Solenne Te Deum di fine  anno

1. Cari fratelli e sorelle, cari amici, forse questo fine-anno giunge per uomini e donne che guardano al loro futuro più con paura o preoccupazione che con speranza.

Molti sono i pensieri che ci portiamo nel cuore, e che insidiano le nostre speranze. Ho davanti ai miei occhi il numero sempre crescente di persone anche nostri concittadini, che chiedono un pasto alla «Mensa del Vescovo» presso il Centro S. Petronio o altri luoghi della carità cristiana. Ho davanti agli occhi il numero sempre crescente di famiglie che faticano o perfino non possono più giungere alla fine del mese. Proprio in questi giorni una benemerita organizzazione sindacale ha presentato un quadro dell’occupazione nella nostra provincia, pieno di insidie. L’ombra della recessione e conseguente aumento della disoccupazione sono fondate probabilità per il 2009. Lavoratori adulti già espulsi dal mercato del lavoro difficilmente saranno reinseriti.

è magra consolazione il pensare che queste sono difficoltà che non sono esclusive della nostra città; anzi, è pensiero che può accrescere la preoccupazione.

Mi sovvengono le parole del Salmo: «e nessuno sa fino a quando!». Perfino gli “scienziati dell’economia” non sono in grado di darci risposte a loro dire soddisfacenti sulle cause di questa situazione e sulla prognosi della malattia.

Cari fratelli e sorelle, cari amici: questo è il fine-anno 2008! Il Vescovo non ha competenza né scientifica né istituzionale per compiere analisi, individuare cause, proporre soluzioni. Ma egli, apostolo di Cristo, ha la possibilità di farvi dono di qualcosa di più prezioso, e di più necessario al cuore dell’uomo in queste condizioni. Che cosa? Quale dono? Lasciamo per un momento tacere le nostre preoccupazioni, ed ascoltiamo la Parola di Dio.

2. «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da una donna … perché ricevessimo l’adozione».

«Dio mandò il suo Figlio». Il Vangelo che vi è annunciato non è in primo luogo trasmissione ed insegnamento di una dottrina religiosa; non è in primo luogo neppure indicazione di regole giuste di comportamento. Esso è la narrazione di un fatto realmente accaduto: «Dio mandò il suo Figlio». Dio stesso irrompe dentro la storia umana; entra nell’ambito delle nostre esistenze.

«Nato da una donna». è una irruzione non nello splendore della sua gloria divina, ma nell’umile fragilità della nostra condizione umana. Dio nasce da una donna per far abitare tutta la pienezza della sua divinità nella povertà della nostra carne.

«Perché ricevessimo l’adozione a figli». Non viene Dio ad abitare fra noi, lasciando immutata la nostra condizione umana. Egli assume la nostra natura per introdurci nella partecipazione della sua stessa vita: «perché ricevessimo l’adozione a figli».

Ma la parola di Dio diventa particolarmente illuminante per questa sera di fine-anno, dicendo che questo fatto è accaduto «quando venne la pienezza del tempo». Con queste parole non si dichiara semplicemente che il fatto narrato è avvenuto quando giunse la scadenza temporale fissata da Dio. Il significato è più profondo: non è cronologico, ma antropologico.

Il tempo è inteso come la qualità propria dell’esistere umano; più concretamente lo scorrere della vita umana è pensato come se fosse un recipiente vuoto che cerca di riempirsi. Col fatto che Dio viene ad abitare fra noi questo vuoto è riempito; il desiderio umano ha trovato risposta soddisfacente, perché Dio stesso si è preso cura dell’uomo. Il tempo è riempito!

Cari fratelli e sorelle, cari amici: è questo il dono che il Vescovo può farvi in questa sera di fine-anno. è il dirvi, il testimoniarvi che l’uomo, che ciascuno di voi non è esposto invincibilmente a strutture senza volto, che alla fine inspiegabilmente determinano la nostra condizione senza che nulla possa fare l’uomo. Ciascuno di noi può, deve essere certo che è affidato ad un Dio che lo ama di un amore incondizionato; ad un Dio che non è semplicemente  una lontana “causa del mondo”, perché Egli «mandò il suo Figlio nato da donna».

3. Cari fratelli e sorelle, cari amici, non ignoro però che nel cuore di ciascuno di voi possa sorgere a questo punto una domanda: ma questa certezza che cosa ha a che fare colla situazione di grave disagio di cui si parlava all’inizio? è solo una sorta di antalgico oppure costituisce una vera forza per incominciare il nuovo anno con grande e fondata speranza?

Domande drammatiche, domande grandi che esigerebbero una riflessione non possibile in questo contesto. Mi limito ad alcuni essenziali accenni di risposta.

→ Alla luce della Parola di Dio, la situazione attuale ci ha insegnato una grande verità: pensare che il progresso [economico, sociale …] sia una legge ineluttabile intrinseca alla vicenda umana, è un grave errore che ha conseguenze devastanti. No: il progresso non è comunque assicurato, poiché l’agire umano che ne è il fattore principale, è insidiato quotidianamente dall’avidità, dall’egoismo, dalla prepotenza. Semplicemente perché l’uomo è libero.

→ Ne deriva che – è il secondo accenno – che la prima condizione per “stare bene” è di “agire bene”. La costruzione di una civitas humana e di un’economia a misura dei veri bisogni dell’uomo richiede che si istituiscono fra le persone non solo rapporti utili, ma soprattutto rapporti giusti e buoni. Ed essi non sono prodotti dalle leggi, ma dall’agire virtuoso.

→ Ma la nostra città non uscirà dalle difficoltà in cui versa, non risolverà i suoi problemi se non assieme: attraverso la cooperazione sincera di tutte le forze politiche, sociali ed economiche, ciascuno secondo le responsabilità proprie. Il bene comune della nostra città è più importante dei beni privati, e va collocato al di sopra di ogni interesse. Mi sia consentito di fare una proposta ed una raccomandazione.

Si costituisca un vero patto o tavolo di responsabile solidarietà fra imprese, sindacato ed istituzioni per la tutela del lavoro nella nostra città.

Esorto poi chi ne ha la responsabilità a sostenere col credito soprattutto le piccole e medie imprese.

→ Infine, ma non dammeno, l’umile successore di S. Petronio che vi parla, chiede a tutte le forze politiche, sociali ed economiche di dare al dibattito civile pubblico assolutamente necessario, quella profondità di riflessione ed elevatezza di prospettive senza le quali non possiamo superare le sfide attuali.

Cari fratelli e sorelle, cari amici: possiamo, dobbiamo iniziare il nuovo anno con una speranza capace di generare una robusta volontà di risolvere le gravi difficoltà che ci attendono. La nostra Chiesa continuerà col suo servizio di carità a rispondere ai bisogni dei poveri, e cercherà di inventare anche nuove forme di sostegno.

Ci sia di viatico la parola che la Chiesa non si stancherà mai di annunciarvi: il Vangelo della speranza. «Avremmo potuto credere che la tua Parola fosse lontana dal contatto con l’uomo e disperare di noi, se questa Parola non si fosse fatta carne e non avesse abitato in mezzo a noi» [S. Agostino, Confessioni X, 43.69; CSEL 33,279].

31/12/2008
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