Solenne Te Deum di fine anno

Te Deum laudamus. Ti ringraziamo Dio. Spesso, invece, ci lamentiamo ed esigiamo; altre volte pensiamo sia tutto dovuto e merito nostro. Ringraziare fa, invece, un gran bene a tutti, perché ci aiuta a capire e ricordare i tanti doni che abbiamo, ci libera dall’orgoglio (così penoso, spesso ridicolo) e ci fa sentire amati. C’è un monito evangelico che sento per me così importante e che mi aiuta a cercare di non sprecare le opportunità, a non cedere alla facile rassegnazione che mi dimostra che niente vale mai la pena. “A chi molto ha avuto sarà chiesto molto di più”. Non possiamo sciupare quello che abbiamo anche per chi ci ha lasciato tanto, sacrificandosi per noi, come i nostri padri. Lo dobbiamo a coloro cui il tempo gli è stato tolto prematuramente o ai tanti che non hanno le nostre possibilità. L’invito ci viene anche dall’inesorabile fuggire dei giorni, che amaramente non tornano. Dico questo non per rattristarci ma per maturare una serena e forte consapevolezza; per svincolarci dalle facili illusioni, per non restare schiacciati dalla disperazione, per ricordarci che rendiamo conto della nostra vita. Ci affidiamo alla misericordia di colui che è il senso dei nostri giorni e che li guida con pazienza. Scriveva Mazzolari: “L’infinita tua pazienza può irritare, ma solo coloro che preferiscono il giudizio alla misericordia, la lettera allo spirito, il trionfo della verità alla esaltazione della carità, lo schema all’uomo”. Ecco la misericordia di Gesù: pazienza e amore, umiltà e speranza.
Ringraziare assieme ci aiuta a sentirci vicini e a guardare, pur con sensibilità e responsabilità diverse, tutti verso la stessa direzione, che è il bene. Per chi crede il nome del bene é Gesù Cristo, l’amore di Dio per gli uomini. “La visione biblica e cristiana del tempo e della storia non è ciclica, ma lineare: è un cammino che va verso un compimento”. Il tempo, i nostri giorni, allora, non finiscono, ma si compiono. Nel bene. In Cristo.
Papa Francesco invita nell’Evangelii Gaudium: (EG 71) a “riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze”. Contemplarla significa capirla nel profondo e leggervi i segni dei tempi, scoprire nel volto dell’uomo che incontri per strada il tuo prossimo, se non hai paura di fermarti, se cerchi di capire come aiutarlo e ti fai tu carico di lui. Amare il prossimo nella sua concretezza fa parte della nostra fede, perché la chiesa, proprio perché si occupa delle anime, si occupa dei corpi e delle loro necessità (sempre, ovviamente, senza rubare il mestiere a nessuno e senza farsi identificare in nessuno e senza nemmeno farsi mai strumentalizzare da nessuno!).
Bologna é la mia e la nostra casa comune. Ringrazio di questa. Ringrazio ancora il caro Cardinale Carlo Caffarra per il suo servizio a questa casa comune e per la sua preghiera, silenziosa ma continua per lei. E’ una bellissima casa comune, ma piena anche di persone invisibili, che, come diceva Papa Benedetto XVI “ogni tanto balzano in prima pagina o sui teleschermi, e vengono sfruttate fino all’ultimo, finché la notizia e l’immagine attirano l’attenzione. La città prima nasconde e poi espone al pubblico. Senza pietà, o con una falsa pietà. Ogni storia umana è una storia sacra e richiede il più grande rispetto”. Quanto è vero che tutti possiamo contribuire alla vita e al clima della nostra città e dei nostri paesi, in bene o in male. “Nel cuore di ognuno di noi passa il confine tra il bene e il male e nessuno di noi deve sentirsi in diritto di giudicare gli altri, ma piuttosto ciascuno deve sentire il dovere di migliorare se stesso! I mass media tendono a farci sentire sempre “spettatori”, come se il male riguardasse solamente gli altri, e certe cose a noi non potessero mai accadere. Invece siamo tutti “attori” e, nel male come nel bene, il nostro comportamento ha un influsso sugli altri”. Ci lamentiamo dell’inquinamento dell’aria, che in certi luoghi è irrespirabile. E’ vero e ci vuole un impegno di tutti. C’è un altro inquinamento, meno percepibile ai sensi, ma altrettanto pericoloso, che é l’inquinamento dello spirito che, diceva sempre Papa Benedetto “rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia”; a vedere tutto in superficie tanto che le persone “perdono l’anima, diventano cose, oggetti senza volto, scambiabili e consumabili”. Ecco per questo penso sia una grazia amare e rendere bella questa casa piena di umanesimo che è Bologna e la sua chiesa.
