manderà a portare pace dove il dolore è tanto e insopportabile, dove è la guerra con i suoi fortissimi interessi, dove la sofferenza del prossimo non suscita più sdegno e l’ingiustizia è accettata come destino? “Eccomi Signore, manda me!” (Is 6, 3-8).
La passione di Dio per il mondo e il Suo amore per ognuno ci coinvolgono. Dio ci chiama perché vuole arrivare alla Sua messe, perché vuole che tutti siano raggiunti dal Suo amore e ce lo chiede, amandoci e promettendoci che non ce lo farà mai mancare. Un amore così grande davanti al quale restiamo stupiti. Spesso noi giudichiamo in modo ipercritico, pensando di interpretare tutto e finendo per non capire la Presenza del Signore. Oggi vediamo il già che anticipa il non ancora e possiamo contemplare i tanti pesci che il Suo amore strappa dal caos, dalla solitudine e che unisce nel legame della fraternità.
Pietro all’inizio è solo gentile verso Gesù, gli presta la sua barca, ma il suo lavoro, la sua vita sono altrove, non sente il Vangelo come qualcosa d personale e di coinvolgente. La sua vita sta altrove. Gesù si rivolge a Pietro e, senza nessuna domanda da parte sua, gli chiede di andare al largo. In quella notte non avevano preso nulla. Gesù vuole una vita piena, abbondante e rende la nostra fertile, cioè capace di generare vita, unendola alla gioia del prossimo e ci chiama a viverla e a donarla.
Chi ascolta, e sulla Sua parola senza mezzi termini crede nel Suo adempimento, chi va al largo come fosse la prima volta, costui vede i tanti frutti. Non si vedono senza gettare le reti, senza mettere in pratica quando tutto sembra dimostrare che la speranza è inutile, e che l’unica scelta è non fare nulla, evitare brutte figure, fatiche inutili. Gettiamo la rete con il servizio, con la gentilezza, con la benevolenza, con il dono.
Cari fratelli, voi aiutate il Signore e la Sua Chiesa a gettare le reti della Sua comunione con il vostro ministero del diaconato e aiutate tutti a ricordare, e a scegliere di dire eccomi, manda me e a domandarci cosa questo chiede a noi oggi. La risposta è sempre “Prendi il largo”. Prendete il largo, andate sino ai confini della terra. Siete chiamati a rendere ragione della speranza che è in voi, quella che fa cercare contro ogni speranza, che ci libera da misure avare. La Sua parola riaccende la speranza, ci libera dal veleno della rassegnazione, ci spinge a ricominciare, come un nuovo inizio, con la passione dell’inizio. Siamo in un momento di grande cambiamento della Chiesa e del mondo, segnato com’è da drammatiche ingiustizie, con la ripresa di nazionalismi pericolosi e aggressivi, con la tentazione dell’esaltazione del proprio io invece che del paziente e fondamentale pensarci col noi.
Aiutate questa nostra Madre a servire, apparecchiando la mensa dell’altare, della Parola e del servizio, mai l’una senza l’altra. Aiutate e cercate sempre la corresponsabilità nell’esercizio del ministero, che si nutre di umiltà e di passione, e che richiede la collaborazione con tutti i membri del popolo di Dio. Siate uomini di comunione, senza supponenza e alterigia, con il semplice dono di sé, per una “distribuzione più articolata dei compiti e delle responsabilità”. Siate innamorati di Gesù e per questo, per prima cosa non smettete di ascoltarlo e di affidarci a Lui nella preghiera, personale e comunitaria, “perché il prolungamento delle fiamme d’amore del Cuore di Cristo avviene anche nell’opera missionaria della Chiesa, che porta l’annuncio dell’amore di Dio manifestato in Cristo che invia anche noi come gli apostoli a portare dovunque il fuoco” (DN 207). Siate quella perla che mostra la bellezza in tanta confusione.
La missione, che poi è il nostro servizio, è una questione d’amore, “richiede missionari innamorati che si lascino ancora conquistare da Cristo, e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita” (DN 209). Impariamo a parlare di Cristo, con la testimonianza e la parola, “in modo tale che gli altri non debbano fare un grande sforzo per amarlo, questo è il desiderio più grande di un missionario dell’anima.
Le parole dell’innamorato non disturbano, non impongono, non forzano, solamente portano gli altri a chiedersi come sia possibile un tale amore. Ci chiederà di raccontare agli altri che è un bene per te averlo incontrato: vivete in comunione con le vostre comunità e con la Chiesa. Se ci allontaniamo dalla comunità, ci allontaneremo anche da Gesù. Se la dimentichiamo e non ci preoccupiamo per essa, la nostra amicizia con Gesù si raffredderà” (DN 214). Amate e cercate sempre la comunione e siate testimoni di speranza. Oggi vedete e vediamo i frutti abbondanti che ci scaldano il cuore. Gettate le reti, non abbiate paura anche se tutto sembra sconsigliarlo, perché tanti trovino quello che cercano e vedano oggi riflessa la gioia piena dell’amore di Dio, anticipo di quello del cielo.
