S. Messa esequiale in suffragio del Santo Padre Giovanni Paolo II

Bologna, Cattedrale

In comunione con il suo Arcivescovo, S.E. Mons. Carlo Caffarra, oggi a Roma per la Messa esequiale e la tumulazione della salma del Sommo Pontefice, la Chiesa di Bologna, ancora una volta, si è riunita in preghiera, spinta dal desiderio dei suoi figli di vivere, nella fede, l’evento straordinario e coinvolgente della morte di Giovanni Paolo II.

Nel rito delle esequie la Chiesa manifesta la sua fede nella vittoria di Cristo risorto sul peccato e sulla morte e, mai come in questi giorni, la fede viene espressa in modo spontaneo, intenso e ininterrotto, attraverso l’omaggio itinerante al Grande testimone della Pasqua del Signore nel nostro tempo.

Un popolo immenso di pellegrini attende e prega, mentre contempla il mistero della passione e della morte del Papa come un dramma carico di profezia e di senso ecclesiale.

Sulle orme di Cristo, Giovanni Paolo II si è presentato al mondo come “luce delle genti” e, in certo modo, si può dire di Lui ciò che il Concilio Vaticano II ha detto della Chiesa: Egli «è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, n.1).

L’onda inesauribile di pellegrini di ogni ceto e nazionalità, desiderosi di vedere per l’ultima volta il successore di Pietro, dimostra come la parola udita negli Atti degli Apostoli ha incontrato nel Pontefice un solerte “realizzatore”: «Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (At 10, 34).

L’amore che Gesù ha chiesto a Pietro sulla riva del mare di Tiberiade (Cf. Gv 21, 15-19) ha trovato in Giovanni Paolo II una risposta piena e universale: ha pascolato il gregge di Dio con zelo inesauribile, con grande coraggio e forte determinazione. Per questo l’umanità intera gli rende omaggio con un’ininterrotta testimonianza di affetto e di rinnovata disponibilità ad accogliere «la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti» (At 10, 36).

Con questa Eucaristia, la nostra preghiera si trasforma in ringraziamento, per il bene che il Pontefice defunto ha compiuto a favore della Chiesa e dell’umanità. Ma si esprime anche come suffragio e supplica, perché il Signore lo accolga nella dimora di luce e di pace insieme con tutti i santi, in attesa che si compia la beata speranza.

Con la celebrazione di questa Messa noi abbiamo l’opportunità di andare oltre la cronaca, per immergerci nel mistero del Crocifisso glorificato e cogliere le ragioni vere che soggiacciono a questo pellegrinaggio globale.

Come Gesù anche il Papa è stato inchiodato sulla Croce e il suo Pontificato ha raggiunto l’ora più luminosa della sua storia: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). Questo fascino della Croce non ha solo uno spessore emozionale, ma esprime un valore salvifico: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto (Cf. Nm 21, 9), così bisogna che sia innalzato da terra il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3, 14).

È per questo suo percorrere fino in fondo le tappe della “Via Crucis” che ha potuto dare le risposte più lucide alle sfide del mondo moderno. Quando a Bologna, nel 1997, accettò per amore dei giovani di confrontarsi con il mondo della musica moderna che, attraverso uno dei suoi rappresentanti, gli poneva un interrogativo fondamentale: «Quante strade deve percorrere un uomo per potersi riconoscere uomo?», Egli rispose che la strada era una sola, perché la strada dell’uomo è Cristo, che ha detto: «Io sono la via» (Gv 14, 6).

«Ma Gesù – ha aggiunto il Papa – vi propone una strada in salita, che è fatica percorrere, ma che consente all’occhio del cuore di spaziare su orizzonti sempre più vasti» (Incontro con i giovani al CAAB), fino a scrutare l’orizzonte estremo della nostra vita.

È la visione di fondo che Giovanni Paolo II ha espresso nel suo Testamento spirituale e che la lettera ai Filippesi ci ha presentato in questa Liturgia: «La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3, 20).

Per questo il Papa venuto dal lontano, si è fatto pellegrino su tutta la terra, dove ha acceso in ogni angolo del globo le luci della speranza e ha messo sul candelabro della storia lo splendore della “sacramentalità universale” della Chiesa, per introdurla come mistero di salvezza nei moderni areopaghi del terzo millennio.

 

 

 

08/04/2005
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