solennità della madonna di san luca

Bologna, Basilica di San Petronio

Dopo essere stata sorpresa dall’annuncio dell’angelo e aver offerto liberamente le sue membra verginali come tabernacolo della nuova presenza di Dio in mezzo al suo popolo, Maria “si mise in viaggio verso la montagna” (Lc 1,39), ci ha detto il Vangelo.
Appena si è resa disponibile all’avventura inaudita della divina maternità e si è dichiarata la “serva del Signore” (Lc 1,38), corre (“raggiunse in fretta” ) verso una casa amica, custodendo nel grembo il suo mistero. Corre mossa dalla carità; corre a prestare la sua opera di donna di casa a una parente in necessità. Chi si mette sul serio al servizio di Dio, per ciò stesso si apre al servizio dei fratelli.

Corre per modo di dire. In realtà, almeno tre giorni dovette durare il suo faticoso trasferimento, tre giorni provvidenziali, però: tre giorni sottratti alla dispersione oggettiva delle faccende quotidiane e alle conversazioni curiose del vicinato; tre giorni passati nella solitudine del cammino; tre giorni che nel raccoglimento e nella meditazione sono andati placando il tumulto delle emozioni suscitato nel suo giovane cuore dalla parola insolita, troppo eccedente, di Gabriele.
Non parla con nessuno fino a che non arriva alla casa di Zaccaria e non “saluta Elisabetta”( cf Lc1,40). Il suo labbro e il suo spirito si schiudono solo quando trova un’interlocutrice che, come lei, e stata coinvolta direttamente nel disegno del Padre e come lei è stata personalmente toccata dall’azione onnipotente di Dio.

“Non salutate nessuno lungo la strada” (Lc 10,4), avrebbe consigliato il suo straordinario Figlio a coloro che si sarebbero sobbarcati a una grande missione. E nessuna missione può essere paragonabile a quella che era stata indicata a Maria e le dominava l’anima e la mente. Quando si è stati afferrati da una soprannaturale esperienza, non si ha tanto voglia di mettersi subito a comunicare con gli altri.
Maria però aveva con sè qualcuno con cui confidarsi; qualcuno che prendeva tutta la sua attenzione, qualcuno che, essendo il destinatario di ogni suo palpito, unificava tutte le sue potenze interiori: ed era quel suo figlio arcano che cresceva in lei, ed era anche il suo Dio.
A lui poteva rivolgersi con una devozione che era al tempo stesso adorazione umile della creatura e caldo amore materno.

Per noi le cose sono ovviamente un po’ diverse. Per noi ed è opportuno richiamarlo in questa giornata sacerdotale c’è sempre il problema di concordare gli affetti umani anche legittimi con la totalità della nostra donazione al Signore, che ci ha chiamati alla sua ravvicinata sequela, per noi c’è il problema di non mettere in conflitto i doveri preminenti del nostro compito di pastori con il diritto di avere un esistenza spiritualmente libera, serena, gratificata. Per noi c’è il problema di essere (e di essere percepiti) discepoli veri di un Maestro crocifisso senza per questo disconoscere che, come tutti, anche noi siamo fatti per la gioia e anche noi dobbiamo irradiare letizia su chi ci sta attorno.

Nasce così nel sacerdote pensoso tutta una serie di domande concrete, alle quali è difficile dare una volta per tutte delle risposte adeguate.
Qualche esempio. È giusto e bello avere degli amici, coi quali intrattenerci per un arricchimento vicendevole; ma fino a che punto questo è possibile senza che gli altri fedeli non si sentano un po’ emarginati o addirittura ostacolati nell’accedere liberamente a noi ? È giusto e bello, e perfino doveroso, l’attaccamento ai propri consanguinei, ma come fare in modo che questo attaccamento non sovrasti e non insidi l’amore sponsale che dobbiamo alla comunità che ci è affidata? È giusto e bello (anche se un po’ meno doveroso) avere qualche svago e qualche particolare interesse che ci consenta di ricrearci e di ritornare con forze ritemprate al nostro lavoro, ma qual è la misura e la forma non biasimevole di queste evasioni?

