S. Messa esequiale di Padre Pellegrino Santucci

Bologna, Basilica di Santa Maria dei Servi

(Is 25, 6.7-9; Sal 22; Gv 14, 1-6)

Il Signore ci ha convocati in questa splendida Basilica per celebrare la Liturgia esequiale in suffragio di Padre Pellegrino Santucci o.s.m., deceduto il 24 luglio 2010, alle ore 16.45. Il Padre è spirato a 89 anni mentre la Chiesa cantava i Primi Vespri della XVII Domenica del Tempo Ordinario, supplicando il Signore di “vegliare sopra i suoi figli pellegrini nel mondo”, perché “la morte non li colga prigionieri del male”.

La mia presenza intende sottolineare la riconoscenza della Chiesa bolognese e del Suo Arcivescovo, per quanto la Famiglia religiosa dei Servi di Maria ha fatto, nel tempo, per l’incremento spirituale e culturale della nostra gente, nella speranza che i frutti dello Spirito possano continuare a maturare.

Padre Pellegrino è morto qui, nel suo Convento, conservando fino all’ultimo una piena lucidità. Confortato dai Sacramenti della fede è spirato nella consapevolezza di andare incontro al Signore, giusto giudice, ma ricco di misericordia e fondamento della nostra speranza, come ci ha ricordato il Profeta Isaia: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse… rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza» (Cf. Is 25, 9).

Di fronte alla morte, il vero credente non giudica secondo l’ottica insufficiente della cronaca, ma tenta di cogliere il mistero dell’uomo, alla luce del mistero di Dio e della Storia della salvezza, specialmente quando l’uomo è configurato a Cristo mediante il sacramento dell’Ordine e l’offerta totale di sé, nella speciale consacrazione della vita religiosa.

Solo in forza del “banchetto” che il Signore, “in quel giorno”, preparerà sul monte della nuova Gerusalemme (Cf. Ap 21, 2), verrà strappato il “velo” dell’ambiguità che copre, qui in terra, “la faccia di tutti i popoli”. Oggi sappiamo che questo banchetto è l’Eucaristia che fa sbocciare la Chiesa e che “quel giorno” è anticipato e messo a nostra disposizione ogni Domenica, il “giorno di festa primordiale” (Sacrosanctum Concilium, n. 106), perché i frutti della redenzione siano spalmati sulla nostra vita quotidiana, in vista della sconfitta definitiva del peccato e della morte (Cf. Is 25, 8).

Quando Padre Pellegrino, fin dal lontano 1944, ha risposto alla chiamata del Signore ed è stato consacrato con l’unzione sacerdotale, la grazia sacramentale è scesa su di lui come un fuoco: il suo essere è stato investito dall’energia dello Spirito. Da quel giorno, dentro la sua coscienza, hanno trovato eco le parole del Salmo 22: «Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo, il mio calice trabocca» (v. 5).

Noi sappiamo che tra i discepoli del Signore hanno trovato posto Filippo e Andrea, uomini aperti alla mediazione e al dialogo (Cf. Gv 12, 21-22), ma anche Giacomo e Giovanni, gli impetuosi e un po’ intolleranti «figli del tuono» (Cf. Lc 9, 54-55). Gesù ha accolto non solo la fede rapida ed entusiasta di Pietro, ma anche quella ragionata e difficoltosa di Tommaso. Non pare, in ogni caso, che il Signore per questo ministero abbia preteso dei «super-uomini»; e questo ci conforta tutti.

A quanti, però, hanno risposto alla sua chiamata, al di là delle loro vicende pregresse e del loro singolare temperamento, Dio Padre ha chiesto a tutti di conformarsi all’identità di suo Figlio Gesù Cristo, con un’adesione generosa, totale e irrevocabile. Certo, Padre Santucci si sarebbe associato volentieri alla richiesta dei figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che, di fronte ai Samaritani inospitali, chiedevano il loro annientamento mediante il fuoco caduto dal cielo, ma avrebbe anche accettato il severo rimprovero di Gesù (Cf. Lc 9, 54-56) che, Padre Pellegrino, attraverso Maria, aveva messo al centro della sua vita sacerdotale e religiosa.

Questo Frate esuberante, dal temperamento emotivo, attivo e primario, non sempre è riuscito ad evitare le esondazioni dall’alveo del grande fiume della sua “parresia”, cioè dal suo “coraggio di testimoniare” la fede in Gesù Cristo in modo integrale. Spesso le sue scelte erano provocatorie e sempre in controtendenza, ma espresse in un contesto di fondo intriso di consapevolezza ecclesiale e di grande rispetto per il mistero e il ministero del Vescovo, visto come principio di unità nella vita della Chiesa particolare.

Infatti, Padre Santucci accetta – non senza qualche perplessità – l’invito del Cardinale Arciveascovo Giacomo Lercaro a mettere la sua arte musicale a servizio della riforma liturgica e della partecipazione attiva dei fedeli, conservando la solennità, la qualità e la bontà delle forme musicali. Per il giorno di Pasqua del 1965, infatti, compose la «Missa “Vulgaris Primain novitate spiritus», dedicata proprio al Cardinale Lercaro, il quale, lo stesso giorno, dopo la Messa solenne in Cattedrale, gli scrisse testualmente: «Non posso lasciar passare questo giorno senza ringraziarLa dell’apporto veramente valido che Ella, con la Cappella Arcivescovile di S. Maria dei Servi, ha dato stamane, non solamente alla solennizzazione del grande giorno “che il Signore ha fatto”, ma ancora alla presentazione della riforma litugica».

