Prima domenica di Avvento, incontro monastero Wifi

“Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”, professiamo nel credo. Ecco il senso dell’Avvento: guardare il futuro non come un niente che ci aspetta, ma come la vita che spiega la nostra. E chi aspetta la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà inizia a vederlo e a cercarlo in questo mondo, anche perché quello che verrà sarà la pienezza di questo e il compimento di ciò che viviamo e abbiamo vissuto. Cosa abbiamo davanti? La paura non ci fa vedere nulla, ci agita e ci fa cercare solo di stare bene, spesso a qualunque prezzo, anche quello di rovinarci la vita stessa, come ad esempio con le dipendenze, vere e proprie schiavitù. E l’attesa sembra riduca le esperienze che invece moltiplichiamo per verificare il nostro stare bene, per possedere l’oggi. Ma tante esperienze – spesso davvero digitali – non danno il senso della nostra vita, anzi, tante volte lo confondono. Perché attendere, quando il futuro è così pieno di minacce? Potrà esserci qualcosa di buono? Cosa ci può essere di nuovo quando abbiamo misurato già tante delusioni, speranze rivelatesi vane?

Quante volte dopo abbiamo detto: “Tutto qui?”. Anche perché il benessere non basta mai e le esperienze senza cuore, alla superficie della vita, “usa e getta”, solo “contatti”, non ci fanno trovare né noi stessi né l’altro! Le pandemie, poi, hanno rivelato la nostra vulnerabilità, che nascondevamo a noi stessi, che rimuoviamo come la morte, con un misto di paura ma anche di presunzione e onnipotenza, convinti che siamo noi a decidere per  poi accorgerci, invece, che non decidiamo quello che serve per davvero e che, in realtà, sono le onde della vita a decidere per noi. Ci scontriamo così con la realtà, dura e impietosa com’è, con il limite della fine. Ecco perché questo tempo di attesa è pieno di luce nelle tenebre e ci aiuta a riconoscere quello che abbiamo e a guardare quello che avremo. Non il nulla, ma l’amore, la parte che non ci sarà tolta. Maria è la donna dell’Avvento.

È attesa tutt’altro che passiva! Anzi, è svegliarci dal sonno, costruire un’arca per affrontare il diluvio, non farci cogliere all’improvviso ma cogliere noi il tempo. Cosa ci chiede? La speranza non è illusione, un narcotico per stare meglio e andare avanti. Non è nemmeno una magia che viene per suo conto, indipendentemente da noi. La speranza viene, ma noi non ce ne accorgiamo, perché accende la nostra vita solo se apriamo il nostro cuore, e inizia da una goccia, da quella che forma un oceano di amore, perché quella singola goccia ci mostra tutto l’oceano di amore nel quale saremo immersi. La speranza sveglia e tiene svegli, ma deve combattere il sonno dalla rassegnazione per la quale nulla vale la pena. Speriamo perché non possiamo accettare un dolore così grande che colpisce tanti, che segna la vita delle vittime e rivela i disegni oscuri e terribili del male, che spegne la vita e, quel che è peggio, la speranza. Che mondo vogliamo costruire o in quale vogliamo vivere? Ecco, il diluvio della pandemia ci chiede di costruire una barca, di farlo quando non piove e può apparire inutile e che non ci fa vivere bene “come tutti”.

Il diluvio arriva. Questa barca è la comunità, che protegge e permette ad ognuno di pensarsi assieme, di essere “fratelli tutti” e di amare la nostra casa. Fratelli tutti: ecco il sogno che Dio ci mette nel cuore e che realizza il suo sogno! Ma inizia da noi, dalla nostra goccia, dal poco (tanto) che ognuno può fare. “Affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra”. Ascoltiamo queste parole in un momento drammatico, dove tanti pensano che l’unica arte da imparare nel pericolo è il riarmo, “delle armi e dei cuori”!

Non possiamo abituarci alla guerra, alle notizie di morte, alla violenza che uccide innocenti, all’arte di creare il nemico, quella che uccide la pietà e rende irrilevante la vita umana. Scriviamo tutti, come Papa Francesco, una lettera ai nostri fratelli ucraini, che sono al freddo e senz’acqua a causa dell’assurda follia della guerra. Uniamo anche noi le nostre lacrime alle loro! Il loro dolore sia il nostro dolore e questo ci aiuta a capire l’urgenza dell’Avvento, l’attesa della pace che ci spinge a pregare e a essere solidali.

La domanda “come possono degli uomini trattare così altri uomini?” ci chiede di iniziare noi ad essere umani e artigiani di pace, a trattare tutti con attenzione, a realizzare l’Avvento con la nostra vita, affinchè l’altro possa vedere la speranza in noi. Svegliamoci dal sonno della rassegnazione, che ci conquista e paralizza perché ci permette di sfuggire ad un problema che appare troppo grande, insostenibile, e che da soli non riusciamo ad affrontare. L’Avvento accende la speranza e ci sveglia perché vediamo e non facciamo nulla; ci commuoviamo per il dolore delle vittime e poi crediamo che le vittime siamo noi; capiamo che siamo sulla stessa barca e poi ci pensiamo come isole; vediamo gli altri che si fanno del male e non gli diciamo niente per un falso rispetto e tanto poco amore; stiamo male e cerchiamo medicine per stare meglio e non scegliamo di far stare meglio gli altri.

L’Avvento è credere che tutto sarà risolto, che c’è un mondo nuovo che viene e verso il quale siamo diretti, ma che ci chiede di scegliere oggi, nel piccolo, nella goccia di amore che fa vedere quello che sarà pieno. Noi non risolveremo tutto, ma faremo il nostro piccolo. La notte è tanto avanzata. Notte di guerra, dove non si distinguono la verità e il prossimo, notte di cuori senza umanità. Ma sappiamo che è proprio quando la notte è più scura che le stelle si vedono con più chiarezza. La speranza è sapere che Dio viene e non ci lascia soli. Ma inizia da noi. “Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce”, cioè non viviamo per noi stessi.

Abbiamo tanto da fare perché il tempo è breve e non possiamo perderlo, sciupare le occasioni, perché la sofferenza mette fretta, l’amore ha fretta di costruire un mondo migliore, di arrivare a chi ci attende. Abbandoniamo i litigi e le gelosie. Che senso ha dividerci quando è minacciata la nostra stessa vita, quando abbiamo dolorosamente capito che se ne esce solo insieme? Perché non aiutarci? Perché non aiutare? Al tempo di Noè non si accorsero di nulla. Ecco da cosa dobbiamo svegliarci, non per angosciarci, ma perché ci accorgiamo di chi ha bisogno e vogliamo dare il pane a chi ha fame, acqua a chi ha sete, fare visita a chi è malato e carcerato, offrire accoglienza a chi è forestiero (e non siamo anche tutti noi forestieri e non lo diventiamo facilmente?). La speranza non risolve tutte le domande ma ci mostra “la vita del mondo che verrà” e che inizia oggi nelle tante realtà belle e durature per cui vale la pena di mettersi in gioco. Costruiamo la sua arca, proteggiamo anche con la sola visita gli anziani soli. Aiutiamo i bambini, con intelligenza e tanto cuore. Così capiamo che la terra è fatta di cielo e questo inizia da noi, aprendoci al suo vangelo e rendendolo carne con la nostra vita. Perché aspettiamo la vita del mondo che verrà e che inizia nella mia debole e contraddittoria vita. La parte migliore, che non ci sarà tolta.

Bologna, seminario arcivescovile
27/11/2022
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