Io ringrazio per essere qui. Ho sentito subito tanto affetto. Qualche mese fa partecipavo ad una riunione con alcuni parroci ed uno di loro era appena entrato in una parrocchia. Questi, preso da ansia di prestazione e forse da un certo protagonismo, aveva cambiato tutto in pochi giorni: l’orario delle messe, la disposizione dei banchi, il posto della statua di Sant’Antonio, peccato gravissimo per metà della parrocchia! Si lamentava di non essere accettato. Gli rispose pacato un anziano padre agostiniano. “Scusa, ma che pensavi! La parrocchia è come una ragazza. Non puoi andare da lei che non conosci e dirle: dammi un bacio! Corteggiala e poi te lo darà!”. Presi un po’ in giro il padre, chiedendogli da dove gli veniva tutta questa sapienza, ma pensai che aveva proprio ragione. Bene, devo dirvi una cosa: io di baci da Bologna senza fare niente ne ho ricevuti immediatamente tantissimi! Tanto affetto, tanta accoglienza, tanta attesa per il cammino che, se Dio vuole, faremo assieme! Sento un grande incoraggiamento e anche tanta responsabilità. Questo affetto è per la nostra Madre, la Chiesa, bella come nel volto della Madonna di San Luca: madre vicina, premurosa, che non si stanca di aiutare, che vuole spendere tutto quello che ha per i suoi figli, che sono tutti, specialmente i più piccoli. Bologna ha una straordinaria capacità di accoglienza e di trasformazione. Ha tanto umanesimo, che non è solo nelle aule accademiche. Ecco, vorrei tanto guardare insieme a voi con entusiasmo il nostro futuro. Certo conosciamo i problemi. Sono tanti e si presentano a volte drammatici. La paura, con i suoi dati reali che impongono a tutti serietà, rigore, fermezza, non deve consigliarci di alzare muri, ma di continuare a costruire ponti, come è indispensabile in questo crocevia naturale e storico che è Bologna. Senza passione per il futuro ci si chiude e, come ripete Papa Francesco, quando ci si chiude ci si ammala. Avviene singolarmente per ognuno di noi, perché l’isolamento ci riempie di cattivi sentimenti. Avviene come chiesa, che diventa un club e rende un dovere la bellezza appassionante dell’amore donato da Gesù. Avviene anche per la città. Non servono i sacchi alla finestra per l’anno che verrà! Per questo accogliamo l’invito di Papa Francesco di uscire per affrontare con nuovo coraggio le sfide. Ad esempio quella della casa, ben più seria di quello che s’impone mediaticamente. Penso all’angoscia di perderla, in particolare per chi è anziano. E’ la sfida del lavoro, precario o instabile per i giovani e per chi, adulto, lo perde. E’ la sfida dell’accoglienza. E sento ancora così vero, e lo ripropongo a me anzitutto, il commosso invito di Papa Francesco ad accogliere noi nelle nostre parrocchie i profughi che non hanno un posto. Non subiamo l’accoglienza rispondendo ai problemi solo quando esplodono ma viviamola com’è: una grande opportunità per dare futuro a chi lo cerca e ai nostri figli. Papa Francesco scrive: “Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo, piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!”
Ringraziamo e chiediamo per questo anno la misericordia, cioè un cuore che sente l’amore di Dio, che non inganna se stesso illudendosi di essere senza peccato, che sperimenta il perdono e che invece di giudicare apre il suo cuore alle miserie degli altri, dando fiducia e amore. Chiedo a Dio di benedire tutti. Sento la comunione con coloro che ci precedono nel sonno della fede, in particolare quanti ci hanno lasciato proprio questo anno. E ricordo con riconoscenza filiale il cardinale Biffi, testimone della fiducia nel Signore anche nella sua morte. Il Signore aiuti tutti ad essere umili, a mettere in pratica il comandamento dell’amore di Cristo, a cercare con semplicità il bene.
«Te Deum laudamus!». Noi ti lodiamo, Dio, misericordia e unica speranza nostra.

31/12/2015
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