S. Messa in suffragio dell’architetto Paolo Nannelli nel 1° anniversario della morte

Bologna, Basilica Collegiata dei Ss. Bartolomeo e Gaetano

Siamo qui convocati, nella Basilica Collegiata dei Ss. Bartolomeo e Gaetano, per celebrare l’Eucaristia in suffragio dell’Arch. Paolo Nannelli, nel 1° anniversario della morte. Il Signore ha posto fine alla sua esistenza terrena il 30 aprile 2008, a mezzogiorno, “nell’ora in cui Cristo, il vero agnello pasquale, pagava sul Golgota il riscatto per la nostra salvezza” (Cf. Breviario Romano, Inno dell’Ora Sesta).

Con questa Messa, segno sacramentale del Sacrificio di Cristo, noi eleviamo al Signore la nostra preghiera e chiediamo per il nostro fratello la grazia della divina misericordia, perché “redento dalla morte, assolto da ogni colpa, riconciliato con il Padre, partecipi alla gloria eterna nel regno dei cieli” (Rito delle esequie, 73).

Ringrazio la Signora Carla, per avermi offerto l’opportunità di presiedere questo rito, che viene a suggellare il mio rapporto con Paolo, quasi sempre rimasto sottotraccia, ma tenuto vivo nel tempo da una spontanea sintonia, frutto di un comune sentire nei confronti di questa nostra città, della sua storia, dei suoi monumenti.

Celebriamo questa Messa proprio sotto le due torri, il segno emblematico, che più di ogni altro esprime l’autentica vocazione dell’Arch. Nannelli, una vera propensione verso una misura alta dell’identità urbana e, soprattutto, espressiva, in certa misura, del “quærere Deum” (cercare Dio) proprio dell’antica spiritualità monastica che, in tempi di sconvolgimenti migratori e di evidente provvisorietà, cercava l’essenziale e il definitivo (Cf. Benedetto XVI, Incontro con il mondo della Cultura al Collège Des Bernardins, Parigi, 12-9-2008).

Questi pensieri mi vengono sovente alla mente quando, all’alba di ogni giorno, dal Palazzo Arcivescovile, scruto l’orizzonte attraverso i tetti circostanti e lo sguardo viene trascinato verso l’alto dalle torri che, numerose, spingono a scrutare il cielo, fino a lambire l’ “eskhaton”, le realtà ultime, alla ricerca di quella perfezione, che in Paolo emergeva come caratteristica abituale e lo poneva in amicizia con le proprietà trascendentali dell’essere: la verità, l’unità, la bontà, la bellezza.

In tale contesto più volte ho pensato a Paolo e mi veniva spontaneo identificarlo come l’ “uomo delle torri”, come ebbi a dire a lui stesso nel giorno della Festa della Natività della B.V. Maria, l’8 settembre 2006 a S. Maria di Zena. Proprio dalla “Torre dell’Erede”, caposaldo di un antico insediamento agricolo sul Monte delle Formiche e da lui acquistata e restaurata, venne a salutarmi con la moglie Carla e ci scambiammo un caloroso abbraccio rievocativo, pieno di pensieri, non espressi ma condivisi, sulla dignità dell’uomo, sulla qualità dell’habitat urbano, sul compito promozionale dell’arte e della vera cultura.

Ancora una volta ebbi modo di constatare che nel cuore e nella mente di questo Architetto, eminente studioso di storia medievale, esisteva una rara capacità di fare sintesi tra passato, presente e futuro, divenendo, per questo, punto di riferimento per molti che vedevano in lui una cristallina onestà intellettuale, una vera passione nel dare forma alla sua fantasia, senza mai abbandonare la ricerca della perfezione, seguendone le orme nelle grandi opere di restauro da lui curate.

Oggi, con la celebrazione dell’Eucaristia, noi rendiamo grazie alla Provvidenza divina per averci regalato l’Arch. Paolo Nannelli e preghiamo perché egli possa partecipare in pienezza al «banchetto che il Signore ha preparato sul monte, per eliminare la morte, asciugare le lacrime su ogni volto e strappare il velo che copre la faccia di tutti i popoli» (Cf. Is 25, 6-8).

In queste parole del Profeta noi troviamo il senso e l’approdo definitivo dell’opera di Paolo, appassionato architetto del restauro, perché il testo proclamato appartiene all’«Apocalisse maggiore» di Isaia, una «rivelazione» che richiama il «giudizio» e la distruzione della «città del caos» (Cf. Is 24, 10), un termine carico di connotazione simbolica: è la città costruita sull’orgoglio, aperta alle logiche perverse dell’egoismo, dell’ingiustizia, della violenza l’anti-Gerusalemme.

