S. Messa esequiale in suffragio di Ezio Pascutti

Bologna, Cattedrale

(Is 25, 6-9; Sal 22; Gv 14, 1-6)

Dopo otto anni dalle esequie di Giacomo Bulgarelli, siamo di nuovo qui, convocati in questo luogo emblematico, per dare l’ultimo saluto, nella fede, ad un altro grande atleta bolognese: Ezio Pascutti.

Oggi, in questa Cattedrale – madre di tutte le chiese dell’Arcidiocesi e sede della Cattedra episcopale – la città di Bologna, il “Bologna Football Club”, le Autorità, i giornalisti sportivi e la folla dei tifosi rossoblù, si uniscono alla moglie Emanuela, alla figlia Alessandra e a tutti i familiari, per celebrare l’Eucaristia in suffragio di questo nostro fratello, chiamato ora a giocare la “grande partita” dell’eternità.

Ringrazio l’Arcivescovo Matteo Zuppi – impegnato, fuori Bologna, nella Tre giorni invernale dei sacerdoti – per avermi delegato a presiedere questo rito. Egli porge le sue condoglianze alla famiglia e si unisce spiritualmente alla nostra preghiera, che – illuminata dalla Parola di Dio – invoca la misericordia del Signore per il nostro fratello Ezio e per lui implora la gioia e la pace eterna.

La Messa che stiamo celebrando ci mette in presa diretta con Gesù Cristo, che ha detto: «Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11, 24). Pertanto, attraverso il rito eucaristico, noi diamo concretezza storica e salvifica al «banchetto» annunciato dal profeta Isaia, attraverso il quale il Signore strapperà il «velo che copre la faccia di tutti i popoli», cioè libererà definitivamente il genere umano dalla condizione di sofferenza e di angustia in cui si trova (Cf. Is 25, 7).

Inoltre, mediante l’Eucaristia – che rende disponibile per noi la grazia della Pasqua di Gesù – il Signore Dio «eliminerà la morte per sempre, asciugherà le lacrime su ogni volto» (Cf. Is 25, 8) e ora apre l’annuncio del Profeta alla speranza: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse: esultiamo per la sua salvezza» (Cf. Is 25, 9).

Ma celebrare l’Eucaristia vuol dire anche rendere grazie al Signore per tutti i benefici ricevuti in questa vita, come segno della sua bontà e come stimolo, perché i talenti ricevuti non vadano dispersi (Cf. Mt 25,14-30). Pertanto, noi ringraziamo il Signore per aver regalato a Bologna Ezio Pascutti, il numero 11 di quella squadra ben compaginata che vinse lo scudetto nel campionato di calcio dell’anno 1963-64, con l’apporto determinante del suo carisma di principe dei cannonieri, pur non avendo potuto partecipare al famoso spareggio.

I bolognesi di una certa età hanno ben presente quel pomeriggio domenicale del 7 giugno 1964, quando la città – immersa in un silenzio surreale, carico di tensione, di sofferente attesa e di speranza – alle 18.40 circa emise un boato impressionante e liberatorio: Bologna, all’unisono, aveva espresso la propria gioia per la vittoria del settimo scudetto, un traguardo di alto valore simbolico, sotto tutti i punti di vista.

Anche il Cardinale Arcivescovo Giacomo Lercaro gioì per quell’evento straordinario, che univa i bolognesi di ogni parte politica, credenti e non credenti, in una comune esplosione di gioia, carica di potenzialità sociali e civiche. Quel pomeriggio – lo accompagnavo a celebrare le cresime in alcune parrocchie – durante il tragitto, dalla chiesa di Casteldebole alla chiesa di S. Maria del Suffragio, in via Libia, udendo il grido della vittoria disse: «È un altro miracolo del Commendator Dall’Ara!». Infatti, il mitico e intraprendente Presidente del Bologna era deceduto quattro giorni prima: il 3 giugno 1964, a Milano. Ogni anno portava la squadra in Arcivescovado, per gli auguri natalizi al Cardinale.

Ezio Pascutti era nato il 1° giugno 1937 a Montegliano, in provincia di Udine, ma poi giovanissimo approdò a Bologna per entrare come segmento pregiato nella “bolognesità“. Lo conferma il coro unanime dei giudizi che, in questi giorni, hanno messo a fuoco la sua figura di uomo e di campione: “Eroe rossoblù“; “uno di famiglia“; “ha fatto grande la nostra città“; “sei entrato nell’immaginario collettivo“; “ha fatto sognare tutta Bologna“; “continua a fare gol anche in Paradiso“: un’allusione al grande allenatore Fulvio Bernardini.

Ezio si era sposato con Emanuela il 21 marzo 1960 nella chiesa di Santa Maria della Carità. Il matrimonio fu celebrato dal parroco Mons. Alfonso Bonetti, assistito da don Libero Nanni, lo storico Cappellano del Bologna. Sono nati due figli Alessandra, che è qui con la mamma e Andrea, che ha preceduto il papà nella Casa del Padre. Tante volte, con Bulgarelli e i suoi compagni di squadra, Ezio partecipava a iniziative benefiche. Ho visto una foto che lo ritrae al Rizzoli, con Bulgarelli, Perani e altri, accanto ai bimbi discinetici o spastici, seguiti da Suor Gabriella.

Ma Ezio Pascutti era soprattutto un simbolo per tutti, per la nostra città, per gli sportivi, ma soprattutto per quella società «liquida», descritta dal sociologo polacco Zygmunt Bauman, morto proprio ieri all’età di 91 anni. Quella foto che ha immortalato il “volo” di Pascutti, mentre brucia sullo scatto Burgnich e fa gol di testa contro l’Inter (4 dicembre 1966), non per nulla ha fatto il giro del mondo.

Quell’immagine ritrae un uomo coraggioso, fino all’estremo, pur di conseguire il suo obiettivo, disposto a dare tutto se stesso. È quanto il bene comune, nella società, si aspetta da ciascuno di noi. Ezio non era un eroe, ma ha fatto emergere in sé quella carica di energia concessa ad ogni essere umano, fatto a immagine di Dio. Troppo spesso, oggi, questa potenzialità latita dietro la paura e la rassegnazione.

Per questa ragione Papa Francesco ha più volte detto che va recuperata la funzione educativa dello sport, per riscoprirne la funzione sociale. Infatti, questo fenomeno così popolare, ha a che fare con la nostra identità più profonda: partecipando a una gara entriamo in contatto con una dimensione primordiale e insopprimibile del nostro essere e facciamo risuonare quanto vi è di più basilare nella nostra libertà (Lincoln Harvey).

Per questo Marc Augé ha di recente studiato il calcio come fenomeno religioso e visto gli stadi come cattedrali, perché lo sport va oltre la metafora e aiuta a dare un senso alla vita. L’urlo cittadino per il gol vincente del 1964 esprimeva nel profondo, l’aspirazione di ogni essere umano alla gioia e alla festa senza fine. Ma questa la troviamo solo in Paradiso.

Ecco perché, carissime Emanuela e Alessandra, dobbiamo trovare la nostra vera consolazione nel Vangelo di Gesù, che ci ha detto: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre vi sono molti posti… e io vado a prepararvi un posto e vi prenderò con me. Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Cf. Gv 14, 1-6).

Concludo con un pensiero alla Madonna di San Luca, che ha sempre avuto un rapporto speciale con la nostra città e soprattutto con lo stadio. Ezio Pascutti merita una dedicazione speciale come ha proposto il Sindaco, ma non si tocchi la «Curva San Luca», il segno massimo della “nostra difesa e del nostro onore”.

10/01/2017
condividi su