Dunque, il biglietto da visita della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, che il Cardinale Lercaro e Padre Santucci presentarono alla Chiesa bolognese il giorno di Pasqua del 1965, era quello di una liturgia solenne e partecipata dal popolo. Una liturgia in grado di valorizzare la grande tradizione liturgico-musicale del passato, ma aperta alle nuove forme dell’arte a servizio di una “liturgia viva per uomini vivi”, a maggior gloria di Dio e per la santificazione di tutti i membri della Chiesa.

Purtroppo, la secolarizzazione, il democraticismo e il relativismo culturale e morale hanno in gran parte compromesso il cammino della riforma voluta dal Concilio. Pertanto – come scrisse Giovanni Paolo II – bisogna ritrovare il “grande soffio” che sospinse la Chiesa al momento della promulgazione della Costituzione “Sacrosanctum Concilium”, che tiene presente “con grande equilibrio la parte di Dio e quella dell’uomo, la gerarchia e i fedeli, la tradizione e il progresso, la legge e l’adattamento, il singolo e la comunità, il silenzio e lo slancio corale” (Cf. Vicesimus quintus annus, n. 22).

Il Vangelo di Giovanni ha fatto appello alla nostra fede in Dio e in Gesù Cristo, per superare i momenti di turbamento, di incertezza e di smarrimento. Gesù ci ricorda che tutti noi abbiamo davanti la propettiva della vita eterna: «Nella casa del Padre mio vi sono molti posti… Io vado a prepararvi un posto e ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io» (Cf. Gv 14, 2-3).

L’importante è non perdere di vista il volto di Cristo e l’icona della sua Croce. È lui «la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6). È Gesù che mediante la sua risurrezione ha squarciato i cieli e ci ha posti accanto a sé, alla “destra del Padre” (Cf. Mc 16, 19), nella Domenica senza tramonto.

Padre Pellegrino ha espresso al meglio il suo talento musicale proprio su questo orizzonte, quando fu invitato dal Cardinale Arcivescovo Giacomo Biffi a concludere ufficialmente, sul piano culturale, il Grande Giubileo dell’anno 2000. L’ 11 gennaio 2001, in Cattedrale, la Cappella di S. Maria dei Servi ha eseguito l’Oratorio per soli, coro e orchestra «Jubilaei Festum» che Padre Santucci ha composto (parole e musica) per esaltare l’evento dell’Incarnazione del Figlio di Dio, unico Salvatore del mondo, «ieri, oggi e sempre» (Eb 13, 8).

Con questa composizione (forse l’ultima), il genio artistico di questo “Padre Servita”, “sui generis”, ha consegnato al terzo millennio una tradizione musicale che, da secoli, è depositaria delle qualità indispensabili per elevare lo spirito umano alle più alte vette della contemplazione e della fruizione estetica.

Infatti, l’Oratorio si presenta con la forma musicale extra liturgica a più alta densità spirituale, capace di far vibrare le menti e i cuori orientandoli alla fede, alla virtù, allo slancio interiore, al desiderio della vita eterna in Paradiso.

Di fatto questa composizione si presenta come il testamento spirituale di questo Frate “volante”, pronto a scendere in campo per difendere la fede, senza mai cedere a tutto ciò che oggi viene chiamato “politicamente corretto”. Se le sue intemperanze ci hanno fatto sorridere, la sua fede ci sprona a meditare su tanti atteggiamenti che tendono a trasformare il cristianesimo in religione civile, secondo una visione neognostica della realtà.

La grande eresia gnostica è, ancora oggi, un pericolo latente nella Chiesa e nella società civile. Perciò l’esempio storico della lotta tra i Corinzi, raccontata da S. Paolo, rimane per noi emblematico (Cf. 1 Cor 1, 18-21). Lo ribadisce anche il nostro Arcivescovo, Cardinale Carlo Caffarra, il quale afferma che la gnosi assume, nel tempo, profili diversi, ma si manifesta sempre nella persuasione che la dimensione «spirituale» non può avere carne e che il mistero non può avere storia. In tal modo, la grande tradizione pastorale della Chiesa viene distrutta (Cf. Nota Pastorale: “Se uno non rinasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio”, EDB, Bologna 2004, p. 12).

La scomparsa di Padre Pellegrino, dunque, diventa per tutti noi uno stimolo a riscoprire l’essenza del cattolicesimo, anche come sorgente di promozione culturale per questa nostra Città, che ha bisogno di recuperare la sua vera anima se vuole uscire dalla crisi. Ai giovani non basta proporre l’evasione digitale e lo sballo della “tecnomusica”. Per loro è necessaria la vera arte musicale che plasma lo spirito. In questo campo, Padre Pellegrino Santucci ha lasciato un’orma profonda nella nostra Città. Chissà se Bologna è capace di conservarne la memoria!

 

 

27/07/2010
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