S. Messa in preparazione alla Pasqua a cura del “Bologna Football Club 1909”

Bologna, Villa Pallavicini

Ringrazio il “Bologna Football Club“, per aver inserito nei suoi programmi questa Concelebrazione Eucaristica in preparazione alla Pasqua. È l’incremento del rapporto tra fede e sport, che nel “Bologna” non è mai venuto meno, anche se in certi momenti si è un tantino assopito. Per volontà della nuova dirigenza – che per il BFC si è rivelata anzitutto come una felice sorpresa della Provvidenza – questo rapporto trova nuovo vigore, nella consapevolezza che «non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Cf. Mt 4, 4). Ora, la Parola definitiva di Dio, 2015 anni fa – circa – quando venne «la pienezza del tempo» (Cf. Gal 4,4), si è fatta carne rendendosi visibile in Gesù Cristo, che ha celebrato la sua Pasqua per la nostra salvezza.

Come è noto, Pasqua significa “passaggio” di Gesù dalla morte alla vita e costituisce il grande evento che sta al centro della storia e ha modellato, nei secoli, la nostra identità culturale. Prepararsi alla Pasqua, dunque, significa fare una sosta, per guardarsi dentro, per mettere a fuoco le grandi domande presenti nella coscienza di ogni uomo e di ogni donna: «Chi siamo?»; «Da dove veniamo?»; «Dove siamo diretti?»; «Perché cerchiamo la felicità e nulla, qui in terra, la può veramente garantire?»; «Che senso hanno il dolore e la morte?»; «E dopo la morte che cosa succede?».

Molti rimuovono questi interrogativi, per stare in pace, ma è una pace apparente, perché la realtà della vita – intrisa di “gioie e speranze, ma anche di tristezze e angosce” – ha bisogno di esprimersi secondo un progetto di libertà che non esclude la verità. Ora Gesù ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6).

I testi biblici che abbiamo ascoltato ci parlano proprio di lui, che si appresta a celebrare la Pasqua. Il Profeta Isaia – vissuto otto secoli prima di Cristo – ci presenta un personaggio molto emblematico, il Servo di Jahvè, che diventa profezia di Cristo, mite e sofferente, ma fermo nel suo proposito. Con la sua «dottrina» proclama il «diritto» tra i popoli, secondo verità e giustizia; sarà «luce delle nazioni», per aprire gli occhi ai ciechi e liberare quelli che vivono «nelle tenebre» del peccato; ma soprattutto stabilisce con noi un’«alleanza nuova» mediante il Battesimo, confermato con la Cresima.

Il Vangelo ci ha parlato della cena di Gesù a Betania, in casa di Lazzaro, che Egli aveva risuscitato dai morti. Questa cena prelude all’Ultima Cena, dove Gesù istituisce l’Eucaristia come dono supremo per quanti credono in Lui. Maria, sorella di Marta e di Lazzaro, compie un gesto profetico nei confronti della “sepoltura” di Gesù: versa sui suoi piedi un profumo prezioso. Giuda deplora questo atto come uno spreco, ma Gesù lo approva, perché è l’espressione di una fede e di un amore profondo, che sacrifica a Dio quanto ha di più prezioso.

Questo gesto si riverbera nel Battesimo, che è il segno dell’amore preveniente di Dio nei nostri confronti. Infatti, il Battesimo ci ha inseriti nella Pasqua di Cristo e, come lui, anche noi possiamo “passare” dalla morte alla vita, dall’egoismo all’amore, dalla chiusura in noi stessi all’apertura verso gli altri. Questo può avvenire proprio in forza dello Spirito Santo ricevuto con la Cresima. Questo sacramento, infatti, dà la possibilità di camminare – nella complessità della vita – non «secondo la carne», ma «secondo lo Spirito» (Cf. Gal 5, 16-22).

