S. Messa nelle esequie di Bibi Ballandi

Baricella, Chiesa Parrocchiale

(Is 25, 6-9; Sal 22; Gv 14, 1-6)

Siamo qui riuniti per elevare al Signore la nostra preghiera, in suffragio di Bibi Ballandi, che ha lasciato questo mondo il 15 febbraio scorso, giovedì dopo Le Ceneri, alle ore 8.30, all’età di 71 anni. Bibi ha varcato la soglia dell’eternità alle ore 8,30, del mattino, quando la Chiesa eleva al Signore le sue Lodi e – grazie alla “comunione dei santi” – avvolge il mistero della vita e della morte tutti i suoi figli con il canto di questa preghiera: «Perdona i nostri errori, sana le nostre ferite, guidaci con la tua grazia alla gioia pasquale» (Cf. Inno alle Lodi di Quaresima). Celebriamo in comunione con l’Arcivescovo Mons. Matteo Zuppi, che si è reso partecipe con il messaggio che abbiamo ascoltato all’inizio della Messa.

Presiedo questa festosa Liturgia esequiale per volontà dei carissimi amici, e fratelli nella fede, Bibi e Lella. Nell’ottica dei “tempi e dei momenti della storia della salvezza”, questa Messa – pur nella sua semplicità – si innesta idealmente e spiritualmente, nei grandi eventi eucaristici del 27 e 28 settembre 1997 al CAAB di Bologna, presente San Giovanni Paolo II. Quell’indimenticabile Veglia dell’attesa – con l’apporto di tanti talenti musicali e di ogni altra forma artistica – preparò la celebrazione finale, della Domenica seguente, davanti a quasi mezzo milione di persone e che l’Osservatore Romano definì «L’apoteosi eucaristica dell’Italia».

Sul piano della verità teologica, il Cardinale Biffi in quell’occasione descrisse l’Eucaristia come «la Festa di nozze tra il Figlio del Re e l’umanità riscattata»: una Festa che ora allieta i nostri altari e proseguirà senza fine nei secoli. A questa Festa siamo tutti invitati perché è la ragione della nostra letizia ecclesiale e della nostra felicità imperitura. Voi che siete qui oggi – specialmente voi Artisti che l’avete conosciuto – avete toccato con mano che Bibi, di questa letizia e di questa gioia è sempre stato un testimone, specialmente nei momenti della prova.

Concelebrano con me don Giancarlo Martelli, parroco di Baricella e don Paolo Russo parroco di Sasso Marconi. Sono presenti anche don Franco Fontana, Segretario Generale del XXIII Congresso Eucaristico Nazionale e altri sacerdoti e religiosi amici.

La morte di una persona cara è sempre un dramma, che scuote profondamente il corso della nostra vita. Essa ci pone di fronte alla realtà di un’esistenza precaria, che alimenta l’inquietudine e ripropone i grandi interrogativi sul senso ultimo della nostra esistenza terrena.

In questa circostanza triste, ma aperta alle gioiose risorse della fede, nel tempo “forte” della Quaresima – “segno sacramentale” della nostra conversione – ci stringiamo attorno a Lella, ai familiari, ai collaboratori e ai tanti amici di Bibi per implorare la misericordia di Dio, perché conceda a lui il perdono e la pace eterna, nella visione beatifica del volto di Dio, immersi nella Domenica senza tramonto: il Paradiso.

Con questa Messa, noi entriamo in profonda e misteriosa comunione con la realtà totale di Cristo Redentore, che ha detto «Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11, 24). Pertanto, attraverso il rito, noi diamo concretezza all’annuncio proclamato dal Profeta Isaia: «Il Signore preparerà su questo monte un banchetto per tutti i popoli». È un convito che – grazie al suo essere “memoriale” della morte e risurrezione del Signore – porta in sé il principio di un cambiamento radicale, una specie di «fissione nucleare», che suscita un processo di trasformazione delle realtà, il cui termine ultimo sarà la trasfigurazione del mondo intero (Cf. Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 11).

Con l’Eucaristia, dunque, la Chiesa offre a tutti noi la chiave interpretativa della sofferenza causata dal peccato delle origini e indica la via per trasformarla in valore redentivo. Infatti, grazie alla Messa, che è la Pasqua di Cristo, sorge «sul monte» la nuova Gerusalemme, la Chiesa, che – come dice Isaia – strapperà il «velo» dell’ambiguità, del dubbio e della paura «che copre la faccia di tutti i popoli» (Cf. Is 25,7), da quando Eva e Adamo – creati a immagine di Dio (Cf. Gen 1, 27) – hanno peccato (Cf. Gen 3).

Ma, duemila e diciotto anni fa – circa – «quando venne la pienezza del tempo» (Gal 4,4), Dio, che è «amore» (Cf. 1 Gv 4, 16), «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Cf. Gv 3, 16), per «eliminare la morte per sempre, asciugare le lacrime su ogni volto e togliere l’ignominia dal suo popolo» (Cf. Is 25, 8). Dio, infatti, mediante la morte e risurrezione di Gesù, ha riaperto le porte del Cielo e con il Battesimo e la Cresima – come scrive San Paolo – «ci ha confermato in Cristo e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito», perché tutti possiamo pronunciare il nostro «Amen» (Cf. 2 Cor 1, 20-22), cioè dire «» a Cristo, aprendogli le porte della nostra vita.

