Solenne Te Deum di fine anno

            Cari fedeli, la sera che conclude l'anno civile ci invita a riflettere sul passare inarrestabile del tempo, vorace di ogni cosa. A prendere coscienza della fragilità del nostro esserci, disteso su una durata che prima o poi non può non interrompersi.

            «Insegnati a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore», prega un Salmo. La “sapienza del cuore” è frutto della capacità di contare i nostri giorni.

1.        Tuttavia la parola di Dio comunicataci dall'apostolo Paolo, e questi stessi Vespri sembrano orientare verso un'altra direzione i nostri pensieri. Noi celebriamo una maternità, la divina maternità di Maria. E la parola di Dio ci parla della nascita di un bambino «nato da donna».

            Due ordini di considerazioni si impongono. La prima è di carattere più generale ed interpella ogni uomo, credente e non. S. Agostino nella sua opera La città di Dio, scrive: «affinché ci fosse un inizio, è stato creato l'uomo» [Lib. XII, 20]. Cari fratelli e sorelle, in questa sera in cui tutto ci parla di fine, la Parola di Dio ci ricorda che ogni nascita, ogni persona è capace di garantire un nuovo inizio. Questa capacità è semplicemente la nostra libertà; questa garanzia è semplicemente ogni persona umana. «Il miracolo che salva il mondo, il dominio delle faccende umane dalla sua normale, naturale rovina è in definitiva il fatto della nascita» [A. Arendt]. E' per questo che quando l'angelo ha voluto dire nella maniera più semplice e breve il messaggio della salvezza ai pastori, si è limitato a dire: «oggi è nato per voi un bambino». E siamo così giunti al secondo ordine di considerazioni, che vogliamo condividere, noi credenti, anche coi non credenti.

            La fede ci fa comprendere che quanto è vero di ogni nascita, è insperabilmente più vero della nascita che celebriamo in questi giorni natalizi. Dentro alla vicenda umana abitata da tante ingiustizie di ogni genere; dentro a questa nostra città sempre più disgregata, irrompe mediante la fede l'inizio gioioso e liberante del Bambino nato da Maria. Inizio vero e radicale che ha in sé la forza di rinnovare ogni cosa.

            Nel parto di Maria, Dio eterno è entrato nella nostra storia, e vi rimane: l'inizio assoluto è Gesù, il Figlio di Dio fattosi uomo per ridare all'uomo la dignità di figlio di Dio. Questo inizio della dimora dell'Eterno nel tempo non è solo un fatto accaduto nel passato, ma, in modo misterioso e reale, è donato anche a noi. In questa dimora dell'Eterno anche noi abbiamo la capacità di “rinascere”; anche la nostra città.

2.        Ma la nostra città ha bisogno di rinascere? Ha bisogno di iniziare un nuovo anno, in senso forte e non solo in senso cronologico? Oppure dovrà rassegnarsi a percorrere fino in fondo il viale del tramonto?

            Cari amici, sono domande che questa sera non possiamo non porci, vedendo la condizione spirituale della nostra città.

            Esiste ormai una grave mancanza di riconoscimento delle pubbliche istituzioni, un grave deficit di identificazione del proprio vivere associato con esse. Un fatto pubblico recente lo ha inequivocabilmente testificato.

            Esiste il rischio che venga messa in questione la pace sociale, frutto prezioso dell'amicizia civile, primo tessuto connettivo della società. Vi assicuro: sta prendendo dimora nella nostra città un diffuso malessere, sempre più pervasivo. La Chiesa ha buoni “organi sensoriali” al riguardo. Un malessere che sta – e non poteva essere diversamente – fruttando violenze, prepotenze inammissibili.

            Il segno più evidente di questa città sempre più inquieta e disgregata è ancora – nonostante il  lodevole impegno di molti – quel degrado che ne ha deturpato l'incomparabile bellezza, al di sotto dei limiti della decenza.

            Il modo sbagliato per “rinascere” sarebbe l'accusa reciproca o lo scarico di responsabilità. Queste terapie peggiorano il male, perché fanno crescere la divisione.

            Le rinascita della nostra città può aversi solo da una presa di coscienza profonda delle proprie responsabilità. Un vero e proprio esame di coscienza.

            Lo deve fare la Chiesa che è in Bologna, e in primo luogo io stesso, il Vescovo. Lo deve fare ognuno che abbia responsabilità pubbliche. E chiedersi semplicemente: “ma io, nel mio operato, metto veramente al primo posto il bene comune o qualcosa d'altro?” E' vero che il modo di perseguire il bene comune è diverso a seconda delle responsabilità pubbliche di ciascuno. Tuttavia alcune esigenze sono affidate a tutti. Ne accenno a due.

            La prima: perseguire il bene comune significa mettere i poveri al primo posto. Per i poveri intendo coloro che sono privi dei due beni umani fondamentali: il lavoro e la casa.

            La seconda: perseguire il bene comune significa tutelare e promuovere il luogo dove si impara l'alfabeto della comunità interpersonale, cioè la famiglia. Essa è la pietra angolare dell'edificio sociale. Non è con registri e leggi che si può sostituire questa funzione.

           

            Questa città, questa sera, ha tuttavia anche il dovere di ringraziare il Signore, e lodarlo: Te Deum laudamus!

            Noi ti lodiamo, o Signore, per l'eroismo quotidiano di chi nonostante tutto non si stanca di agire bene.

            Noi ti lodiamo, o Signore, per il coraggio degli sposi che donano la vita, facendo un grande atto di speranza nel futuro.

            Noi ti lodiamo, o Signore, per la pazienza dei poveri, che vincono la tentazione di ricorrere alla violenza.

            Noi ti lodiamo, o Signore, per coloro che si mettono al loro servizio, diffondendo nella nostra città fraternità e solidarietà.

            Noi ti lodiamo, o Signore, per chi lungo i secoli ha reso grande nella giustizia, nella libertà, nella scienza la nostra città. E per tutti coloro che partendo da questa basilica, questa sera avranno nel cuore il desiderio di farla risorgere. Amen.

 

31/12/2014
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