Che cosa significa? Se noi liberiamo la nostra coscienza dal peccato, mediante la Confessione, e partecipiamo all’Eucaristia, che Gesù ha istituito nell’ultima Cena, proprio come memoriale della sua Pasqua, lo Spirito Santo produce in noi i suoi frutti: «amore, gioia, pace, generosità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Cf. Gal 5, 22).

Queste potenzialità non le può dare il «mental coach», che ha un ruolo molto importante, ma opera su un piano diverso. I sacramenti non mettono in campo le energie psicologiche, ma quelle spirituali connesse con la grazia di Dio. Per questo il Sacerdote può svolgere un ruolo importante, fuori dagli spogliatoi, mettendosi a disposizione dei calciatori e dei loro familiari, che sentono il bisogno di guardarsi dentro per vedere come stanno le cose: nei confronti di Dio, di se stessi, delle persone care, dei compagni di squadra, della responsabilità che un calciatore ha nei confronti della città e del territorio in cui gioca.

Riportare il Bologna in serie A, allora, non è solo una questione di orgoglio e soddisfazione sportiva, ma è un valore aggiunto per questa città, che ha bisogno di trovare la propria unità trasversale, al di là delle tante lobby che lavorano per se stesse, trascurando il bene comune. I sette scudetti bolognesi sono stati vinti proprio in un contesto di grande sinergia interna al BFC, ma anche esterna, fra le componenti della società bolognese, pur nella dialettica dei propri fini istituzionali.

Ma tornare in serie A è proprio così importante? Penso proprio di sì, al di là della soddisfazione immediata della tifoseria. L’interconnessione tra «homo sapiens» e «homo ludens», tra cultura e sport, non è pura fantasia, ma esprime un dato oggettivo che esige di essere interpretato, senza lasciarsi fuorviare dal folklore. L’evento sportivo, che coinvolge migliaia di persone, “tocca un qualche elemento primordiale dell’umanità”. Per capire la posta in gioco, è necessario scoprire le ragioni del fascino sportivo, che già nell’antica Roma si esprimeva nella forma classica del «panem et circenses», una sintesi che suscita uno stimolante interrogativo: da dove nasce il fascino di un gioco che assume la stessa importanza del pane?

La richiesta di “pane e gioco” in realtà era l’espressione istintiva del desiderio immediato di una vita paradisiaca, senza affanni terreni e nel pieno appagamento delle proprie aspirazioni. Mediante il gioco, di fatto, l’uomo entra nell’alveo primordiale della sua libertà, che lo spinge a dare il meglio di sé, per ritrovare la via alta del ritorno al Paradiso perduto (Gen 3). In tale prospettiva lo sport diventa tirocinio di una vita liberamente strutturata, dove la disciplina fonde insieme esercizio fisico ed esperienza spirituale, facendo leva sul dominio di sé e sul gioco di squadra (Cf. J. Ratzinger, Cercate le cose di lassù, Riflessioni per tutto l’anno, Paoline, Milano 1986).

Secondo la visione sportiva cristianamente ispirata, l’atleta o la squadra vincente, diventa segno di un’umanità in grado di governare se stessa, perché sostenuta dalla grazia di Dio e, perciò, in grado di accogliere tutte le sfide dell’esistenza – sconfitte comprese – nella consapevolezza che l’uomo e la donna sono chiamati a vincere la battaglia del bene contro il male.

In vista di questi traguardi, la Chiesa continua a mostrare a tutti la sorgente della gioia e della festa, cioè la Pasqua del Signore, che ogni domenica, nella Messa, viene resa disponibile a tutti i battezzati, come sorgente inesauribile di energie spirituali capaci di educare i giovani all’autentica democrazia, che ha il suo principio fondamentale nella capacità di “dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare” (Cf. Mt 22, 21).

La Madonna di San Luca, che dal Colle della Guardia vigila sulla nostra città, protegga anche il BFC, che come una grande famiglia vuole vivere lo sport come servizio alla persona nella sua integralità e strumento educativo per le nuove generazioni.

30/03/2015
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