Ma è proprio l’Apostolo Tommaso – come abbiamo sentito dal Vangelo di Giovanni – a pronunciare l’interrogativo che provoca in Gesù la risposta determinante per l’orientamento della nostra vita: «Signore non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 5-6).

Bibi queste cose le sapeva e – in profonda comunione sponsale con Lella – le viveva in modo semplice e spontaneo, con i piedi per terra, ma con la mente e il cuore aperti a Dio e al prossimo. Lo rivela il coro di giudizi positivi divulgati dal circuito mediatico, che ha visto in Bibi una figura esemplare. Ha preso alla lettera le parole del Vangelo: «non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio!».

Ecco i propellente della vita di Bibi, la fede, che lo ha sempre accompagnato fin dall’infanzia. Proprio in questa chiesa fece il chierichetto al vecchio parroco don Giovanni Maurizzi, che lo introdusse nelle devozioni al Crocifisso e alla Madonna di Lourdes.

Per questo, ogni volta che veniva a Baricella, non mancava mai di fare, con Lella, il suo piccolo pellegrinaggio nella chiesa parrocchiale, dove sostava davanti al Crocifisso e alla riproduzione della grotta di Lourdes e, non partiva, senza aver salutato il parroco. La sua fede dunque, aveva radici semplici, parrocchiali e popolari.

Contro il suo male combatteva con le armi della fede e della scienza, che non sono in contrasto, ma si integrano e offrono all’uomo, in ogni circostanza, le ali per volare in alto, senza lasciarsi prendere dallo sconforto e dagli artigli della disperazione.

Durante la lunga preparazione del grande evento congressuale del 1997 al CAAB – ho avuto modo di sperimentare di persona la consistenza della fede di Bibi. Una fede che gli permetteva di dare alla sua professionalità una dimensione sapienziale, capace di trasformare un evento musicale in espressione spirituale e promozionale.

Il suo sorriso, la sua capacità di rapporto, la sua vocazione a ricomporre i dissidi e le fratture, gli venivano proprio dalla sua consuetudine consapevole con l’Eucaristia domenicale, che è il “Sacramento di ogni salvezza”. Se i nostri peccati dividono l’unità della nostra vita interiore e alimentano la conflittualità sociale, la Messa ricompone in unità la nostra capacità di intendere e di volere, perché diffonde nei nostri cuori e attorno a noi le risorse dell’amore.

Tornando all’evento musicale di vent’anni fa, tutti videro come il Papa arrivò al CAAB molto stanco ma, di fronte a una folla giovanile così imponente, divenne di nuovo il Papa Woytila dei tempi migliori. Nonostante le sollecitazioni della Segreteria pontificia ad andarsene presto, volle invece rimanere a lungo. Dopo aver letto il testo ufficiale, riprese ad improvvisare e disse parole molto illuminanti sul valore dell’Eucaristia, in rapporto ai talenti espressi dai protagonisti della “Veglia dell’attesa”.

«Alla fine – ha improvvisato il Papa – devo dirvi che durante questa Veglia ho pensato a tutte le ricchezze che sono nel mondo, specialmente nell’uomo: le voci, le intuizioni, le risposte, la sensibilità e tanti altri talenti. Ci vuole una grande gratitudine per tutti questi talenti e questa gratitudine vuol dire Eucaristia – rendimento di grazie – ringraziando per questi talenti noi ci facciamo più disposti a moltiplicarli a servizio di tutti».

Poi, quando aveva già lasciato il microfono, è tornato indietro e ha aggiunto: «Allora, prima di andare via vorrei ribadire quello che vi ho detto prima. Vi ho detto che ci vuole l’Eucaristia, perché ci vuole gratitudine per tutti questi talenti, ci vuole un grande ringraziamento. Ma questo ringraziamento si doveva fare attraverso il Sacrificio della Croce di Cristo. Se non ci fosse la morte non ci sarebbe neanche la Risurrezione, non ci sarebbe il mistero pasquale, cioè la vittoria della vita sulla morte.

In queste parole di San Giovanni Paolo II è disegnato l’identikit di Bibi, che ha accompagnato nella crescita e nel dare il meglio di sé, tanti talenti musicali e artistici di ogni genere. Come ha detto l’Arcivescovo Matteo Zuppi nel suo messaggio, Bibi ha voluto bene a tutti, consolando senza chiedere nulla. Per questo il suo canto d’amore verso Dio e il prossimo continua in Cielo, accanto a Gesù e a sua Madre Maria, che ha tanto invocato e amato, specialmente sotto il titolo di Lourdes.

Davvero, Bibi aveva una marcia in più, perché aveva la fede “che sposta le montagne” e apre le porte della Divina Provvidenza. A tale proposito, fece sua una mia raccomandazione fatta a tutti gli organizzatori dell’evento del 1997: «Mi raccomando, facciamo le cose per bene, nell’osservanza dei comandamenti di Dio, altrimenti la Provvidenza si ritira». Si vede che la raccomandazione andò a buon fine, perché non solo non ci furono debiti ma ci guadagnammo anche.

Ringrazio Lella per aver chiesto di celebrare le esequie di Bibi come una “Festa di nozze”!

17/02/2018
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