solennità di Maria santissima madre di Dio e 33ma giornata mondiale della pace

Bologna, Cattedrale

E così siamo proprio arrivati al Duemila. Il cambio della data quest’anno è senza dubbio più suggestivo ed emozionante del solito: è un prestigioso traguardo, cui nei decenni trascorsi abbiamo guardato con ansiosa speranza; e finalmente oggi l’abbiamo raggiunto

Abbiamo dunque iniziato l’anno bimillenario del Signore Gesù: tra i propositi giusti e doverosi da formulare stasera, non può mancare quello di ricordarci quotidianamente di lui, in questi dodici mesi; di lui che più di ogni altro ha segnato la vicenda umana, di lui che è il Signore della storia e dei cuori, il Salvatore nostro e di tutti, il centro e il senso di ogni esistenza.

In questo primo giorno – l’ottavo dalla sua nascita – egli ci si presenta insignito con uno dei titoli con cui l’ha chiamato Isaia: “Principe della pace” (cf Is 9,5). Così l’ha salutato l’antico scrittore, e così di lui anzi ha profetizzato: “Grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine” (cf is 9,6).

Sappiamo bene che questo splendido e consolante preannuncio si realizzerà con pienezza solo alla fine dei tempi, quando colui che è nato a Betlemme e a Gerusalemme è risorto da morte, “consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza” (cf I Cor 15,24), come sta scritto. Allora finalmente sarà asciugata ogni lacrima (cf Ap 7,17) e ci saranno “nuovi cieli e terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pt 3,13). Allora regnerà davvero la pace nell’universo.

Nel frattempo però, quello della pace deve essere un ideale che non deve mai sbiadire nelle coscienze. Ogni pensiero, ogni progetto, ogni fatica deve tendere a far si che l’umanità si avvicini progressivamente e sicuramente a questa mèta. È l’invito che ci viene rivolto in questa occasione dal messaggio del Papa; è la ragione e il significato della Giornata Mondiale della Pace, che ancora una volta il Successore di Pietro ci invita a celebrare.

Ascoltiamo le sue parole: “A tutti dico che la pace è possibile. Essa va implorata come un dono di Dio, ma anche, col suo aiuto, va costruita giorno per giorno attraverso le opere della giustizia e dell’amore” (n.2).

“Nel secolo che ci lasciamo alle spalle, l’umanità è stata duramente provata da una interminabile e orrenda sequela di guerre, di conflitti, di genocidi, di “pulizie etniche”, che hanno causato inenarrabili sofferenze … Alle radici di tanta sofferenza c’è una logica di sopraffazione, nutrita dal desiderio di dominare e di sfruttare gli altri, da ideologie di potenza o di utopismo totalitario, da insani nazionalismi o antichi odi tribali” (n.3).

Tutto ciò va chiaramente, energicamente, fattivamente deplorato e condannato, nell’auspicio e nella fiducia che tali disumane esperienze siano risparmiate al secolo che verrà.

Quando e come sarà consentito sperare fondatamente nella pace? “Ci sarà pace nella misura in cui tutta l’umanità saprà riscoprire la sua originaria vocazione a essere un’unica famiglia, dove la dignità e i diritti delle persone – di qualunque stato, razza, religione – siano affermati come anteriori e preminenti rispetto a qualsiasi differenziazione e specificazione” (n.5).

“In questa prospettiva è doveroso interrogarsi anche su quel crescente disagio che, al giorno d’oggi, di fronte ai problemi che emergono sul versante della povertà, della pace, dell’ecologia, del futuro dei giovani, molti studiosi e operatori economici avvertono quando riflettono sul ruolo del mercato, sulla pervasiva dimensione monetaria–finanziaria, sulla divaricazione tra l’economico e il sociale e su altri simili temi dell’attività economica. È forse giunto il momento di una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini. Sembra a tal proposito urgente che venga riconsiderata la concezione stessa del benessere, perché non sia dominata da un’angusta prospettiva utilitaristica, lasciando uno spazio del tutto marginale e residuale a valori come quello della solidarietà e dell’altruismo” (n. 1 5).

Sono tutte considerazioni del papa e hanno, come si vede, un eccezionale spessore umanistico e culturale; e non sono le sole. Ma bastano questi pochi saggi a farci capire quanto sia intenso, ricco di analisi e di prospettive, implicitamente carico di coraggiose proposte operative, il messaggio che Giovanni Paolo Il ci ha indirizzato per aiutarci a vivere con forte consapevolezza questo 1 gennaio dell’anno 2000.

È un testo da leggere integralmente e da meditare con attenzione.

“Pace in terra agli uomini che Dio ama” (cf Le 2,14). Ma Dio ama gli uomini tutti, senza alcuna eccezione.

Questa voce celeste che ha rotto improvvisamente il silenzio di una gelida notte palestinese – questo canto che ha, per così dire, cullato i primi istanti di vita terrena del Figlio dell’Altissimo – è un augurio, una speranza, una divina promessa per l’intera famiglia umana. Il suo avveramento si farà più plausibile, più vicino, più certo, a misura che venga effettivamente conosciuto, accolto nella fede, onorato nelle opere, il Principe della pace, cioè l’Unigenito eterno del Padre che nascendo nel tempo è diventato uno di noi, e anzi il vero protagonista della nostra storia.

01/01/2000
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