pellegrinaggio diocesano alla Sacra Sindone

Torino

“Noi siamo come erranti sulla terra e, se non ci fosse dinanzi a noi la preziosa immagine di Cristo, ci smarriremmo e ci perderemmo del tutto, come il genere umano prima del diluvio”.

È una bella frase che Dostoevskij pone sulle labbra di un personaggio del suo più vasto romanzo.

Non è soltanto bella, è anche vera. In questo momento anzi, noi ne percepiamo la verità con una lucidità eccezionale: potremmo dire che queste parole riflettono proprio lo stato d’animo che ci ha spinti a venire a Torino, pellegrini e ricercatori della “preziosa immagine di Cristo”.

L’uomo – ogni uomo, di là dagli strati culturali che talvolta nascondono e censurano le sue più autentiche aspirazioni – ha nella profondità del suo essere come una nostalgia del Signore Gesù; una nostalgia magari inconsapevole, ma comunque ineludibile e pungente.

Certo, gli occhi della fede già lo contemplano vivo e presente nella sua Chiesa. Ma c’è quasi un bisogno istintivo di posare i nostri occhi anche corporei, in soccorso agli occhi della fede, su qualche immagine del Salvatore.

Dobbiamo dunque essere grati a Dio, Padre affettuoso e provvidente, che è venuto incontro a questa forte esigenza del nostro spirito e ha predisposto per noi una icona così eloquente ed emozionante come la santa Sindone; una icona che arriva a noi accompagnata e avvalorata dall’amore, dall’attenzione devota, dalla venerazione di tanti nostri fratelli che ci hanno preceduto nei secoli.

Qualche riflessione può adesso arricchire la consapevolezza e la partecipazione di questa liturgia eucaristica, che del nostro pellegrinaggio è l’atto più sostanziale e il più logico approdo. In questo rito noi incontriamo vivo e vivificante lo stesso Figlio di Dio, che la pietà di Giuseppe di Arimatea ha avvolto nel lenzuolo candido e nuovo (cf Mt 27,59); e ci è dato ancora una volta di offrire con lui il sacrificio che ci ha redenti. Proprio la Sindone, che abbiamo contemplato con attenzione devota e commossa, può regalarci qualche supplemento di luce e può riscaldarci il cuore.

Che cosa ci dice la Sindone?

C’è un insegnamento preliminare e secondario, che però può giovare a confermarci nella gioia della nostra professione cristiana e nella fierezza dell’appartenenza ecclesiale.

Anche a proposito della questione sindonologica, arriviamo a capire che proprio credendo si diventa intellettualmente più liberi e razionalmente rasserenati. Come diceva sant’Ambrogio: “Dove c’è la fede, lì c’è la libertà”.

Il credente sa che di fronte a questo misterioso lenzuolo non gli vengono imposte posizioni aprioristiche: può identificarlo o no con il lino della sepoltura di Cristo, senza che siano chiamati in causa i suoi convincimenti più sacri e la sua coerenza interiore. Egli è dunque un indagatore spregiudicato, che non ha condizionamenti di principio.

Viceversa l’incredulo, se vuol attenersi alla sua incredulità, non ha scelta: è obbligato a negare. Come potrebbe continuare a rifiutare Gesù di Nazaret come Figlio di Dio e Salvatore, nell’ipotesi che gli studi appassionatamente condotti confermassero ai suoi occhi l’attribuzione tradizionale? Sono tali e tanti i “prodigi” storico – scientifici che in tal caso dovrebbero essere ammessi, che non resterebbe altro esito razionale che esclamare con l’apostolo Tommaso al Crocifisso risorto: “Tu sei il mio Signore e il mio Dio”.

Come spesso càpita – e contrariamente a ciò che di solito si ritiene – anche qui la fede consente un esame più libero e più oggettivo di quanto non faccia la prospettiva laicistica, che spesso viene scambiata a torto per il massimo della razionalità.

Ma è più importante che dalla “lettura” della straordinaria impronta, che abbiamo ammirato, ci facciamo aiutare a crescere nella comprensione del grande evento della nostra salvezza.

Il pensiero primo e più semplice che ci viene l’abbiamo ascoltato anche dalle parole dell’Apocalisse: il Signore Gesù è “colui che ci ama” (cf Ap 1,5). Ci ama non per modo di dire; ci ama non per scherzo; ci ama non in maniera astratta e verbosa. Il suo è un amore che è stato messo alla prova: alla prova delle piaghe degli innumerevoli colpi di flagello; alla prova delle punture di molte spine; alla prova della lacerazione dei chiodi e dello squarcio terribile della lancia.

“Ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue” (ib.), ci ha detto ancora l’Apocalisse. Come aveva preannunciato l’antico profeta, “è stato trafitto per i nostri delitti” (cf Is 53,5).

Quanto siamo costati! Deve essere davvero inestimabile il valore della nostra salvezza, se così alto è il prezzo che è stato pagato.

Notiamo, in secondo luogo, che non c’è traccia di corruzione o disfacimento in quelle membra placidamente composte che si riescono a intravedere. Quell’uomo misterioso, nonostante i martìri subìti, sembra in attesa di essere ridestato. Tutto pare ordinato all’avveramento della parola del salmo: “Come un forte inebbriato il Signore si risvegliò” (cf Sal 77,65).

La Sindone – chi la sa penetrare oltre la vista immediata – comunica già il presagio della risurrezione.

“Eghèrthe”, “si è risvegliato” , “è risorto”: questo è l’annuncio che dal sepolcro scoperchiato e vuoto ha percorso la terra. E’ l’annuncio che ha riacceso la speranza dei figli di Adamo, tutti condannati a morire. E’ l’annuncio che ha cambiato la storia umana dall’essere una corsa desolata e assurda verso il niente all’essere un avvicinarsi fiducioso alla vita eterna.

E nel destino di gloria di Cristo è iscritto e garantito anche il nostro. Divenendo Re dell’universo e Sacerdote della Nuova Alleanza, ha fatto anche di tutti noi “un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre” (cf Ap 1,6), come ci ha ricordato l’Apocalisse.

Se scrutiamo infine la nobiltà di quel volto, ci è facile ravvisare nel Figlio di Maria, che è l’Unigenito del Padre, “il più bello fra i figli dell’uomo” (cf Sal 44,3). Anzi, egli ci si offre come colui che raduna in sÈ ogni bellezza umana e ogni valore. In lui tutti gli uomini sono stati pensati e voluti dai secoli eterni. E’ lui – come ci dice san Pietro – “l’agnello senza difetti e senza macchia”, che “fu predestinato già prima della fondazione del mondo, e si è manifestato per noi negli ultimi tempi” (cf 1 Pt, 1,19-20).

* * *

Noi torniamo adesso alle nostre case. Torniamo rianimati, più pensosi e più consapevoli, invocando su di noi lo Spirito di Dio perchÈ conservi a lungo negli animi nostri la luce e la commozione del grande dono che abbimo ricevuto.

09/05/1998
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