Riflessioni sul tema dell’accoglienza

 

1.      Il vostro gesto di accoglienza ha le sue radici ed il suo fondamento in un gesto di accoglienza compiuta da Dio stesso in Cristo. Lo dice S. Paolo in due passaggi della lettera ai Romani. Il primo dice: «Colui che mangia non disprezzi chi non mangia; chi non mangia, non giudichi male chi mangia, perché  Dio lo ha accolto» [14,3]. Dal momento che Dio ha accolto sia chi è debole sia chi è forte nella fede, nessuno ha il diritto di disprezzare alcuno.

         Il secondo testo dice: «accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio» [Rom 15,7]. Sottolineo una differenza dal primo testo. Il soggetto attivo dell’accoglienza, colui che accoglie è Cristo. Ma l’attribuzione della stessa opera a Dio il Padre o a Cristo intende dirci che il Padre ha compiuto il suo grande gesto di accoglienza per mezzo di Cristo ed in Cristo. Ancora, come nel primo passo, il gesto di Cristo è la ragione, la radice del gesto di accoglienza reciproca.

         Cerchiamo ora di avere una qualche intelligenza di questi testi della Scrittura. Essi dunque in sostanza dicono; poiché e come Dio in Cristo ha accolto in comunione piena con Sé ogni fedele, così questi devono reciprocamente accogliersi senza alcuna riserva interiore.

         Partiamo ora dal gesto di Dio in Cristo. L’uomo, ogni uomo, nasce in una condizione di estraneità nei confronti di Dio. Anzi di più: in una condizione di inimicizia, nel senso che è partecipe di un’originaria decisione, presa dall’uomo, di realizzarsi contro la Legge di Dio.

         Questa condizione originaria viene confermata dalle personali scelte che giorno dopo giorno configurano il nostro volto spirituale e danno origine ad una società, ad una città dominata dal male.

         Ma Dio ama tutte le cose esistenti e nulla disprezza di quanto ha creato, perché se avesse odiato qualcosa, non l’avrebbe neppure creata. Il Signore risparmia e ha cura di tutte le cose perché tutte sono sue, ed Egli è amante della vita [cfr. Sap 11,24-26]. L’appartenenza di ogni uomo al Signore rimane al di sotto e contro ogni scelta contraria dell’uomo.

         è questo che spinge il Padre ad inviare il suo Unigenito, a donarlo e a consegnarlo alla morte, perché l’uomo “ritornasse a casa”, cessasse di essere un estraneo ma diventasse uno della famiglia di Dio [cfr. Ef 2,19]. L’avere parte [cfr. Gv 13,8] di cui parla Gesù a Pietro quando cerca di convincerlo di lasciarsi lavare i spiedi, significa in fondo che l’uomo diventa a tutti gli effetti membro della famiglia di Dio. Paolo arriverà a dire che l’uomo diventa «erede di Dio e coerede di Cristo» [Rom 8,17]. I “beni di Dio” … il suo patrimonio ci appartiene perché siamo stati accolti nella sua famiglia.

         Pietro deve lasciarsi lavare i piedi, deve accettare l’atto con cui Dio lo costituisce membro della sua famiglia. L’atto è “lavare i piedi all’uomo”. Cioè il servizio della suprema umiliazione di Dio.

         Quando dunque l’Apostolo motiva, radica e fonda l’accoglienza reciproca dei cristiani sull’atto di accoglienza che Dio ha compiuto in Cristo nei nostri confronti, in sostanza  è a tutta l’opera salvifica che pensa. Egli pensa l’opera redentiva di Cristo sotto il profilo di un gesto di accoglienza dell’uomo da parte di Dio.

2.      In che modo ed in che senso l’atto divino dell’accoglienza causa ed ispira l’atto umano? «Come Cristo accolse voi», dice l’Apostolo. Che cosa significa quel come?

         Partiamo da una riflessione di carattere più generale. Pensare tutta l’opera redentiva di Cristo sotto il profilo dell’accoglienza dell’altro ci conduce ad una conclusione. Secondo il progetto divino l’altro in quanto denota l’estraneità dell’uno all’altro, è una categoria esclusa dal progetto divino. L’amore di Dio quale si è pienamente rivelato in Cristo, è un amore senza esclusioni. è un amore che realizzandosi non crea steccati, ma li distrugge [cfr. Ef 4,16-18]. Più Dio è il  “mio Dio” e più ogni uomo è “mio fratello”.

