Quarantesimo dalla morte del Card. Lercaro

“Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero”. Credo che queste parole dell’apostolo Paolo siano state anche la serena consapevolezza del Cardinale Lercaro, che si è abbandonato quaranta anni fa, ed era proprio un lunedì come oggi, tra le mani di quel Signore che ha celebrato con tutta la sua vita. Nel 1961 aveva scritto: “Ho pensato più volte se caso mai per un assurdo l”eternità non ci fosse e tutti finisse con la morte: mi troverei buggerato? Ed ho concluso che, anche in quell’assurda ipotesi, l’avrei indovinata a vivere da cristiano, perché in quelle rinunce e quell’accettazione mi hanno consentito una vita più serena, più fresca, più gioiosa che mai e anche più sana”. La memoria non è ricordare tutto, ma rivivere nel Signore, affidare e affidarci a Lui, trovare le nostre radici e la larghezza del disegno di Dio. Questo ci libera dal miope ed egocentrismo che fa piegare tutto al nostro presente, tanto che si arriva a pensare che tutto inizi con noi. La memoria ci affida anche la responsabilità, e questa sì è personale, di raccoglierne l’eredità e di guardare con consapevolezza il futuro.
Lercaro ha cantato fino alla fine il suo Magnificat, celebrando l’ultima messa dal letto, pronunciando pur se affaticatissimo, con voce forte e chiara le parole della consacrazione, perfettamente scandite e solenni: “Per voi e per tutti”, in un supremo atto di amore. In questo vi era tutto il suo immenso amore per la chiesa e per gli uomini, la sua piena fede nell’eucarestia. L’annuncio del Vangelo, rendere vicino il Regno di amore è stato il programma da lui messo in atto per tutta la vita, insieme a una adesione completa alla Chiesa sposa di Cristo, sempre obbediente senza riserva. Così scriveva il Cardinale nella lettera di commiato dalla sua Diocesi (nel 1968): “Mi fu detto, or sono quasi sedici anni, dal Pastore supremo del Gregge di Cristo: vieni. Ed io venni e, fiducioso e ardito, presi il governo di questa santissima Chiesa petroniana. Mi è stato detto oggi, ancora dal Pastore supremo: vai; ed io vado, sereno e lieto di obbedire”. Ha amato la Chiesa e ci ricorda che non si può avere Dio per padre se non si ha la Chiesa per madre, che la Chiesa si serve, che la si ama tutta e sempre e non si prende quello che ci piace o sentiamo vicino. L’ha amata sempre, nella sua bellezza straordinaria e nella sua debolezza più misera e qualche volta offensiva. “Amatela la Chiesa e amatela di più quando le disposizioni sue, gli atteggiamenti suoi, gli ordini suoi, il suo modo di accostarvi potesse urtare la vostra sensibilità, o sembrarvi incomprensione, o disperdere le vostre aspirazioni, soffocare in qualche modo il vostro slancio. Amatela allora. Amate la Chiesa quando la vedete trionfare, amatela tanto più quando la sentite incompresa, perseguitata, quando la sentite circondata dalla diffidenza; amatela tanto più, amatela ubbidendo, amatela servendo, amatela con gioia compiendone le disposizioni in qualunque settore e in qualunque campo. Amatela difendendola, perché la Chiesa è santa, anche se non siamo santi noi che la rappresentiamo; la Chiesa è santa perché è santo Cristo”, continuava sempre nel suo commovente saluto.
