Solenne concelebrazione di ringraziamento per l’inizio di pontificato di S.S. Benedetto XVI

Bologna, Cattedrale

(At 6, 1-7; Sal 32; !Pt 2, 4-9; Gv 14,1-12)

In comunione con la Chiesa di Roma e con tutte le Chiese pellegrine nel mondo, il Popolo di Dio che vive in Bologna, per mandato del suo Arcivescovo, S.E. Mons. Carlo Caffarra, è qui riunito per esprimere il suo pieno e condiviso rendimento di grazie per il dono del nuovo Sommo  Pontefice.

In questa V  domenica di Pasqua, la comunità diocesana, convocata dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, sente spontaneo il bisogno di elevare una speciale preghiera per il Papa Benedetto XVI, perché il suo pontificato, che inizia nel momento in cui la Chiesa rivive nella Liturgia il mistero di Cristo risorto, sia sostenuto dalla forza dello Spirito Santo e dalla consapevole e cordiale adesione di tutti i membri della Chiesa.

I testi biblici che abbiamo ascoltato, ci presentano una Chiesa in continua crescita, non priva di difficoltà, ma consapevolmente guidata dal ministero apostolico che, mediante le sue scelte, rende testimonianza a Cristo risorto, specialmente attraverso l’ascolto della Parola di Dio e la preghiera, perché l’edificazione della Chiesa avvenga su solide basi, cioè su Cristo, «pietra viva» e «pietra angolare», sostegno per i credenti e inciampo per chi si chiude nella prospettiva ristretta della propria autoreferenzialità (Cf, 1Pt 2,4-9).

Il contesto biblico di questa domenica apre un orizzonte ben preciso, dove Cristo, nel mistero dell’edificazione della Chiesa, associa a sé il collegio Apostolico.  Anche i testi paralleli ne parlano in modo esplicito. S.Paolo, nella lettera agli Efesini, rivolgendosi ai pagani, dice loro che un tempo erano «lontani» e che ora sono diventati «vicini grazie al sangue di Cristo» (Cf. Ef 2,13). Pertanto, coloro che aderiscono a Cristo «non sono più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2,19-20).

Il Vangelo di Matteo precisa ulteriormente la struttura del fondamento apostolico della Chiesa. Gesù, infatti, affida a Pietro un ruolo primario che oggi rivive nei suoi successori: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non  prevarranno contro di essa. A te darò le chiave del regno dei cieli…»(Mt 16,18-19).

Benedetto XVI, dunque, ha ricevuto da Cristo il potere di pascere il gregge di Dio (Cf. Gv 21,15-17) attraverso il Collegio cardinalizio che, rapidamente e con lucida consapevolezza storica ed ecclesiale, ha raggiunto una larga e chiara convergenza sul nome del Cardinale Joseph Ratzinger, scelto da Giovanni Paolo II tra i suoi primi e indispensabili collaboratori: lo ha aiutato nel compito esigente e primario di custodire e promuovere la carità della verità, di fronte alle sfide del terzo millennio.

Ora, Papa Benedetto ha in mano le chiavi della porta della salvezza, cioè la responsabilità di riconoscere oggi la via di accesso a Cristo, che ha detto: «Io sono la porta delle pecore … se uno entra attraverso di me sarà salvo» (Cf. Gv 10,7-9). Guidato dallo Spirito Santo è lui che indica con certezza la strada dell’incontro con Cristo che il vangelo di Giovanni ci presenta come via di accesso alla casa del Padre, dove Gesù ci ha preparato un posto (Cf. Gv 14,2-3), nel quale il nostro anelito alla gioia vera e duratura sarà pienamente appagato.

Nella sua prima omelia (20.4.2005), davanti al Sacro Collegio, Benedetto XVI ha detto, con trepidazione, che il Signore lo ha voluto come suo Vicario, cioè “pietra” su cui tutti possono trovare un appoggio sicuro. Ha poi aggiunto che si accinge a intraprendere questo ministero “petrino” al servizio della Chiesa universale, attraverso la quale la potenza di Dio vuole fare di tutti i popoli una grande famiglia, «mediante la forza unificante della Verità e dell’Amore» (Lumen Gentium, n.1).

Per questo, come emerge dai testi liturgici, la Chiesa, che nasce dall’Eucaristia e  che guarda al futuro, dovrà sempre più manifestare le caratteristiche che le sono proprie e, quindi, recepire nei suoi gangli vitali le risorse della Pasqua di Cristo, fino a manifestare la sua “sacramentalità universale”, attraverso il recupero pieno dell’identità che le deriva dal suo essere Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Per raggiungere questi obiettivi, Benedetto XVI, nell’omelia pronunciata nella celebrazione di stamattina in Piazza San Pietro, non ha esposto programmi ben definiti, ma ha manifestato il proposito di «mettersi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore». Non si tratta – egli ha detto – di far prevalere delle opinioni ma di accogliere con disponibilità totale, da parte di tutti, quanto lo Spirito Santo suggerisce alla Chiesa, in questi primi lustri del XXI secolo.

In sostanza, si tratta di capire che il nuovo Papa, «umile lavoratore nella vigna del Signore», non ha pretese egemoniche o restauratrici, ma il desiderio di porsi, con l’aiuto di Dio e di tutti i battezzati, come principio di unità, perché nella Chiesa si realizzi l’esortazione della prima lettera di Pietro: «Carissimi, stringetevi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio» (1 Pt 2,4).

