Pentecoste

Bologna, Cattedrale

“Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa – <si tratta della “festa delle capanne’, che gli ebrei celebrano in autunno> – Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: “Chi ha sete venga a me, e beva chi crede in me; come dice la Sacra Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno’. Questo disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Gv 7,37-39).

Con queste parole, il nostro Salvatore e Maestro preannunziava solennemente la discesa dello Spirito Santo, che avrebbe investito e rinnovato l’umanità: la discesa clamorosa e generale del grande evento di Pentecoste (l’evento che oggi la Chiesa ricorda e ci è stato descritto nella prima lettura); e la discesa nei singoli cuori, di cui ci ha parlato la seconda lettura. Quest’ultima effusione personale trova i suoi momenti più intensi e significativi prima nel battesimo, che accende in noi la stessa vita del Creatore, e poi nella cresima che conferma e porta a compimento la grazia battesimale accordandoci il dono della sapienza e della forza di Dio.

Che cosa ci dice Gesù con quel grido profetico? Egli cerca di farci capire bene l’azione dello Spirito Santo, paragonandola all’acqua, che è tra le realtà più comuni e più preziose dell’universo.

Lo Spirito di Dio irrora l’animo umano, come fa l’acqua con la terra inaridita. Perché l’uomo è un assettato insaziabile: egli – così com’è e si percepisce – è e si sente incompleto; e perciò è tormentato dal desiderio e dalla necessità di qualcosa che possa integrarlo e rifinirlo, in modo da placarlo nelle sue più tormentose e pungenti avidità.

A ben riflettere – anche se di solito non ce ne rendiamo conto – i valori che sono davvero “dissetanti” sono pochi: sono la conoscenza, l’amore e la gioia. E’ sempre di questi beni che l’uomo ha sete, anche quando non lo sa o non ci pensa. Ogni sua ricerca – da quella più grossolana e materiale a quella più colta e raffinata – in fondo è sempre ricerca di conoscenza, di amore, di gioia.

Però d’istinto, queste gratificazioni noi le cerchiamo prima di tutto nelle cose del mondo che sono immediatamente allettanti, ma poi ben presto deludono. Siamo tutti tentati di condurre la nostra esplorazione appassionata solo tra le creature terrestri; ma nelle cose e tra le creature questi valori (la conoscenza, l’amore, la gioia) si trovano a gocce, a piccole pozzanghere, a rigagnoli che presto disseccano.

Essendo collocati al di fuori di noi, ci obbligano a uscire dal nostro mondo interiore e a mendicare all’esterno qualcosa per la nostra gola riarsa. E la poca acqua torbida che talvolta ne possiamo ricavare è come quella del mare e delle paludi: è potabile e dissetante solo in apparenza, e spesso è un’acqua morta e addirittura mortifera.

Una bevanda ben diversa è quella che ci è recata in dono dallo Spirito. Certo, si tratta ancora della conoscenza, dell’amore, della gioia. I valori sembrano gli stessi, ma quando vengono da Dio hanno un’altra autenticità e un’altra misura.

L’acqua dello Spirito è sovrabbondante: “una sorgente che zampilla inesauribile e perenne” (cfr. Gv 4,14), aveva detto Gesù alla donna di Samaria, che fino allora era andata trascinando la sua arsura da una fangosa cisterna all’altra. Nella frase del Signore poi che abbiamo citato all’inizio, si parla addirittura di “fiumi”: è un’inondazione di luce e di grazia. Perciò – chi ha ricevuto con cuore aperto lo Spirito – non gli interessano più le pozzanghere e i rigagnoli (cioè i valori terrestri) che prima lo ingolosivano; non gli interessano più, perché egli è come sommerso dall’abbondanza del dono dall’alto.

E’ un’acqua, quella dello Spirito, che, pur avendo un’origine celeste, sprizza dal segreto del nostro mondo interiore (“dal suo ventre”, ha detto Gesù). Vale a dire: lo Spirito agisce non solo su di noi, ma come se fossimo noi stessi ad agire dentro di noi. Non si impone, cioè, e non ci fa violenza, ma ci coinvolge e ci fa diventare collaboratori della sua azione salvifica.

Infine l’acqua che ci è donata dallo Spirito è un’acqua “viva”: scaturisce dalla vita nuova di Gesù risorto, è sempre giovane e fresca, e porta alla nostra anima una vita sempre più piena e più vera. Non viene mai meno, ma scorre dentro di noi “per la vita eterna” (cfr. Gv 4,14); cioè fino a quando saremo sommersi nel mare di felicità che è proprio di Dio.

L’acqua è sempre principio di fecondità: quando essa c’è, ogni terreno produce fiori e frutti; quando essa non c’è più, anche il miglior giardino diventa uno squallore.

Così è dello Spirito Santo: se gli si impedisce di irrigare, ci si condanna alla sterilità; quando invece egli può discendere e irrorare, allora trasfigura l’uomo e lo riplasma fino a dargli un’altra dignità, un’altra ricchezza e quasi un’altra natura. Senza privarlo della sua identità, lo rende un essere nuovo. In ciascuno suscita un suo modo proprio di assomigliare a Gesù, che è il supremo modello di tutti, una sua forma di santità, una sua particolare vocazione; purché lo si lasci lavorare dentro di noi.

San Paolo nella lettera ai Galati ci dà poi un elenco di quelli che sono, per tutti, i “frutti” abituali dello Spirito: “I frutti dello Spirito – egli dice – sono amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22).

Non ci resta allora che allargare con docilità il nostro animo nei confronti dello Spirito che Gesù definisce il Consolatore e il vero nostro Maestro, come abbiamo ascoltato nella lettura evangelica: “Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,25).

Allora questa nostra Pentecoste sarà sul serio una Pentecoste, cioè una festa della potenza, della salvezza, della letizia di Dio; e tutta la nostra esistenza cambierà.

“Signore, – disse a Gesù la samaritana – dammi di quest’acqua” (cfr. Gv 4,15). Facciamo nostra questa preghiera: Signore, fa’ scendere copiosa su di me l’acqua del tuo Spirito, e il deserto del mio essere e del mio comportamento rifiorirà; e darà alla mia sete i beni desiderati e sazianti della tua conoscenza, del tuo amore, della tua gioia.

03/06/2001
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