“Se uno è in Cristo è una nuova creatura”
Catechesi a Castello d'Argile

Inizio da una riflessione che mi è suggerita dal s. Padre  Benedetto XVI, il quale parlando di noi cristiani scrive: «Ora, però, emerge la domanda: ma che cosa crediamo in realtà? Che cosa significa: credere? … pensando alla quantità di libri scritti ogni giorno in favore o contro la fede, si è tentati di scoraggiarsi e di pensare che è tutto molto complicato. Alla fine vedendo i singoli alberi, non si vede più il bosco» [Chi crede con è mai solo, ed. Cantagalli, Siena 2006, pag. 44].

Anche noi questa sera siamo qui per rispondere a quella domanda: che cosa significa in realtà credere? Che cosa significa essere cristiani? Lascio per ora in sospeso la domanda e parto dalla descrizione di alcune semplici esperienze umane.

1. Molti degli sposi qui presenti ricorderanno l’arrivo del loro primo figlio: provino a ripensare quell’evento. Essi fino a quel momento vivevano la loro vita a due; poi è avvenuta dentro la loro esistenza la presenza di un altro. Questa presenza, senza bisogno di tanti ragionamenti, ha cambiato la loro vita. Non si può più pensare al futuro prescindendo da lui; si lavora anche per lui: si vive in un certo senso per lui. Non mi prolungo. Sono cose che facilmente si capiscono.

            Un altro racconto; mi rivolgo sempre agli sposi e/o ai fidanzati presenti. Pensate al momento in cui per la prima volta avete guardato colei/colui che poi sarebbe diventato vostra moglie/marito come non avevate mai guardato nessuna donna/uomo. In quel momento la sua presenza è entrata, si è fatta spazio nella vostra vita in modo tale che avete cominciato a progettarne il futuro in sua compagnia, nella condivisione dello stesso destino.

Le due narrazioni richiamano alla nostra memoria un’esperienza umana: l’esperienza dell’incontro, a cui segue una presenza che opera un cambiamento della vita. Tenete ben fisse queste tre parole: incontro, presenza, vita cambiata, cioè nuova. Quando Dante vuole narrare il suo incontro con Beatrice, scrive: incipit vita nova [comincia una vita nuova].

è successo una cosa del genere all’apostolo Paolo. Egli ne parla nella lettera scritta ai cristiani di Filippi [3,7-12]. Se noi leggiamo attentamente quella narrazione autobiografica, vi ritroviamo quelle tre esperienze fondamentali. è avvenuto un incontro con una persona, Gesù [le modalità qui non vengono ricordate]. è stato un incontro di  tale profondità che Paolo dice di essere «stato conquistato da Gesù Cristo» [12]. è una conquista per cui Gesù diventa una presenza nella vita dell’apostolo. è così forte, è così chiara questa presenza che Paolo dice che ormai se uno lo cerca, lo “trova in Cristo” [cfr. 9]. Ed è una presenza che opera un radicale cambiamento nella vita al punto tale che «quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo» [7].

            A Paolo è accaduto di incontrare Cristo. Non solo di averne sentito parlare: lo ha incontrato. E non è stato un incontro fugace che lo lascia come lo ha trovato. Ne è rimasto “conquistato”, cioè Cristo è diventato una presenza permanente nella sua vita, come succede quando uno conquista un territorio e vi rimane; vi colloca la sua dimora. La conseguenza di questa presenza è letteralmente sconvolgente: sconvolge il “quadro di valori”. Cioè lo rovescia. Ciò che prima era un guadagno diventa una perdita; ciò che prima era importante lo considera come spazzatura.

Vi prego di fare bene attenzione a due particolari di questa vicenda di S. Paolo.

Il primo: Paolo non ci ha narrato la sua dedizione ad una causa, ma l’attrazione subita davanti ad una Presenza. Cercherò di spiegare meglio che posso questa diversità, poiché è di importanza fondamentale.

Ciò che l’apostolo narra non è il fatto che egli ad un certo momento ha deciso di “consacrarsi alla causa di Gesù”: di seguire i suoi insegnamenti, di diffonderne la dottrina. Al contrario: egli perseguitava i cristiani.

            Ciò che narra è il fatto di “essere stato conquistato” dalla [bellezza di una] Presenza che ha esercitato su di lui una attrattiva incomparabile.

La dedizione ad una causa nasce da noi e a lungo andare stanca ed annoia; l’attrazione è suscitata in noi dalla presenza di una bellezza che ti affascina [cfr. G. Tantardini, Il cuore e la grazia in Sant’Agostino, Città Nuova, Roma 2006, pag. 76-77].