         La S. Scrittura, la Tradizione della Chiesa ed il suo Magistero, insegnano che la persona umana, accolta nella famiglia di Dio, diventa partecipe della logica che governa questa divina famiglia. L’uomo diventa capace di amare come Dio stesso: nei nostri cuori viene effuso lo stesso amore di Dio [cfr. Rom 5,5].

         è questo il fatto cristiano: uomini e donne che introducono dentro la tribolata vicenda umana una energia divina – di cui sono partecipi – che la trasforma progressivamente. è una forza che costruisce, insegna Agostino, una città, la città di Dio.

         Dunque, attraverso il gesto dell’accoglienza che le vostre famiglie hanno compiuto, l’atto redentivo di Cristo [«Cristo accolse voi»] diventa visibile e si impianta dentro alla storia.

3.      Vorrei ora riflettere un poco su questo “impianto”, chiedendomi che cosa significa per la Chiesa e per la società civile. Inizio dalla Chiesa.

         Partiamo da una costatazione. Nella Chiesa noi vediamo molteplici realtà, molteplici attività, organizzazioni di vario genere. A quale scopo tutto questo? A che cosa ultimamente mira? Alla comunione della carità. Questo è il fine che resterà per sempre, mentre tutti gli altri mezzi scompariranno alla fine dei tempi. Tutto passa; nell’eternità resta solo l’Amore. è per questo che formalmente ed essenzialmente la Chiesa è costituita, è fatta dall’Eucarestia. è l’Eucarestia infatti che “produce” in noi la stessa carità di Cristo. Dall’Eucarestia tutto proviene; ed ad essa tutto deve rifarsi come alla sua originaria sorgente.

         Da tutto questo deriva che un atto di carità vera fa essere, fa crescere la Chiesa più che tutto il resto della sua attività. «Difatti è più prezioso agli occhi di Dio ed è più utile alla Chiesa un briciolo di questo amore che tutte le altre opere messe insieme» [S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale B 29,2; Opere complete, San Paolo ed., Milano 2001, 646].

         L’atto di accoglienza che compite dunque arricchisce il vero tesoro della Chiesa: la fa crescere in ciò che essa è e resterà per sempre.

         Ma c’è anche un altro aspetto su cui voglio attirare la vostra attenzione, e più legato alle circostanze attuali.

         Il vostro atto di carità è normalmente nei confronti del bambino. La Chiesa deve fare penitenza nei confronti di coloro con cui Gesù si è identificato, a causa del comportamento scandaloso di alcuni suoi ministri.

         Anche attraverso di voi, la Chiesa copre agli occhi del suo Signore un peccato fra i più abominevoli.

4.      Vorrei ora riflettere brevemente sulla rilevanza che il vostro atto di accoglienza ha per la società civile. Mi limito a due ordini di riflessione.

         Il primo. è ben noto a tutti come la presenza dell’altro, diciamo dello straniero, è uno dei problemi più gravi delle società occidentali, oggi. Esse hanno, se non sbaglio, proposto fino ad oggi due soluzioni: la soluzione multiculturalista, e la soluzione integrazionista. La prima propone una coesistenza orizzontale di identità in sé chiuse, incommensurabili. La seconda propone una convivenza che organizza i rapporti fra i diversi mediante la loro riduzione ad un denominatore comune.

         Ambedue stanno clamorosamente fallendo perché partono da un presupposto antropologico falso: solo un universale astratto può unificare, il singolare concreto divide.

         Il vostro gesto indica la via giusta: è nella relazione che riconosce l’altro come chiamato ad una reciproca appartenenza, che la società si costruisce.

         Il secondo. Una delle cause principali del grave malessere in cui versano le società occidentali è la loro incapacità di uscire dalla riduzione della persona ad individuo. Questa riduzione costruisce il sociale umano non come un fatto relazionale, ma come un fatto contrattuale. Tutto fondato sul dare-avere.

         «La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione» [Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate 6,2]. è questo il vostro apporto alla costruzione della città dell’uomo.

         Concludo con un testo di T.S. Eliot. «Tutti gli uomini sono pronti ad investire il proprio denaro, ma la maggior parte se ne aspetta dei guadagni … Io dico: non pensate al raccolto, ma solo a seminare bene» [La Roccia, BvS, Milano s.d., 31].

         Avete seminato bene, perché seminate gratuità ed amore: nella Chiesa e nella società. Il raccolto che ne seguirà è segreto di Dio.

 

 

05/11/2010
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