Ricordare i martiri all’inizio della Santa Settimana, nella quale seguiamo Gesù nello scandalo della croce, quando dovrà “soffrire e risorgere il terzo giorno”, è raccogliere la testimonianza di discepoli che come Gesù, e per amore suo e dei suoi fratelli piccoli, non hanno salvato se stessi, non sono scappati, non hanno tradito l’amore per qualche convenienza o solo per un po’ di benessere personale. Sono state persone che hanno vissuto spesso l’angoscia del loro orto degli ulivi e hanno scelto, come Gesù, di rimanere, di farsi tradire ma di non tradire, di farsi baciare ma non di sottrarsi all’amicizia, perché da questa chiunque possa sempre ripartire. Spesso, proprio come Gesù, hanno sperimentato l’amarezza di essere lasciati soli, perché i discepoli erano assonnati, distratti, ma appassionati e svegli quando si trattava di discutere su chi fosse il più grande o di difendere le personali prerogative. Gesù ha bisogno di loro, non si vergogna di chiedere vicinanza nel momento della scelta ultima. Non dimentichiamo che noi abbiamo bisogno di Gesù ma che anche Lui ha bisogno di noi.
I martiri sono un popolo grande e universale, diversi e tutti uguali, di età, culture, lingue, eppure parlano tutti la stessa lingua dell’amore, a qualunque costo, anche quando non conviene. E ci insegnano a non avere paura per noi ma per chi soffre, paura di far mancare la vicinanza, di non far tutto quello che possiamo per affrontare i mali. I martiri non lo analizzano a distanza, magari con raffinata intelligenza ma senza fermarsi, senza perdere il nostro olio e vino, senza tenerlo per noi ma versarlo per uno sconosciuto. Martiri per amore, e sono quelli che ci insegnano ad avere un amore personale. Essi, con la fatica di ogni persona, si sono affidati e non hanno avuto paura del male. È proprio vero che il contrario della pace è l’egoismo, cioè il banale mettere al centro il proprio io, pensando così di star bene, vivendo per se stessi.
Attenzione: al martire piace la vita. Non è uno che la disprezza tanto da sacrificarsi. La ama, ma ama di più l’altro. L’altruismo è più forte dell’egoismo e solo così supera il limite della convenienza, dell’istinto. Solo così la vita genera vita. Il martire genera vita, è seme di cristiani, vita buona e piena perché ama ed è amata. Solo così si ama se stessi, non ci si conserva e si conserva l’altro, si tiene accesa la speranza, si fa credere a qualcosa di bello, altrimenti non si crede a nulla oppure si finisce per diventare grigi. Non è un presuntuoso che spiega tutto e poi non si lega a nessuno. È un mite e umile di cuore, come Padre Pino Puglisi che insegnava ai ragazzi di Brancaccio a dire “per favore” e che lasciava a disposizione gli aiuti in parrocchia per non umiliare chi aveva bisogno. Non era un prete “anti”, ma un prete “pro”, umile perché tutti potessero servire, ma allo stesso tempo forte, fortissimo, tanto da non farsi intimidire. Vano è possedere, vano è pensare a sé senza gli altri, ridurre tutto alla personale convenienza e non fare il contrario, cioè pensarsi per l’altro, in relazione, insieme, amando. Solo per amore si affronta il male. Altrimenti o non ce ne accorgiamo o scappiamo. E la parte scelta è quella sempre da identificare, tra l’amore e la morte.
“A me non importa sapere chi è Dio, a me importa sapere da che parte sta”, diceva don Peppe Diana, di cui abbiamo da poco ricordato i trent’anni dalla sua tragica uccisione da parte della camorra. E da servo di Gesù e del Vangelo ci invita a stare dalla parte dei poveri. Perché non hanno accettato quella quiete che tutto copre, tutto asseconda, su tutto tace, nulla vede, che si gira dall’altra parte, mette la testa sotto la sabbia. Quella che serve non a parole, ma nella preghiera e nel servizio. Non facciamoci prendere in inganno da chi tranquillizza dicendo che andrà tutto bene, con un ottimismo dissennato e pigro, povero di amore. Guardiamoci anche da chi ossessiona con il male tanto da cercare solo quello, finendone per esserne prigioniero, e, quel che è peggio, complice, umiliando con la giustificazione dello zelo o delle migliori intenzioni che fanno perdere le proporzioni, a volte il buon senso, spesso la comunione. In questa descrizione apocalittica del Vangelo, apocalittica o reale, fuori dal mondo, siamo chiamati a dare testimonianza. Gesù non ci lascia soli e i martiri sono quelli che non sono rimasti soli e non hanno lasciato soli, anche quando restare significava mettere a rischio la propria vita. “Non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo”.
Molte volte studiamo le difese, cerchiamo sicurezza, finiamo per non vivere o per pensare di essere noi a proteggere il Vangelo. Mentre è questo che ci darà le risposte, se ascoltiamo la Parola e ci facciamo condurre dallo Spirito, cioè dalla passione di amare che fa andare fino ai confini della terra e superare tutte le paure. Quello che Gesù chiede è la perseveranza, cioè non pensare che non serva a niente. Diceva Annalena Tonelli: “La vita è sperare sempre, sperare contro ogni speranza, buttarsi alle spalle le nostre miserie, non guardare alle miserie degli altri, credere che Dio c’è e che Lui è un Dio d’amore. In molti sensi è un tale buio la fede, questa fede che è prima di tutto dono e grazia e benedizione”.
La perseveranza non è speranza, ma molto di più. “Solo l’amore libera l’uomo da tutto ciò che lo rende schiavo, in particolare solo l’amore fa respirare, crescere, fiorire, solo l’amore fa sì che noi non abbiamo più paura di nulla, che noi porgiamo la guancia ancora non ferita allo scherno e alla battitura di chi ci colpisce perché non sa quello che fa, che noi rischiamo la vita per i nostri amici, che tutto crediamo, tutto sopportiamo, tutto speriamo. Ed è allora che la nostra vita diventa degna di essere vissuta. Ed è allora che la nostra vita diventa bellezza, grazia, benedizione. Ed è allora che la nostra vita diventa felicità anche nella sofferenza, perché noi viviamo nella nostra carne la bellezza del vivere e del morire.” La forza dei martiri ce la spiega sempre Annalena: “Ai piedi di Dio noi ritroviamo ogni verità perduta, tutto ciò che era precipitato nel buio diventa luce, tutto ciò che era tempesta si acquieta, tutto ciò che sembrava un valore, ma che valore non è, appare nella sua veste vera e noi ci risvegliamo alla bellezza di una vita onesta, sincera, buona, fatta di cose e non di apparenze, intessuta di bene, aperta agli altri, in tensione onnipresente fortissima affinché gli uomini siano una cosa sola”.
Ricorderemo tanti nomi, di tante situazioni diverse, di tutto il mondo. Sono luci che accendono Paesi, sofferenze, inferni, spesso l’unica presenza buona in un mondo di cattiveria e di assurda violenza. Sono luci di speranza. Martire è seme, seme di Vangelo, quindi di tanta umanità. Lo vediamo nel loro ricordo che suscita imitatori, conferme, che si trasmette misteriosamente. Aiutiamo Gesù nella libertà di dare il nostro esempio. È la forza che cambia il mondo ed è quella comunione profonda che unisce i cristiani, di allora e di oggi.