Giacomo Lercaro ha vissuto e interpretato la stagione del Concilio, nella sua decisiva preparazione e nella sua attuazione. Ed entrambe contrassegnate da tante dolorose incomprensioni e sofferenze. Il suo ricordo ci aiuta rispondere oggi alla decisiva sollecitazione con cui prima Papa Benedetto e Papa Francesco ci stanno chiedendo di rivivere la sobria ebrietas di quella primavera, per continuare a guardare con amore tutti e perché il vangelo sia vivo e presente ovunque. Univa l’amore per la liturgia e per i poveri. La Chiesa, diceva, è e si rivela anzitutto nell’assemblea liturgica. Non era certo un vezzo patristico quella frase della Didaché che aveva voluto sull’altare: “Se condividiamo il Pane celeste, come non condivideremo il pane terreno?”. E’ una domanda tutt’atro che retorica. In realtà è un monitor ed un invito perché la mensa eucaristica continui in quell’altra mensa che è l’incontro con i poveri. Condividere perché il segreto di amore spezzato sull’altare si compia nello spezzare il pane. La sua cura per le liturgia, elegante, cantata, vissuta, non era affatto estetica, vuota, intimista e quindi funzionale all’individuo, priva della storia. Le didascalie, che forse oggi appaiono desuete e qualche volta paternaliste, erano il modo per fare vivere ad un’assemblea abituata ad assistere come spettatore. La Chiesa trova se stessa solo a partire dalla povertà. Non è un di più per alcuni specialisti, non è impegno per pochi volontari, ma è la forma della Chiesa e la chiamata ad ogni cristiano! Il rinnovamento passava e passa attraverso i poveri, di cui è particolarmente madre. Essi non sono un oggetto di assistenza, un esercizio di buone virtù filantropiche oppure un estraneo da evitare, peggio da giudicare con disprezzo o trattare con sufficienza. I poveri sono «sacramento» di Cristo povero che la Chiesa deve riconoscere, onorare e servire. Non da lontano, ma toccando la carne di Cristo, guardandola negli occhi. Per lui era la scelta di diventare padre di tanti figli, offrendo opportunità che questi non avevano, desiderando quell’ascensore sociale che oggi sembra rotto e quella formazione di uomini veri e cristiani nel mondo. Chi sono oggi i ragazzi del cardinale che bussano alle nostre porte e chiedono di essere adottati perché possano trovare un futuro? Il suo amore per la liturgia è tutt’altro che spiritualistico o disincarnato, fuori dal tempo. Il 7 aprile 1968 in una semplice conversazione con i suoi parlava dell’uccisione di Marthin Luter King e di un discorso del presidente americano e diceva: “Che ci interessano queste cose? Non ci trascendono forse? Ci hanno a fare! Il vostro e nostro, vostro e mio cristianesimo non è solo questione di dire preghiere, che pure è un dovere; di tenerci stretti all’altare del Sacrificio e della comunione; di ascoltare e credere alla parola. Non solo questione di fare il nostro dovere e vivere la nostra vita, piccola, tranquilla senza guardare troppo intorno. E gli altri? Si arrangino! Non può essere questo il nostro cristianesimo. Sarebbe la risposta insolente di Caino al Signore: sono forse io il custode di mio fratello? I fatti toccano il mondo e quindi toccano noi. Non basta vederli per un momento, occorre meditarli anche nel quadro della storia”. Sono i segni dei tempi che un mondo narcotizzato non sa riconoscere o fa finta di non vedere con l’indifferenza. Nel suo famoso intervento del 3 ottobre al Concilio disse: «Rispetto a quest’ora dell’umanità e a questo grado di sviluppo della coscienza cristiana […] questa è l’ora dei poveri, dei milioni di poveri che sono su tutta la terra, questa è l’ora del mistero della Chiesa madre dei poveri». Lì inizia il Regno, davvero si fa vicino a chi lo annuncia e a chi lo incontra.
Ringraziamo per il suo singolare rapporto con la città, prossimità, desiderio di arrivare a tutti, paternità e fraternità. Sognava una Chiesa che “può essere dovunque, tenda mobile che lo Spirito posa dove vuole e di cui gli uomini devono continuamente reinventare i modi di essere”.
Il Cardinale ci aiuta, ci guida e ci protegge nel cammino che stiamo per intraprendere, cercando di capire e vivere l’impegnativo e entusiasmante “date voi stessi date loro da mangiare”. Eucarestia e città. Parlava con tutti come ai bambini a carnevale. Sognava una Chiesa sine glossa, che servisse il Vangelo e quindi l’uomo, “senza complessità di appoggi e di strumentazioni umane”, con la semplicità evangelica. Oggi non abbiamo il problema di costruire nuove chiese, ma nuove comunità che parlino al cuore degli uomini, tutti, operaia di una messe di amore, con gioia, vedendo i tanti frutti, credendo che non mancano pochi mesi alla mietitura e che in quella messe è nascosto il segreto del regno.
Faccio mie le parole scritte dal cardinale per Santa Clelia Barbieri, che insieme alla Vergine di San Luca intercede per noi con San Petronio, i santi martiri fratelli Vitale e Agricola, Santa Caterina da Bologna, Padre Pio a lui così caro: Noi ti benediciamo, Padre Santo, per questa effusione della tua generosità; per l’intercessione di Madre Clelia (e giungerei di Padre Pio) ti chiediamo quello spirito di carità e di servizio, che il Signore Gesù lasciò a noi come oggetto del suo nuovo comandamento e segno indubbio della nostra genuina adesione al Vangelo. Esaudisci, o Padre, l’umile nostra preghiera, che ti porgiamo per mezzo di Cristo, Figlio Tuo e Signore nostro, nello Spirito Santo. Amen.

18/10/2016
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