Il secondo: quando Paolo vive ciò che racconta, Gesù non è più fisicamente presente sulla terra. Se però confrontiamo in profondità qualsiasi racconto narrato nei vangeli  di incontri con Gesù fisicamente presente con la narrazione di Paolo, noi vediamo che si sta descrivendo lo stesso evento. Ciò che ha vissuto la samaritana, Zaccheo, Pietro … è esattamente ciò che ha vissuto Paolo. Esiste pertanto una presenza reale di Gesù che non è legata alla sua presenza fisica. Riprenderemo fra poco questo punto di importanza fondamentale.

Finisco richiamandovi una formulazione molto sintetica usata da S. Paolo per descrivere la sua esperienza: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» [Gal 2,20]. Teniamo ben presente questa formulazione; fra poco capiremo perché.

2. Siamo partiti da una domanda: ma che cosa significa credere? E vi ho narrato tre fatti: l’arrivo del primo bambino in una coppia di sposi; l’evento di un uomo e di una donna che si innamorano l’uno dell’altro; l’esperienza di S. Paolo.

Ho indicato tre parole-chiave per capire profondamente questi tre racconti: incontro, presenza, vita nuova. Nel racconto di S. Paolo le tre parole hanno un contenuto di straordinaria potenza. E c’è come un filo che le lega fra loro: l’attrazione suscitata dallo splendore di una bellezza che ti conquista.

Ora siamo in grado di rispondere alla nostra domanda. Credere significa incontrare Cristo in modo tale che egli diventa una presenza che cambia la vita. Ricordate la formulazione di S. Paolo: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me». Pertanto possiamo dire: chi crede vive in Cristo e Cristo vive in lui in modo così profondo che la vita del credente è rinnovata. Cioè: «se uno è in Cristo, è una nuova creatura».

            Ma ora in questo secondo punto della mia catechesi devo spiegare bene il senso di queste parole, perché non voglio che pensiate a chissà quali esperienze… straordinarie. è tutto molto semplice, molto quotidiano.

Riprendo un punto che ho accennato poc’anzi, e che purtroppo non posso sviluppare. Ma non devo dirvi tutto questa sera!

La persona di Gesù, Signore risorto, è vivente e presente – anche se non nella modalità fisica con cui è stato presente in Palestina – in mezzo a noi: realmente. Dove e come? Nella Chiesa. è la Chiesa – nella quale si continua ininterrottamente la successione apostolica, si predica la Parola di Dio sia pure mediante il discorso umano, si celebrano i sacramenti – il “sacramento della presenza della persona di Gesù in mezzo a noi”. Che cosa vuol dire “sacramento”? vuol dire che la Chiesa è una realtà ben visibile fatta di persone e cose di questo mondo; ma è una realtà che veicola, che rende presente la presenza del Signore risorto. E quindi tu lo puoi incontrare.

La fede quindi non ti fa incontrare, ultimamente, colla Chiesa, ma mediante la Chiesa ti fa incontrare Gesù. Cioè: tu non credi nella Chiesa, ma credendo alla Chiesa tu incontri Gesù. E quindi tutto ciò che è accaduto a S. Paolo, nella sua intima sostanza può accadere anche a te se credi.

E a questo punto devo fare una considerazione assai importante. E qui mi rifaccio per spiegarmi meglio ad un altro grande del cristianesimo: S. Agostino.

Egli parlando di se stesso dice: «Avevo sentito parlare quando ero ancora bambino della vita eterna promessa a noi attraverso l’umiltà del Signore nostro Dio che è disceso fino alla nostra superbia e già da bambino ero segnato con il segno della sua croce» [Conf. I, 11,17]. Però Agostino si convertì molto più tardi. Non che non conoscesse la dottrina cristiana; non che non conoscesse la persona di Cristo, anzi, egli scrive: «guardavo a Cristo mio Signore come ad un uomo d’eccellente sapienza e al quale nessuno poteva stare alla pari» [Conf. VII, 19,25].

Lo stesso può succedere a ciascuno di noi. Conosciamo la dottrina cristiana. Forse anche siamo sinceramente dediti alla “causa di Cristo”. Tuttavia … tutto questo non basta per dire in verità che siamo credenti, fino a quando non siamo stati colpiti dalla sua Presenza, fino a quando non siamo attratti dalla sua Persona, fino a quando non siamo affascinati dalla sua Bellezza. Insomma: fino a quando non siamo passati dalla dedizione ad una causa  all’attrazione verso una Persona. Agostino ha espresso stupendamente questo pensiero: «Di tutte queste cose ero dunque certo, eppure ero totalmente incapace di godere di te» [ibid.]. Il punto è questo: è della presenza di una persona che si gode, non dell’osservanza di un comandamento o dell’assenso ad una dottrina.

