Ordinazioni presbiterali

1. «Sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». Cari fratelli e sorelle, cari ordinandi, questo detto del Signore trafigge il cuore: del Vescovo in primo luogo, ma anche e soprattutto di voi che fra poco diventerete sacerdoti.

Fra poco voi sarete collocati nella Chiesa all’ultimo posto, perché elevati alla dignità di essere i servi di tutti. La vostra condizione di vita, il vostro posto nel banchetto della vita sarà definitivamente cambiato e vi sarà detto: “sii l’ultimo di tutti, e il servo di tutti”.

Non comprendete queste parole, cari ordinandi, in chiave prevalentemente morale; come in primo luogo un comandamento che vi è intimato e che viene promulgato alla vostra coscienza.

Avete notato tutti, cari amici, il contrasto netto e drammatico fra l’istruzione che Gesù dà ai suoi discepoli e la discussione che essi fanno. «Istruiva i suoi discepoli e diceva loro: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno». «Per la via … avevano discusso tra loro chi fosse il più grande».

Non è solo un contrasto comportamentale, ma un contrasto a livello di logica esistenziale e di progettazione della vita. In una parola: a livello del modo di concepire la propria libertà. Il Signore vede se stesso al servizio dell’uomo: “consegnato agli uomini”; e dunque progetta la sua vita come dono, secondo la logica della gratuità e del dono. Gli apostoli pensano la sequela del Signore come occasione per assurgere ad un grandezza che li imponesse sopra gli altri. Essi vedono se stessi, e progettano la propria vita come dominio, secondo la logica del possesso. Fa la sua prima comparsa il più grande male della Chiesa: l’ambizione dei chierici, il loro spirito di carriera.

Cari ordinandi, il sacramento che fra poco riceverete è, come ogni sacramento, un atto di Cristo sia pure compiuto mediante il Vescovo. è l’azione mediante la quale Cristo stesso configura intimamente la vostra persona alla Sua; imprime un sigillo indelebile – il carattere sacramentale – di Se stesso in ciascuno di voi, dis-locando il vostro io nel suo, così che da questa sera voi potrete agire “in persona Christi”, e perfino “vices gerere Christi”.

Tutto il rito sacramentale, nella sua sobria ma solenne semplicità, è orientato ad illuminare la vostra e nostra coscienza alla comprensione di questa verità. Ma, mi sembra che soprattutto due riti siano particolarmente suggestivi.

Il primo è il rito delle imposizioni delle mani da parte del Vescovo. è il gesto che significa ciò che il sacramento compie in voi: la configurazione sacramentale a Cristo e quindi il “sequestro” che Cristo compie della vostra persona per l’opera della redenzione. Da quel momento voi cessate di essere e-mancipati – cioè di vivere per voi stessi – e sarete mancipati (manu capti), pienamente dedicati cioè al servizio di Cristo: servi di Cristo per l’annuncio del suo Vangelo di grazia.

Siamo di fronte ad un’esperienza umana e cristiana profonda. è la mano di Cristo che si posa su di voi, esprimendo la sua decisione di fare di ciascuno la sua proprietà esclusiva. Da quel momento, dal momento del “mancipium” voi appartenete esclusivamente a Cristo. Siete i suoi servi perché inviati a predicare il suo Vangelo, a realizzare il suo opus magnun: la Redenzione.

Il secondo rito non è meno suggestivo. Voi, cari ordinandi, aprirete le vostre mani davanti al Vescovo, che le ungerà col sacro crisma. Oh non dimenticatevi mai, cari ordinandi, di questa sacra unzione! La mano stesa, stendere la mano, al contrario della mano chiusa e del chiudere la mano, è il segno della volontà di donare, della volontà di aiutare chi è nel bisogno. Voi stendete le mani ed esse sono unte dalla forza dello Spirito di Cristo, poiché è lo Spirito di Cristo che vi manda a “fasciare i cuori feriti, a trasformare in danze di gioia i lamenti dei cuori spezzati”. Non dimenticate mai che le vostre sono mani distese, mai chiuse. Nessuna miseria umana vi sia estranea; nessuna deturpazione della dignità dell’uomo vi lasci indifferenti.

La pagina evangelica illumina il significato profondo di questa celebrazione sacramentale, cari fedeli. Essa, in sostanza, cambia così profondamente l’essere degli ordinandi, da rendere loro impossibile “discutere tra loro chi sia il più grande”, trovando del tutto ovvio che il loro posto è uno solo, l’ultimo, perché fatti questa sera servi di tutti.

2. La prima lettura, cari ordinandi, vi richiama ad una consapevolezza che non dovrete mai perdere nel vostro sacerdozio: quella di trovarvi continuamente dentro ad un contesto di conflitto con le forze avverse al Vangelo.

«Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze». Il Vangelo disturba; il Vangelo mette in questione il potere del “principe di questo mondo”. Non dimenticatelo mai e non abbiate paura «Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore mi sostiene».

Come scrive S. Gregorio nella Regola pastorale: «in tutto questo è necessario che il pastore vigili attentamente, perché non sia dominato dal desiderio di piacere agli uomini, perché … non cerchi di essere amato dagli uomini più che di amare la verità» [II, cap. VIII; SCh 381, 230].

Cari fedeli, vedete quali tesori Dio ha deposto in noi che siamo vasi di creta! Pregate per questi ordinandi; pregate per noi durante questo Anno sacerdotale, perché semplicemente nessuno di noi cessi mai di essere «l’ultimo di tutti e il servo di tutti».

19/09/2009
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