Veglia delle Palme

Bologna, Cattedrale

Pasqua significa passaggio. Resta una data se non passiamo con Gesù, dal buio alla luce, dalla tristezza alla gioia, dal peccato alla grazia, dalla solitudine alla comunione, dalla dispersione al sentirci legati ad una famiglia. Insomma passare all’amore. Gesù ci fa passare con Lui, ci chiede di seguirlo proprio per questo.

In questi mesi ci siamo trovati tutti in una realtà che non avremmo desiderato, mai pensato, impensabile: a distanza, isolati, impediti a compiere tanti gesti naturali, limitati nelle scelte. La pandemia ha imposto un passaggio. Ci ha umiliato, facendoci capire che siamo tutti uguali, irridendo le presunzioni per cui ci sentivamo diversi e pensavamo di potere restare dove stavamo.

All’inizio pensavamo che il male riguardasse altri, come facevamo sempre con le tante pandemie! Poi abbiamo capito che anche alcuni vicini a noi erano direttamente coinvolti, ma pensavamo riguardasse sempre gli altri, non so, gli anziani. Abbiamo capito che tutti possiamo essere oggetto e anche soggetto del male, perché possiamo essere noi a fare del male agli altri sia inconsapevolmente – e poi quanta amarezza a scoprirlo – sia con la sconsideratezza presuntuosa di chi pensa che il male – il male! – non lo riguardi.

Il male, insomma, produce tanti frutti di sofferenza, quella che si vede, dall’impoverimento alla sofferenza doppia degli anziani che sono doppiamente isolati, alla sofferenza nascosta nelle pieghe della psiche. Il male ci fa passare da una condizione ad un’altra, di isolamento, di tristezza, di depressione, di rancore verso il prossimo, di pensare solo a noi. Ecco, la Pasqua è il passaggio alla vita. 

Gesù è quel roveto che brucia di un amore che non si esaurisce, vuole per noi questo passaggio. Non è facile per lui. Affrontare il male non lo è per nessuno. La paura fa chiudere, scappare e persuade con la legge del si salvi chi può, del salva te stesso, quella cui facilmente obbediamo perché rende gli altri concorrenti e non alleati e ci spinge a lasciarli soli, a guardarli e non fare nulla, a tradire (tanto da non andare a visitare, ad esempio, gli amici o anche i familiari) per la nostra tranquillità.

Il male ci intossica con parole e giudizi violenti tanto da pensare che l’altro sia un nemico e che possiamo o dobbiamo colpirlo con parole dure, con spade di morte, come la lingua e le mani usate contro il nostro prossimo e alla fine verso noi stessi. Perché è vero anche oggi che chi di spada ferisce di spada perisce, cioè che la violenza si rivolta verso il violento e lui stesso, che pensa di usarla, ne diventa vittima. È quello che accade a Caino che muore con suo fratello, rincorso dalla sua colpa. 

Pasqua è passaggio dall’amore per noi stessi all’unico amore per sé e per gli altri, perché se l’amore è solo per sé stessi diventa possesso e fa male. È passaggio dall’odio, dal rancore, dall’andare contro la comprensione, la mitezza, all’amore disarmato e mite. In questo tempo di pandemia Gesù ci ha aiutato a renderla un passaggio all’amore.

Ci ha fatto passare dall’indifferenza alla compassione. Il sacerdote e il levita sono rimasti gli stessi, hanno tirato dritto, sono andati oltre, pensando a sé. Non avevano niente che li univa a quell’uomo che stava in mezzo alla strada. La sofferenza della pandemia non li riguardava, non si sentivano il loro prossimo e non lo sentivano il loro prossimo. Restano, però, loro senza prossimo! 

Il passaggio che permette di trovare il prossimo, di non fare passare invano la pandemia, è quello della compassione, che libera dalla paura di fermarsi, di fare qualcosa. Gesù ci chiede di passare dalla domanda “cosa mi succede se mi fermo?” a quella, come proponeva Martin Luther King, “cosa sarà di lui se non mi fermo?”.