Questi problemi la Madonna non li ha avuti: le pulsioni del suo cuore del suo cuore di donna, di israelita, di “serva del Signore” andavano tutte nella stessa direzione, senza pericolo di conflitti. Ma proprio per questo è per noi maestra di essenzialità cristiana, di semplificazione della nostra vita, di sostanziale raccoglimento di tutte le nostre energie. Ci ottenga lei che l’intero nostro essere converga e si unifichi nell’obbedienza della fede, nella coerenza di ogni azione, nella consacrazione di tutte le nostre capacità al servizio del solo Signore.
Mentre prosegue la sua via senza salutare nessuno, Maria non fa che pensare a colui che ella cresce e nutre dentro di sè, e ancora non le si è rivelato. È ancora uno sconosciuto per lei che, come tutte le madri, è impaziente di poterlo finalmente vedere. Può solo anticiparne la contemplazione riconsiderando le notizie che le sono venute dal cielo.

Secondo l’angelo, Egli sarebbe stato “re”; e, come Messia davidico, avrebbe risposto a tutte le aspirazioni non solo della “casa di Giacobbe” ma dell’intera famiglia umana. E non sarebbe stato uno dei soliti effimeri re della terra: avrebbe avuto l’eternità come misura del suo sovrano permanere: “regnerà per sempre…e il suo regno non avrà mai fine” (Lc 1,33).
Di più, sarebbe stato “santo” (cf Lc 1,35); santo per eccellenza, e dunque principio di santità. Soprattutto sarebbe stato il “Figlio di Dio” ( Lc 1, 32.35); e solo colei che era stata investita e resa feconda dallo Spirito Santo (cf Lc 1,35) poteva valutare nella sua piena verità il rigore e la sconvolgente portata dl quella qualifica.

E tutto ciò in funzione della nostra salvezza: a dirlo era lo stesso nome profetico di “Gesù”.
A mano a mano che progrediva nella sua illuminazione interiore, Maria si rendeva conto sempre più chiaramente che il senso e lo scopo ultimo delle meraviglie del Dio che l’aveva raggiunta, era l’evento sospirato della redenzione umana. L’uomo ogni uomo avrebbe trovato nel suo misterioso Unigenito che era anche l’Unigenito del Padre il riscatto da ogni sua miseria e la ragione stessa della propria enigmatica e travagliata esistenza.
Perciò la Vergine, quando rompe il suo silenzio, esce in un grido di esultanza incontenibile: “Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore” (Lc 1,47). Salvatore suo, e dunque di tutti; perchÈ lei, la Figlia di Sion, in quel momento è figura e primizia dell’umanità che ha ottenuto misericordia.

La visione cristocentrica di Maria non si è conclusa con il Magnificat: è proseguita lungo gli anni del suo pellegrinaggio terreno, e a ogni avvenimento della vita di Gesù si delucidava e si impreziosiva. Per questo lo scrittore ispirato ha cura di notare ripetutamente che “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,20; cf anche Lc 2,51).
Che cosa chiederemo allora a questa nostra madre e regina, che ancora una volta è venuta a visitarci nell’effigie benedetta e a noi carissima di San Luca? Le chiederemo appunto di farci partecipi di questo suo assoluto cristocentrismo. Le chiederemo che faccia piovere sulla nostra anima quella luce che a poco a poco ha invaso l’anima sua e l’ha condotta alla perfetta cognizione del Figlio di Dio e della sua missione. Le chiederemo di infondere in noi, nella nostra gente e in tutte le genti, una limpida e forte capacità di credere nel Signore Gesù, unico Salvatore del mondo.

A lui, che solo resta come roccia sicura in mezzo al continuo scorrere e perire delle idee, delle potenze, degli accadimenti; a lui che è “lo stesso ieri, oggi e sempre” (cf Eb 13,8); a lui che rimane vivo e attivo con noi “tutti i giorni sino alla fine dei secoli” (cf Mt 28,20), sull’esempio e con l’aiuto di Maria, “segno della nostra difesa e del nostro onore”, vogliamo ancora una volta giurare la nostra incrollabile fedeltà.

16/05/1997
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