S. Messa di suffragio per le vittime della strage alla stazione di Bologna e a conforto delle loro famiglie – XXVIII anniversario 

Bologna

( Is 25, 6.7-9; Sal 22; Gv 14,1-6)

Nel contesto sacramentale del Sacrificio di Cristo crocifisso, siamo qui riuniti per celebrare l’Eucaristia in suffragio delle 85 vittime della strage del 2 agosto 1980, per il conforto dei superstiti e dei familiari e per chiedere, con particolare anelito interiore, il dono della pace.

Con questo rito, noi entriamo in profonda e misterica comunione con i nostri cari, sacrificati sull’altare della ferocia omicida, ma innestati come “vittime di soave odore” (Cfr. Gen 8,21) nella realtà totale di Cristo Redentore.

Di fatto, la precarietà dell’esistenza umana, appesantita e frantumata dalla cecità dell’odio di parte, viene superata da Cristo crocifisso e risorto, che introduce nel corpo sociale energie nuove e potenzialità inedite, fino a proiettare l’umanità nell’area trascendente dell’eternità.

Il Profeta Isaia ci ha detto che “il Signore strapperà il velo che copre la faccia di tutti i popoli” e toglierà la “coltre che impedisce a noi creature di cogliere e scrutare l’essenza più profonda delle cose” (Cfr Is 25,7).

Ogni strage è frutto delle trame eversive della “città del nulla” (Is 24,10), costruita sulle orme della furia omicida di Caino e modellata sulle strategie esecrande di Erode che, per paura della regalità trascendente di Gesù, “fece uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio” (Mt 2,16). Purtroppo l’astio di Caino e la prepotenza devastante di Erode continuano ad alimentare, sulla faccia della terra, “la voce del sangue innocente che grida al cospetto di Dio” (Cfr. Gn 4,10).

Questa “città del nulla”, che ha il suo prototipo nel caos di Babilonia e il suo clone in ogni aggregato umano “informe”, continua a prosperare. E la sua pretesa di proporre progetti di vita costruiti solo sulle risorse materiali, senza la volontà di scrutare il volto di Dio, che si è rivelato in Gesù Cristo, non potrà che naufragare sotto i colpi degli egoismi incrociati.

Le divisioni e le lacerazioni che da ventotto anni accompagnano questa giornata della memoria, rivelano il persistere dell’incapacità di guardare oltre, per raggiungere i traguardi di un’autentica pace sociale. È necessario, pertanto, togliere la “coltre” che impedisce alla ragione di ragionare, al cuore di amare, al grande dono della libertà di esprimersi, senza la zavorra del preconcetto, del protagonismo mediatico, della mala fede.

Ciò non significa ostacolare la ricerca della verità, qualunque essa sia, per assicurare i responsabili alla giustizia, ridurre all’afasia i professionisti del sospetto e isolare gli strateghi della conflittualità permanente.

Isaia ci indica la strada per uscire dalle sabbie mobili della visione parziale e preconcetta della realtà. Egli ci guida “sul monte, dove è preparato un banchetto per tutti i popoli… in grado di eliminare la morte per sempre… e di far scomparire la condizione disonorevole di ogni nazione” (Cfr Is 25, 6-8). Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, infatti, che non è latitante, ma è Padre, “asciugherà le lacrime su ogni volto” (Is 25,8).

In tale prospettiva, attraverso la Messa che oggi celebriamo, la Chiesa offre all’umanità la chiave interpretativa del proprio stato di sofferenza e il motivo della sua speranza. L’Eucaristia, infatti, è il pane dato “per la vita del mondo” (Gv 6,51) e la caparra della nostra futura risurrezione: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).

È l’orizzonte della fede che ci ha indicato il Vangelo di Giovanni: senza la fede in Dio e nel suo Figlio Gesù Cristo (Cf. Gv 14,5) “non possiamo fare nulla” (Cf Gv 15,5).

Qualcuno pensa che la fede sia un ostacolo ad una sana e ordinata convivenza civile. In realtà è il suo vero propulsore, perché Gesù, con la sua Parola, ci ha lasciato la più sublime ed efficace regola di vita, che ha il suo vertice nella sua stessa persona: “io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6).

Chi contempla il volto di Cristo e si fa suo vero discepolo si mette nelle condizioni migliori per essere un autentico membro della società civile, perché scopre, ogni giorno, le radici della laicità vissuta e non solo chiaccherata: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21).

Di fronte allo “svuotamento antropologico” in atto non possiamo continuare a vivere come se Dio non esistesse e a rinchiudere la nostra razionalità negli spazi ristretti dell’esperienza materiale. Dobbiamo invece – come dice Benedetto XVI – “allargare gli orizzonti della razionalità”, per aprire le porte ad una nuova progettualità capace di una più esatta comprensione della natura e dell’uomo (Cf. Agli universitari, 7-6-08).

Di fronte al “deserto spirituale” che avanza e prepara conflittualità sempre più drammatiche, il mondo ha bisogno di testimoni di una “nuova era”, capace di sconfiggere l’“ideologia relativista”, che propone una libertà senza verità, senza certezze e perciò senza traguardi degni del nostro essere fatti a immagine e somiglianza di Dio (Cf. Gn 1,27).

Di fronte a delitti esecrabili come la strage del 2 agosto, non dobbiamo avere paura di spalancare le porte a Cristo, perché è lui che “rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche all’uomo la misura alta della sua vocazione” (Cf. Gaudium et spes, 22).

Essere cattolici, allora, non è solo un’etichetta da appiccicare ai nostri elaborati umani, ma significa attingere risorse promozionali e trasformanti che ci convertono in membra autentiche del Corpo di Cristo, la Chiesa.

Ciò significa – dice il Papa – “che da sempre la fede cristiana non può essere racchiusa nel mondo astratto delle teorie, ma deve essere calata in una esperienza storica concreta che raggiunga l’uomo nella verità profonda della sua esistenza” (Agli universitari, 7-6-08).

02/08/2008
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