S. Messa in suffragio delle vittime dell’atto terroristico contro la stazione ferroviaria di Bologna – XXIV anniversario

Bologna, Cattedrale

(Is 25, 6.7-9; Sal 22; Gv 14,1-6;)

In occasione del XXIV anniversario dell’atto terroristico che ha colpito la stazione ferroviaria di Bologna, tante persone hanno fatto udire la loro voce e tutte hanno contribuito, in vario modo, a mantenere viva la memoria di questo abominevole delitto, consumato alle ore 10,25 del 2 agosto 1980.

Anche la Chiesa di Bologna, qui convocata dal suo Arcivescovo, celebra questa memoria, nel modo a lei più congeniale, cioè attraverso il “memoriale” della Pasqua di Cristo, resa così disponibile per la “moltitudine” degli esseri umani (Cf Mt 26,28), come sorgente inesauribile di ogni salvezza.

Con il rito della Messa, offerta in suffragio delle vittime della strage e a sostegno di quanti sono sopravvissuti, la Chiesa riporta tra la gente quel Dio che a molti sembra latitante, e invece ha scelto di restare con noi in ogni momento della nostra vita, anche nelle ore più tragiche.

È in questo sacramento, infatti, che si realizza quanto il profeta Isaia ha annunciato: «il Signore preparerà su questo monte un banchetto per tutti i popoli… strapperà su questo monte il velo che copre la faccia della terra… Eliminerà la morte per sempre» (Cf. Is 25,6-8).

Con l’Eucaristia, dunque, la Chiesa offre all’umanità la chiave per ogni interpretazione esauriente del proprio stato di sofferenza e per superare la barriera delle contraddizioni, degli enigmi e delle lacerazioni cruente che le strategie dei poteri occulti continuano a produrre sulla faccia della terra.

Il contesto biblico offerto da Isaia ci colloca nell’area della così detta “Apocalisse maggiore”, una “rivelazione” che richiama i grandi temi del confronto tra la “città del caos” (Is 24,10) e la “Gerusalemme celeste” (Eb 12,22).

È nella “città del caos”, prodotta e alimentata dal peccato, che prospera l’aggregato umano cementato dall’orgoglio e, quindi, aperto alle logiche della violenza, dell’inganno, della vendetta.

Con l’annuncio della distruzione di questa città caotica (Is 24,10) il Profeta indica, in prospettiva storica, l’accostarsi dell’umanità «al monte di Sion e alla città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste» (Eb 12,22), la città della pace, dove «il diritto e la giustizia» vengono stabiliti per sempre (Cf, Is 9,6).

Di fatto la zavorra del peccato, dell’egoismo, dell’orgoglio prepotente trova in Cristo crocifisso e risorto il vero antidoto, capace di introdurre nel corpo sociale energie nuove e potenzialità inedite.

Contemplando il Crocifisso glorificato, ogni essere umano risale alle proprie origini e alla genesi della sua vocazione battesimale, che lo rende protagonista nell’edificazione del Regno di Dio, dove i segni emergenti sono quelli dei frutti dello Spirito: amore, gioia, pace, fedeltà, dominio di sé, in alternativa ai frutti della carne, prodotti dal libero sfogo delle passioni umane e propagandate dall’individualismo libertario come valori civili.

In tale prospettiva, la memoria del 2 agosto, nel contesto ecclesiale, significa neutralizzare le «potenze e lo spirito del male» (Ef 6,12), attraverso la «buona battaglia della fede» (1 Tm 6,12).

Combattere questa buona battaglia della fede, dunque, non significa abbassare la guardia – come alcuni temono – nei confronti di coloro che, ancor oggi, sono rimasti impuniti per un così esecrabile delitto; non significa rimanere sordi di fronte alla «voce del sangue» dei nostri fratelli e sorelle uccisi o feriti nel corpo e nello spirito, «voce» che, ancora oggi, «grida dal suolo» verso Dio (Cf Gen 4,10); non significa alimentare il rischio dell’oblio, perché è proprio la memoria del mistero dell’Incarnazione, morte e risurrezione di Cristo che trasforma il «tempo orizzontale», che passa e se ne va con tutte le sue vacuità, in «tempo verticale», che rimane per agganciare all’orizzonte dell’eternità tutto ciò che è vero, bello, buono e giusto.

Per questa ragione, nel XXIV anniversario della strage, la Chiesa ha riletto il Vangelo di Giovanni, che riporta le parole di Gesù: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me … Io vado a prepararvi un posto … ritornerò e vi porterò con me … Io sono la via, la verità e la vita» (Cf Gv 14, 1-6).

Alla luce di queste parole, la nostra preghiera per le vittime si apre alla speranza di una salvezza piena e definitiva, dove la gioia è senza fine.

Ma le parole di Gesù sono pronunciate anche per noi. Anzitutto per i familiari delle vittime, perché trovino nella fede in Cristo la consolazione di cui hanno bisogno per superare il vuoto lasciato nei loro affetti dall’assurdità di questa tragedia. Ma anche perché, rimanga in loro il coraggio di stimolare, in chi ne ha facoltà, la ricerca della verità e di tutte le responsabilità, senza lasciarsi distrarre dalle strumentalizzazioni ideologiche sempre in agguato.

Per quanto riguarda il perdono, il rischio della banalizzazione, alimentata anche da una cultura del buonismo e del perdonismo che nulla ha a che fare col perdono cristiano, è molto forte: qui siamo di fronte al mistero della misericordia di Dio – messa in forte evidenza da San Francesco con l’indulgenza e il “perdono di Assisi” – misericordia che non entra mai in conflitto con le esigenze della giustizia e non toglie nulla alle enormi potenzialità dell’amore di Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1 Tm 2,4).

Il Vangelo di oggi parla anche al popolo italiano, perché non si lasci ingannare dalle illusioni prodotte dall’ideologia del progresso e del cambiamento fine a se stesso. «Sotto tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli». Senza Cristo, non siamo più capaci di fare, in senso pieno, retrospezione del passato, interpretazione del presente, esplorazione del futuro. Per questo stiamo perdendo la «memoria» schiacciati sul presente, col rischio di lasciare spazio alla «città del caos».

In questa prospettiva, l’anno dell’Eucaristia proclamato da Giovanni Paolo II offre a tutti la possibilità di una profonda revisione di vita, per riscoprire Cristo come sorgente della nuova creazione e autore dell’autentica liberazione dal male, dalla morte e da una vita caotica e senza senso. Solo in Lui potremo accumulare le energie necessarie per affrontare le prove del XXI secolo e produrre frutti di giustizia seminati nella pace (Cf Gc 3, 18).

 

02/08/2004
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