Nell’ottica del Profeta, ogni azione tendente a contrastare il degrado di una città e a promuoverne l’armonia abitativa, si colloca, in prospettiva storica, sul piano della grande pedagogia della bellezza e della bontà delle forme, vera “cifra del mistero”, che elimina la frattura tra verità e cultura, posta in essere dalle miopie e dagli egoismi umani.

Nannelli aveva intuito che, nella Chiesa, questa missione era presente in modo permanente e strutturale. A Bologna, dalla pedagogia e dalla vitalità eucaristica, lungo i secoli, è sbocciato un cantiere permanente, che ha dato consistenza al tessuto urbano e sociale: nei monumenti, nell’arte, nelle opere di misericordia e di promozione umana, nelle strutture educative e ricreative, nelle forme celebrative ricche di contenuti, di gioia e di autentica festa.

Nel linguaggio profetico, in sostanza, contrastare la “città del caos” significa, non solo opporsi alla “deriva antropologica” in atto (Cf. Censis 2007-2008), ma aiutare l’umanità ad accostarsi «al monte di Sion, alla città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste» (Eb 12, 22), la città della pace, dove il «diritto e la giustizia» (Is 9, 6) vengono stabiliti per sempre. È qui che viene imbandito il banchetto messianico, dove l’abbondanza e la qualità dei cibi (Cf. Is 25, 6) suggella nella gioia senza fine l’alleanza tra Dio e il suo popolo.

Con la partecipazione attiva e consapevole alla Messa, noi entriamo in questa prospettiva mediante la comunione con la realtà totale di Cristo Redentore, e introduciamo nella nostra vita e nella nostra morte la forza della vittoria pasquale, principio rinnovatore del mondo e soprattutto dell’uomo. Con l’Eucaristia dunque, la Chiesa offre all’umanità la chiave interpretativa del proprio stato di sofferenza, ma anche il motivo della sua speranza.

Contemplando nell’Eucaristia il Crocifisso glorificato, ogni essere umano risale alle proprie origini e alla genesi della sua vocazione battesimale, che lo rende protagonista nell’edificazione del Regno di Dio, già qui in terra, mediante il “passaggio” dall’egoismo all’amore, sorgente indispensabile di giustizia, di pace e di autentica libertà.

Paolo Nannelli, al tempo del suo matrimonio con Carla Masotti, benedetto da Padre Michele Casali il 15 settembre 1990, nella Parrocchia dei Ss. Gregorio e Siro, si autodefiniva “gnostico”, cioè orientato da una conoscenza extradogmatica, nell’ambito di una razionalità scientifica e storico-critica autosufficiente.

Col tempo, l’amore per Carla, cattolica praticante, ha fatto da “grimaldello” per aprire la porta di accesso agli spazi di una razionalità “allargata”, dove l’intelligenza incontra il “Logos”, la Parola ragionevole, fatta carne in Gesù Cristo. Paolo, in questa ragionevolezza del mistero, ha intuito che la verità e l’amore si compendiano nella totale donazione di sé, verso Dio e verso il prossimo, a servizio del bene comune.

Per questo, al termine della sua vita terrena ha voluto il Sacramento dell’Unzione degli Infermi, per il ministero del suo Parroco, Mons. Stefano Ottani che, ungendolo sulla fronte, ha invocato per Paolo la misericordia di Dio, la liberazione dai peccati e la forza di affrontare il passaggio alla vita eterna, con la grazia dello Spirito Santo.

Carissima Carla e tutti voi amici qui presenti, l’esperienza vitale di Paolo Nannelli ci dispone ad accogliere con ferma fiducia le parole del Vangelo di Giovanni: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me… io vado a prepararvi un posto… perché siate anche voi dove sono io» (Cf. Gv 14, 1-6). È la prospettiva della gioia senza fine e della domenica senza tramonto, dove gli autentici rapporti umani non vengono distrutti, ma sublimati nella piena realizzazione di sé, nel gaudio della visione beatifica di Dio.

A noi che rimaniamo quaggiù è chiesto di rinvigorire la fede, che produce la pazienza e la capacità di resistere alla tentazione dello sconforto e della ribellione. Pertanto, siamo invitati a mantenere fisso lo sguardo su Gesù, senza tentennamenti e senza distrazioni, perché Lui solo è la “via”, la “verità” e la “vita”, e nessuno può raggiungere la Casa del Padre senza la mediazione del Figlio, che agisce in noi in forza del suo Spirito (Cf. Gv 14, 6).

 

30/04/2009
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