San Domenico

Ricordare la Traslazione del corpo di San Domenico e celebrare qui, nella nostra Cattedrale, chiesa madre della Diocesi, è segno della riconoscenza che abbiamo per la grazia di conservare il suo corpo a Bologna. E’ una ricchezza per la nostra città e ci invita a viverne il suo carisma per rispondere alle domande di oggi. San Domenico aveva chiesto ai suoi frati parlando della sua morte: “Non piangete, vi sarò più utile e porterò maggior frutto per voi dopo la morte di quanto abbia fatto da vivo. E aveva donato a lopro e a noi il suo insegnamento: «Figlioli cari, queste sono le mie ultime volontà: praticate la carità, siate umili, rimanete poveri con gioia». Bouchet descrive così la sua morte: “Durante la malattia si trova in un monastero; temendo di esservi sepolto, chiede di essere riportato dai suoi frati a Bologna. Gli vien chiesto quale luogo abbia scelto per la propria sepoltura. Non dice, come senz’altro si attendevano alcuni: «accanto a tale o talaltro santo», oppure «presso tale altare», bensì: «sotto i piedi dei miei fratelli». Per la propria sepoltura Domenico, come i suoi predecessori o i suoi contemporanei, sceglie, sì, un luogo santo, ma per lui il luogo santo per eccellenza non sono le reliquie, bensì la comunità. Perciò è là, vicino ai suoi fratelli, sotto i loro piedi, servitore, che attenderà al sicuro la risurrezione dell’ultimo giorno. Nessuno fu uomo di comunione più di lui”. E’ il segretro della sua vita: l’umiltà.
Il corpo di san Domenico, sepolto – come egli aveva desiderato – nel coro di San Niccolò delle Vigne  “sotto i piedi dei suoi frati “, fu esumato e trasferito dal beato Giordano di Sassonia il 24 maggio 1233 in un sarcofago di marmo. Si celebrarono Messe solenni da parte dell’Arcivescovo, e poiché il terzo giorno era la festa di Pentecoste, all’ingresso il coro intonò: “Accogliete la gioia della vostra gloria, ringraziando Dio che vi ha chiamato al regno celeste”: i Frati nella loro felicità accolsero queste parole come se venissero dal cielo. Risuonano le trombe, la gente solleva un gran numero di ceri; si snoda una suggestiva processione. Ovunque risuona la lode a Gesù Cristo. Questi fatti sono accaduti nella città di Bologna il 24 maggio, nell’anno di grazia 1233, sotto il pontificato di Gregorio IX, quando era imperatore Federico II, a onore del Signore Nostro Gesù Cristo e del beato Domenico suo servo fedelissimo.
Un altro insegnamento che oggi ci offre San Domenico è la gioia. A cominciare da volto. Lo descrive così Giordano di Sassonia: “E poiché un cuor lieto rende ilare il viso, l’equilibrio sereno del suo interno si manifestava al di fuori nella bontà e nella gaiezza del volto”. Per questo egli s’attirava facilmente l’amore di tutti; senza difficoltà appena lo conoscevano, tutti cominciavano a voler­gli bene. Non è forse la gioia che ci chiede con insistenza Papa Francesco? “Traboccante com’era di pietà, si dedicava tutto per aiutare il prossimo e sollevare le miserie. Questo inoltre lo rendeva a tutti carissimo”. Quanta prossimità dobbiamo cercare e quanto la misericordia può renderci “cari” a tanti e viceversa. La gioia!  Il beato Giordano di Sassonia dice di san Domenico: “Egli accoglieva ogni uomo nel grande seno della carità e, poiché amava tutti, tutti lo amavano. Si era fatto una legge personale di rallegrarsi con le persone felici e di piangere con coloro che piangevano”. E’ il commento all’Evangelii Gaudium. «Nulla poteva turbare la sua serenità, tranne una forte compassione per qualsiasi persona sofferente. Dal viso di una persona si vede se è veramente felice: Domenico era amichevole e gioioso, la sua pace interiore traspariva chiaramente».
La scelta di San Domenico nasce dalla preghiera. “Durante il giorno, nessuno più di lui si mostrava socievole coi frati o con i compagni di viag­gio, nessuno era con loro più gioviale di lui. Viceversa, di notte, nessuno era più di lui assiduo nel ve­gliare in preghiera. Alla sera prorompeva in pianto, ma al mattino raggiava di gioia. Il giorno lo dedicava al prossimo, la notte a Dio, ben sapendo che Dio concede la sua miseri­cordia al giorno e il suo canto alla notte”.
Quan­do la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i cre­denti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nel­lo Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto.
Possiamo noi dare l’esempio, vivere in umiltà e povertà, attrarre, essere attraenti.  Domenico pare abbia rimproverato il suo sostenitore Folco, vescovo di Tolosa, che era solito viaggiare con un seguito di soldati, servi e muli con le scorte dicendogli: «Non puoi sconfiggere i nemici della fede in questo modo! Armati con la preghiera, non con la spada! Vestiti di umiltà, non di abiti eleganti!» La carità è credibile e può attrarre tanti. «Più di ogni altro ho studiato il libro della carità, perché insegna tutte le cose».
La grazia delle reliquie di san Domenico diventi una vita piena di gioia e di studio per gli altri, nella logica del servizio, quella che fa cercare sempre il meglio e ci rende capaci dell’intelligenza e della vera sapienza, quella dell’amore, che apre tutta la conoscenza umana.

24/05/2016
condividi su