Papa Benedetto ci aiuterà a riscoprire la «preziosità», il privilegio e la fortuna di esser chiamati a vivere la fede in Gesù Cristo, non come “muti e inermi spettatori”, ma come corresponsabili nella edificazione della Chiesa, per la vita del mondo: «Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2,5).

La fede in Gesù Cristo, dunque, non è qualcosa di evanescente, di indistinto, di mimetizzabile, ma una dimensione costitutiva della nostra vita. Lo abbiamo sentito da Gesù stesso: «In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compierà le opere che io compio e ne farà di più grandi…» (Gv 14, 12).

È questo l’orizzonte indicato da Benedetto XVI, anche nel messaggio indirizzato ai Cardinali elettori nella cappella Sistina (20.4.2005). In esso si delinea una Chiesa coraggiosa, libera, giovane. Una Chiesa che guarda con serenità al passato e non ha paura del futuro. Una Chiesa che continua a rileggere il Concilio Vaticano II come «una sicura bussola» per orientarsi nel vasto oceano del terzo millennio (Cf. NMI, 57).

Tale proposito viene espresso con vigorosa determinazione dal nuovo Papa: «Anch’io… voglio affermare con forza la decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II, sulla via dei miei Predecessori e in fedele continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa». In questi documenti – continua il Papa – ci sono le risposte «alle istanze della Chiesa e della società globalizzata».

Ma nei documenti conciliari emerge ovunque la «principalità» dell’Eucaristia nella vita della Chiesa, «principalità» che Benedetto XVI ha ribadito mettendo in evidenza la coincidenza dell’inizio del suo pontificato con l’Anno dell’Eucaristia, “sacramento di ogni salvezza”.

Egli chiede a tutti, specialmente ai sacerdoti, di intensificare l’amore e la devozione verso l’Eucaristia, che il prossimo sinodo dei Vescovi prenderà in speciale considerazione come «fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa».

L’atteggiamento sereno, coraggioso e intriso di certezze presente in Benedetto XVI, fin dai primi momenti del suo pontificato, ci spinge ad accogliere con rinnovata fiducia le parole di Gesù: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me… Io sono la via, la verità e la vita» (Cf. Gv 14, 1-12).

Solo con questa fede potremo “resistere” alle insidie del maligno (Cf. 1 Pt 5, 8) che, dentro ai molti «areopaghi» della società secolarizzata, spinge l’era post moderna a staccarsi dalle sue radici cristiane, trasformando i vasti campi della civiltà e della cultura, della politica e dell’economia, in terra di missione (Cf. TMA, 57).

La vera minaccia che incombe sul nostro futuro, dunque, non consiste principalmente nella messa in campo delle sfide antropologiche e biotecnologiche estreme, ma nel rischio dell’esaurimento della luce e della forza che le può contrastare e riorientare.

L’estendersi della «dittatura del relativismo», che lascia campo libero «ad ogni vento di dottrina» (Ef 4, 14), comporta il venire meno della fede che, accanto al retto uso della ragione, costituisce l’unico vero antidoto contro la decadenza antropologica e il degrado della civiltà. Senza la sintesi paolina «verità nella carità» (Ef 4, 15) il mondo rimane nelle tenebre.

Pertanto, il contesto festoso e aperto alla speranza che doverosamente accompagna l’elezione di un nuovo Pontefice, non deve farci dimenticare l’interrogativo inquietante posto da Gesù: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18, 8).

Noi sappiamo che niente è casuale in ciò che ha detto il Signore. Se Gesù ha formulato questa domanda lasciandola senza risposta, una ragione c’è e siamo noi a doverla individuare, alla luce del contesto storico ed ecclesiale nel quale siamo chiamati a vivere da protagonisti.

Noi siamo certi, per la sua “indefettibilità”, che la Chiesa non verrà mai meno sulla terra, ma non siamo certi della sua sopravvivenza nella nostra terra (Cf. LPB, 305). Ciò dipenderà anche dalla recuperata volontà di evangelizzare senza soste le nuove generazioni, con slancio più generoso, con voce più fresca, con animo più risoluto, oltre gli schemi convenzionali e i moduli consueti (Cf. LPB, 309).

Con l’avvento di un nuovo Pontefice, anche la Chiesa che vive in Bologna, sotto la guida del suo Arcivescovo, è chiamata a rigenerarsi nei suoi atteggiamenti acquisiti e nella sua attività ordinaria e, soprattutto, a porsi in ascolto dello Spirito, che potrà suggerire iniziative anche inedite al servizio della nostra missione di sempre: far conoscere, amare e adorare il Signore Gesù (Cf. LPB, 401).

Solo così «i deserti della povertà, della fame e della sete; i deserti dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto; i deserti dell’oscurità di Dio e dello svuotamento delle anime…» (Benedetto XVI, 24.4.2005) potranno trasformarsi in altrettante oasi di pace, perché «sarà infuso uno spirito dall’alto e il deserto diventerà un giardino, dove regnerà il diritto e la giustizia» (Cf. Is 32, 15-18).

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24/04/2005
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