presentazione del signore, incontro con i consacrati

Bologna, Cattedrale

Non solo Simeone – di cui è detto che si reca al tempio “mosso dallo Spirito Santo” (Lc 2,27) – ma tutti i personaggi dell’episodio, che ci ha raccontato il vangelo di Luca, agiscono nella perfetta docilità al “grande regista” dell’opera di salvezza, che è la Terza Persona divina: tutti entrano in scena, adempiono alle prescrizioni rituali, parlano, lodano il Signore, profetizzano sotto la sua ispirazione.
Così si deve dire di Anna, figlia di Fanuel, che è chiamata “profetessa” per indicare il suo intimo rapporto con colui “che ha parlato per mezzo dei profeti”. Così di Giuseppe, abituato ad obbedire tacitamente alle indicazioni dello Spirito. Così di Maria, che aveva ancora vivo nel cuore il suo “sì” alla “potenza dell’Altissimo” che l’aveva resa feconda.

E Gesù, il frutto che lo Spirito ha tratto da un grembo verginale e dalla fede ardente di un animo immacolato, è colui nel quale, appunto in virtù dell’azione del Paraclito, ogni creatura riscopre e riconquista il Padre e rientra, vincendo l’antica decadenza, nella divina famiglia.
Il Dio d’ Israele dunque vede e riconosce come suoi – e come particolarmente a lui consacrati – quanti in quel giorno sono accorsi al suo tempio: “Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio” (Rm 8,14).

Un altro insegnamento si può ricavare dalla festa odierna. I “figli di Dio” – e in special modo quelli che si sono donati senza riserve al Signore e dedicano l’intera esistenza al suo servizio – sono cari a lui e hanno un posto inalienabile nei suoi progetti quale che sia il numero dei loro anni.
Ai suoi occhi è preziosa ogni età dei suoi consacrati, come ben ci insegna il mistero della Presentazione, nel quale sono coinvolte tanto l’infanzia del Figlio di Dio, quanto la giovinezza adulta di Giuseppe e di Maria, quanto la vecchiaia di Simeone e di Anna.

Gesù – colui che in quel solenne momento appariva il più piccolo, il più indifeso e il più debole – in realtà era la ragione, la causa esemplare, la fonte dell’energia attuativa nell’impegno di offerta integrale a Dio, che dominava l’essere e la volontà dei quattro circostanti.
È sempre lui – l’Unigenito del Padre, crocifisso e risorto per noi – l’origine di ogni consacrazione.
E proprio di questo primato di Cristo sulla singolarità della vostra vita, care sorelle e cari fratelli che oggi siete qui convenuti, è importante che abbiate rendervi conto e a persuadervi sempre più intimamente.

La vita consacrata a Dio mediante i consigli evangelici trova in Cristo non solamente un maestro e un modello, ma anche la propria arcana sorgente.
Nell’attuale ordine di provvidenza non c’è grazia, non c’è compito, non c’è carisma che non sia derivazione della pienezza posseduta da lui.
Egli non solo ha insegnato e praticato i consigli evangelici, ma è la stessa castità generatrice della Chiesa, la stessa povertà liberatrice dagli egoismi e dal peccato, la stessa obbedienza redentrice del mondo. Chi si mette per la via dei consigli evangelici partecipa alla sua vita e si abbevera al suo Spirito in una maniera tipica e radicale.

Che cosa potè determinare il Signore Gesù a scegliersi una vita di castità, di povertà, di obbedienza? Certamente la sua consapevolezza di essere chiamato a salvare gli uomini non con un atto qualsiasi di virtù – che pure sarebbe bastato – ma con il più grande amore possibile, espresso in una dedizione senza limiti al Padre.
Tale pienissima dedizione includeva i vertici eccelsi della sponsalità verginale, della privazione di ogni cosa in vista di un possesso spirituale più grande, dell’adesione suprema alla volontà del Padre fino alla morte di croce.
Ne consegue che i consigli evangelici traggono il loro significato e la loro forza non tanto da un atteggiamento di rinuncia al matrimonio, alla proprietà, all’autonomia di comportamento, o da una minore stima di quelle condizioni comuni, bensì da un amore oblativo verso colui che è Sommo Bene; un amore così totalitario ed esclusivo da implicare la perdita volontaria di quei beni legittimi sì ma parziali ed effimeri.

Ne consegue ancora che il fine a cui tendono i consigli evangelici non può essere che il medesimo che spinse il nostro Salvatore ad abbracciarli: fare di tutti i nostri giorni un atto indiviso di affettuosa donazione a Dio e di fattivo servizio ai fratelli.
Ne consegue infine che la Chiesa, presenza visibile di Cristo nella storia, avendo l’impegno di offrire agli uomini con esistenziale concretezza l’immagine fedele del suo Sposo e l’integralità delle sue ricchezze soprannaturali, deve avere una cura attenta e sollecita del permanere e del fiorire della vita consacrata in tutte le varie forme che nascono dalla fantasia dello Spirito.
L’ampiezza e il fervore, con cui vengono praticati i consigli evangelici, sarà sempre uno dei segni più chiari e persuasivi della vitalità e della perenne giovinezza della Sposa del Signore, la prova indiscutibile del suo desiderio intenso ed effettivo di connettersi e di assimilarsi al suo Redentore.

Care sorelle e cari fratelli, che siete accorsi in questa cattedrale rispondendo alla convocazione del vescovo, è per me una gioia oggi potervi ringraziare, incoraggiarvi, pregare per voi e con voi.
La luce di questa liturgia della Presentazione vi infonda una pace senza turbamento, avvolga la vostra testimonianza di una chiarità di fede percepibile da tutti e per tutti rasserenante, risplenda di gioia inalterata sui vostri volti.
È il mio augurio cordiale e grato. La misericordia di Dio l’avveri in ciascuno di voi, in virtù del mistero che celebriamo.

02/02/1998
condividi su