Passare dal dire “ci penserà un altro” al dire “ci posso pensare io”, dallo scappare dai problemi perché “ho già troppe difficoltà” ad avere compassione di chi sta peggio di me e capire che posso io fare qualcosa per lui. Questo passaggio si affronta solo per amore. La compassione è fare nostra la sofferenza dell’altro, passare dall’indifferenza all’interesse, dall’essere spettatore a diventare protagonista della storia, cambiarla facendocene carico, smettendo di essere una delle tante comparse che non la vivono perché paralizzate dalla paura. E ricordiamoci sempre che chi salva un uomo salva il mondo intero! 

Sì, questa pandemia non può passare invano. Potremo più lasciare soli degli anziani? Potremo perderci tanti ragazzi, nostri figli e fratelli, che sono rimasti indietro? Potremo non aiutare chi non ce la fa? Potremo sfruttare il prossimo, approfittarci delle difficoltà per guadagnare sugli altri o lasciare sempre precario il lavoro invece di dare stabilità, sicurezza?

Questo riguarda tutti, specialmente chi ha in mano le decisioni del nostro futuro. Non vogliamo che il lavoro sia sempre provvisorio, come certi contratti sempre precari e che non permettono così di costruire la vita futura! Pensiamo alla famiglia, al dare stabilità per donare e trasmettere la vita ai figli e non esaurirla in noi! E tutti noi possiamo permettere agli altri di potere contare su di noi e sulla nostra fedeltà!

Infine c’è un passaggio che è superare la distanza più grande, il viaggio più difficile come diceva qualcuno, quello di scendere nel profondo di noi stessi, rientrare in noi stessi e passare dall’essere slegati al legarci all’amore per il padre e per la sua casa dove il pane c’è in abbondanza perché casa della condivisione dove tutto ciò che è mio è tuo. È un passaggio che compiamo deboli e peccatori come siamo, smettendo di guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, toccando ciò che è fragile in noi, smettendo di puntare il dito verso gli altri, accogliendo invece la loro e la nostra fragilità con la misericordia di Dio che ci fa passare peccatori come siamo ad una vita nuova. Non la pagliuzza, ma il cuore. 

Il centurione si trova nella nostra condizione. La sofferenza del suo servo lo coinvolge. Ha compassione ma deve incontrare Gesù perché trovi risposta, altrimenti la sofferenza è solo una disperazione alla quale le persone finiscono per reagire con indifferenza e fuga. Gesù lo capiamo proprio quando portiamo a lui la nostra impossibilità ad accettare la sofferenza.

Non possiamo rassegnarci quando qualcuno che amiamo soffre. Gesù fa sua la sofferenza. Non ci rende invulnerabili. Gesù stesso non è invulnerabile. A noi non serve questo, perché vince il male chi ha un amore più grande. Vuoi passare al mio amore, combattere tanta sofferenza solo con l’amore e rendere il male occasione per un amore più grande e per migliorare il mondo? Vuoi smettere di scappare, di credere al si salvi chi può, per seguire la compassione di Colui che ci apre il passaggio alla vita? Ascolteremo nella testimonianza uno degli infiniti modi per passare all’amore ed aiutare Gesù a vincere la sofferenza e la morte.

Sapersi capire al solo battere delle palpebre degli occhi, dirsi così che ci si vuole bene con chi non muove più nulla del suo corpo, non sono gli ultimi gesti della sconfitta, ma i primi della vittoria. Nulla dell’amore è mai vano e nell’amore c’è quello che non finisce. La sofferenza può indurirci, farci sentire perduti e disperati, oppure può purificarci di ciò che è inutile e farci ritrovare amati da Dio che si commuove sempre per noi. 

La sofferenza amata da Gesù ci può rendere finalmente fratelli consapevoli di come dobbiamo aiutarci, che non possiamo proprio fare a meno di Gesù. Il suo amore ci aiuta ad attraversare la sofferenza trasformando il male in bene, il dolore senza senso e che nasconde il senso della vita. 

Nella Pasqua passiamo dal peccato alla misericordia, dall’arroganza e dalla superiorità all’umiltà ed al servizio; dall’avarizia alla generosità; dalla maldicenza al chiedere perdono ed alla stima dell’altro. Commuoviamoci davanti a un amore così. Volgiamo i nostri occhi a colui che hanno crocifisso ed alla sofferenza delle croci di oggi, dei tanti poveri Cristi per giungere con Gesù alla resurrezione. 

27/03/2021
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