Chi vive questa esperienza, chi crede cioè, incontra la persona di Gesù in grado eminente nell’Eucarestia e veramente vive, è in Lui; o meglio: Cristo vive ed è nel credente mediante l’Eucarestia.

Prima di concludere questo secondo punto della mia catechesi, devo togliere dal vostro spirito una difficoltà. Qualcuno ascoltandomi potrebbe dire: ma come si fa a diventare credenti; ad incontrare la persona di Gesù? Grande e drammatica domanda! Rispondo brevemente: si diventa credenti, si incontra la persona di Gesù mettendo a confronto ciò che ti dice il tuo cuore e ciò che predica la Chiesa.

La voce del cuore. La parola “cuore” denota  la persona in quanto soggetto che desidera la verità, il bene, la comunione con gli altri, di amare ed essere amata. In una parola la beatitudine, la vita vera.

La predicazione della Chiesa. Essa ti predica il Vangelo della grazia, dell’umiltà di Dio che si fa vicino all’uomo. E questi sente una corrispondenza fra la voce del cuore e la predicazione della Chiesa.

A questo punto l’uomo può decidere di dire come Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» [Gv 6,68] oppure di fare come il giovane ricco. Andarsene “perché aveva molte ricchezze”, e riteneva che quelle assieme all’osservanza dei comandamenti bastassero, senza bisogno di seguire Gesù.

Ne deriva che ci sono due modi di interdirci l’incontro della fede con Gesù: o silenziare la voce del cuore o silenziare – non ascoltare la predicazione della Chiesa. Non voglio prendere in esame un’altra tragica ipotesi: che i pastori della Chiesa non predichino il Vangelo!

Ed è proprio questo che la barbarie culturale sta cercando in tutti i modi di fare: silenziare la voce del cuore; ridurre la misura della dignità della persona. Ed è proprio questo che il potere del mondo cerca di fare: silenziare la voce della Chiesa dentro la piazza degli uomini. Siamo entrati come vedete nel cuore del dramma dell’uomo di oggi.

3. In questo ultimo punto della mia catechesi vorrei dirvi qualcosa sulla novità della vita che sgorga dall’incontro con Cristo, dall’essere-vivere in Lui. Sarò breve.

La vita di cui stiamo parlando è la nostra vita quotidiana: quella che viviamo dal mattino quando ci alziamo alla sera quando ci addormentiamo. Questa vita è il nostro lavoro; sono i nostri affetti; sono le preoccupazioni per i nostri figli; sono le nostre malattie, è la vita della città e della nazione in cui ci troviamo; sarà la nostra morte. Ebbene è questa vita che è rinnovata. In che senso? Gesù ha risposto a questa domanda con una immagine molto potente. Ha detto che chi crede in lui riceve il centuplo di ciò che sembra aver lasciato. Cioè: la tua vita umana viene vissuta secondo un misura centuplicata. Non una piccola misura; non una misura ristretta. Diventi capaci di amar tua moglie/ tuo marito cento volte di più; la malattia – pur conservando tutto il suo peso – acquista un senso; la vita associata è maggiormente giusta e buona. E così via.

In una parola: la fede è la suprema possibilità di realizzare la propria umanità. Giovanni Paolo II amava dire: la vita si realizza secondo la misura alta della santità.

Conclusione.

Mi piace concludere con l’insegnamento di un bambino ed ancora di S. Agostino.

Durante una recente visita pastorale ho tenuto una catechesi ai bambini sul tema della fede, dell’incontro con Gesù. Ad un certo punto un bambino di seconda elementare mi disse: «ma come faccio ad incontrare un morto?». Si alzò una bambina: «ma Gesù è morto, ma poi è risorto ed è presente in mezzo a noi».

Ed ora S. Agostino: «Volevo essere considerato sapiente, ma pieno della mia tristezza non piangevo» [VII, 20,26]. Possiamo conoscere tutta la dottrina cristiana, ma questo non basta perché il cuore sia commosso da una presenza, dall’esperienza di una persona che ti ama.

Ecco noi vogliamo celebrare il Congresso eucaristico non solo perché si conosca meglio la dottrina cristiana, ma soprattutto perché ogni uomo possa piangere di commozione di fronte a Cristo: «habet et laetitia lacrimas suas» [S. Ambrogio, De excessu fratris sui Satyri I.10].

12/03/2007
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