S. Messa esequiale di don Giuliano Gaddoni

            Il nostro presbiterio è stato ancora una volta visitato in questi giorni da sorella morte. Ci ritroviamo ancora una volta, cari fratelli e sorelle, attorno all’altare ad offrire il divino Sacrificio per il nostro fratello, il sacerdote Giuliano.

1.         La parola dell’Apostolo nella prima lettura confronta i due momenti, i due capitoli della nostra biografia. L’uno è vissuto «come (in) una tenda», l’altro riceverà da Dio «una abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli».

            La vita dunque dell’uomo è vissuta in due abitazioni successive, l’una – la tenda – è ben visibile; la seconda – la dimora non costruita da mani d’uomo – invisibile. «Ma noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne».

            Donde ci viene la capacità di fissare lo sguardo sulle cose invisibili? la capacità di vivere già, in qualche modo, nella nostra dimora eterna?

            Dal fatto che «Cristo … venuto come sacerdote dei beni futuri … entrò per sempre nel santuario (celeste) procurandoci così una redenzione eterna» [Eb 9, 11]. Gesù il buon pastore è venuto a prenderci sulle sue spalle, e ci fa entrare nella nostra definitiva dimora «non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli». Di questo definitivo ingresso noi abbiamo come la pregustazione ogni volta che celebriamo l’Eucarestia. In essa infatti noi ci uniamo già alla città celeste.

            L’apostolo Paolo tuttavia non tace sulla dimensione drammatica del passaggio dalla tenda alla dimora. Egli lo chiama un “disfacimento”, così profondo che può causare in chi lo subisce lo scoraggiamento. L’unico modo di sopportare il disfacimento di cui parla l’Apostolo, è il confronto fra ciò che esso è e ciò che procura: «infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria». Si ripete nel discepolo quanto è avvenuto in Gesù, che «vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto» [Eb 2, 9].

            Cari fratelli e sorelle, la pagina dell’Apostolo che stiamo meditando è la narrazione dell’ultima parte della vita di don Giuliano: il periodo che lo preparò a passare dalla “tenda costruita da mani di uomo” alla “dimora eterna”. Egli visse un vero e proprio “disfacimento” esteriore. Nel senso che il suo corpo – e noi siamo anche il nostro corpo – andava verso un’immobilità sempre più estesa ed intensa.

            Non posso dimenticare come, immediatamente dopo l’infausta diagnosi, egli venne a portarmi le sue dimissioni dalla parrocchia, temendo di non essere più in grado di adempiere i suoi doveri di parroco. Le respinsi seduta stante, ma fummo tutti e due consapevoli che da quel momento iniziava il suo disfacimento dell’uomo esteriore; la sua tenda costruita da mani d’uomo cominciava ad essere smontata.

            Come viveva don Giuliano il passaggio dalla “tenda” alla “dimora”? fissando lo sguardo non sulle cose visibili ma su quelli invisibili.

            Nei molti colloqui che avemmo, mi colpiva sempre infatti la sua serenità profonda, il suo abbandono, ed anche perfino la sua voglia di scherzare. Mi diceva che era parroco nella preghiera, nell’oblazione della sua sofferenza.

            Quando lasciò la parrocchia, cari fedeli di S. Martino, vi disse: «sono venuto a visitare gli ammalati per tanti anni; vi ho detto tante parole di fede e di consolazione; ma il Signore mi chiede di vivere anch’io le parole che vi ho detto: mi sforzerò e spero di riuscirci».

            Lasciata la parrocchia, chiese di poter vivere presso il Santuario del Poggetto. In quel luogo benedetto trovò una pace più profonda: il suo occhio era diventato più capace di fissare lo sguardo sulle cose invisibili. Me ne resi conto quando, durante un pomeriggio estivo, andai a trovarlo al Santuario, e durante un lungo colloquio mi disse: “non mi sono mai sentito tanto sacerdote come ora: confesso e prego”. Ecco, cari amici, cosa significa fissare lo sguardo sulle cose invisibili.

            Cari fratelli e sorelle di S. Martino di Bertalia, avete perduto un grande pastore, ma avete guadagnato un intercessore nella dimora eterna. Egli vi ha lasciato il nuovo tempio dove celebrare i santi Misteri, e che in un qualche modo abbiamo inaugurato col suo funerale. Sia esso a memoria perpetua di questo vostro pastore. Egli in un certo senso ne ha come anticipata la dedicazione col sacrificio della sua vita, che uniamo ora al sacrificio di Gesù qui celebrato per la prima volta.

2.         «E, chinato il capo, consegnò lo Spirito». Ciò che inquietava don Giuliano era il pensare quale morte lo aspettava a causa della malattia.

            Il Signore, nella sua misericordia, gli ha risparmiato l’ulteriore disfacimento dell’uomo esteriore. Consegnò così lo spirito ormai impossibilitato a rimanere in un corpo sempre più immobilizzato.

            La “consegna del suo spirito” ha voluto che fosse unita, mediante la celebrazione dell’Eucarestia, alla consegna che Cristo fece del suo spirito sulla croce.

            Mercoledì verso sera egli volle essere portato al Santuario per celebrare l’Eucarestia. Nonostante ne fosse sconsigliato a causa delle sue condizioni già gravi, egli disse: «non posso fare a meno della Messa».

            Anche noi ora partecipiamo a questa consegna: consegniamo il nostro fratello alla misericordia del Padre, perché disfatta la tenda terrena, lo accolga nella dimora eterna.

15/04/2011
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